Tra colori, materiali inusuali, fori e tagli ha preso vita la mostra Burri e Fontana, in esposizione fino al 3 ottobre, presso la Pinacoteca di Brera. In una cornice in cui ciò che si respira è il nostro passato si sono intrufolati trovando una loro dimensione due degli sperimentalisti italiani per eccellenza instaurando un contatto di differenze e analogie con le collezioni tradizionalmente esposte.
Un incontro tra classicità e innovazione, tra accademismo e sperimentalismo, tra passato e futuro, tra ciò che la pittura italiana (e non solo) è stata e quello verso cui si sta andando.
Proprio dall’idea di creare uno stimolo verso il confronto nasce l’idea della mostra in cui due nomi affermati della pittura novecentesca si trovano a essere esposti accanto a Tintoretto, Pelizza da Volpedo, Raffaelo e molti altri.
Accostamento perfettamente riuscito quello tra “I santi devoti alla Croce” del Tintoretto e il quadro “bucato” di Fontana che posto vicino assume la valenza di una croce moderna: dove una serie di fori su sfondo rosa acceso assume una sua coerenza e una sua logica.
Curata da Sandrina Bandera e Bruno Corà con la collaborazione del Corriere della Sera, una ventata di novità entra così prepontemente in Pinacoteca, “svecchiando” ciò che è vecchio solo per età ma sempre di eccezionalità unica offrendone letture e spunti di riflessioni. “Svecchiandola” come solo qualcosa che racchiude il “vecchio” e guarda il “nuovo” può fare, come solo i tagli di Fontana in pittura e scultura desiderosi di superare il limite della bidimensionalità possono fare, come solo i gretti e le opere dai materiali diversi espressione del puro e inebriante gesto artistico momentaneo di Burri possono fare.
Giunta alle porte di Brera estasiata, incuriosita ne sono uscita affascinata. Conscia che l’intento per cui la mostra era stata creata era riuscita a dare i suoi frutti: piena di pensieri vorticanti, creando collegamenti esistenti o meno (non lo so). Volutamente (credo) poco curata nella spiegazione delle opere e dei possibili contatti esistenti nell’uso del colore, nell’organizzazione dello spazio, la struttura della mostra lascia totale e completa libertà interpretativa all’osservatore, che anche se privo di esperienza ma solo dotato di gusto estetico può farsi avvolgere per un giorno dall’idea e dal tentativo di diventare critico d’arte per se stesso, di offrirsi e utilizzare la propria chiave di lettura per decifrare opere talmente tanto diverse tra loro racchiuse fra le stesse mura.
Passato fa leggere futuro, futuro fa leggere passato. Così come la storia è un susseguirsi di concatenati eventi, l’arte è una concatenazione di periodi storici, di momenti diversi, di necessità diverse ma imprescindibili le une dalle altre.
Quando esci da Brera normalmente si è affascinati dalla grandiosità del passato, quando si esce da Brera dopo aver goduto anche dell’esposizione di Burri e Fontana si esce estasiati dalla grandezza della Passato e del Presente, grandezze ottenute in modi così diversi ma capaci di riempire come solo la cultura decifrata dalla cultura del bello intrinseca nell’animo umano sa fare.
L’arte sarà sempre un valore necessario. L’arte risponde alla nostra necessità di bellezza. Ed è in questo sfondo di “eternità” che Burri e Fontana entrano. Chissà quale sperimentalismo ci aspetta. Chissà chi un giorno sarà esposto accanto a chi è stato capace di rompere gli schemi come questi due grandi novecentisti.
Enrica Sut
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