C’era una volta Alcide De Gasperi. L’Italia usciva dal secondo conflitto mondiale in stampelle e con tutto da ricostruire: le infrastrutture, l’economia, il morale del Paese. Ma, soprattutto, una credibilità internazionale che l’Italia non aveva mai avuto, a causa di indirizzi di politica estera sempre fantasiosi e pericolosamente variabili. Arrivammo ad un’Italia unita grazie al decisivo contributo della Francia di Napoleone III; ma già nel 1870 fummo con la Prussia di Bismark, che del Bonaparte fu mortale giustiziera. Aderimmo alla Triplice Alleanza fino al 1915, per poi metterci in armi contro i vecchi alleati nel giro di pochi mesi. Ma anche con Francia e Inghilterra l’idillio durò poco: arrivato Mussolini, di nuovo dall’altra parte, con il Patto d’Acciaio che legava ancora il nostro destino a quello tedesco. Nel 1940 fummo in guerra con i nazisti, per poi cambiare mestamente fazione dopo l’8 Settembre del 1943. Il povero De Gasperi si ritrovò a dover elemosinare l’aiuto americano, a riconquistare la fiducia di un’Europa diffidente e dover lavorare duramente affinché l’Italia potesse recuperare una dignità tale da consentirle di uscire dal pericoloso isolamento internazionale in cui si era maldestramente cacciata.
C’è hic et nunc Silvio Berlusconi. L’Italia siede stabilmente al tavolo del G8, è uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea, un partner fondamentale dell’Alleanza Atlantica. In cinquant’anni si è riusciti a mantenere linee di politica estera coerenti. Ma oggi è quanto mai più evidente che non si impara mai dagli errori del passato.
Gli ultimi cablo pubblicati dall’Espresso su generosa concessione di Wikileaks fanno ancora più chiarezza su un modus operandi che era ormai chiaro da tempo: le relazioni personali del Presidente del Consiglio contano molto più di una identità politica internazionale faticosamente costruita dal dopoguerra sino ad oggi. Le priorità dell’Italia appaiono chiarissime all’ambasciata statunitense a Roma. Le velleità di leadership nel Mediterraneo scadono in pericolose amicizie con dittatori di prim’ordine. E i regimi autoritari dell’Africa settentrionale e dell’ex Unione Sovietica sembrano diventare una questione personale di Silvio Berlusconi. Le “barzellette su Barack Obama e sul papa” nella villa di Cartagine in compagnia di Ben Alì, gli incontri con Mubarak, le parate con i cavalieri Berberi di Gheddafi, le passeggiate in Sardegna con Putin, i rapporti di cortesia mantenuti con Lukashenko e Chavez sono solo state, negli anni, le manifestazioni più esteriori di relazioni troppo confidenziali con interlocutori che certamente non fanno della democrazia un ideale di governo. Il segno di discontinuità col passato è quanto mai evidente: da un lato, il mondo occidentale e democratico; dall’altro, sultanati e dittature.
Quello che ci riesce difficile capire è perché, nell’ultimo decennio, l’Italia stia deliberatamente facendo a pezzi la sua immagine internazionale. Certo, sarebbe anche possibile che tali liasons dangereuses siano state volutamente programmate dai nostri Governi, in un sorta di impeto autolesionistico messo a punto a tavolino nelle aule della Farnesina. Ma sembra davvero troppo pensare che una politica estera del genere possa essere stata effettivamente ponderata e considerata idonea a rafforzare il prestigio internazionale del nostro Paese. Pertanto, posto che il tutto non possa essere frutto di una inspiegabile voluptas dolendi, le cause vanno ricercate altrove.
Appare evidente, dunque, che il responsabile di tutto ciò sia Silvio Berlusconi. I nostri rapporti con Stati terzi sono ormai diventati relazioni strettamente bilaterali fra leaders, senza che siano palesi all’opinione pubblica gli effettivi benefici che derivino dalle stesse.
Concludendo, è auspicabile che la nostra politica estera torni a ripercorrere i binari battuti dal Dopoguerra in poi: democrazia, occidentalizzazione, pace tra le nazioni. Per arrivare a ciò, è palese che si debba prescindere da personalismi e interessi privati e che si debba porre fine a rapporti che hanno oscurato la nostra dignità internazionale agli occhi dell’Europa e del mondo. Nella speranza che, nei prossimi anni, il Presidente del Consiglio italiano preferisca mettersi ad un tavolo con Sarkozy, Cameron e Merkel piuttosto che con Gheddafi, Ben Alì e Mubarak. E non solo perché questi ultimi avranno visto il loro potere crollare per mano di un popolo che chiedeva solo ed unicamente democrazia.
Giovanni Gaudio
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