Stop ad un paese di donne-oggetto, i riflettori si puntano sull’”altra Italia”
Angeliche, eteree, salvatrici…Ma anche ferine, carnali, peccaminose. Fin dai tempi di Dante e del dolce stilnovo, di Manzoni e del più recente d’Annunzio tanti sono stati i poeti e i grandi scrittori ad aver cantato la figura femminile, sia pure essa reale o idealizzata. C’era chi per una donna si struggeva, consumato dalla passione, chi invece nutriva quasi un timore reverenziale, considerandola fonte di purezza e di grazia. Eppure quest’immagine così emblematica, complessa, ricca di sfaccettature che gli uomini del passato hanno saputo delineare non sembra essere stata colta dai loro posteri. Spesso e volentieri nella nostra società si assiste infatti ad atti che denigrano, mercificano e riducono il valore della donna a quello stereotipato di oggetto del desiderio maschile, ad una mero “involucro” privo di qualunque contenuto.
L’idea di una donna-soprammobile è sempre di più proposta dai mass media, con risvolti allarmanti soprattutto sulla fin troppo plagiabile psiche adolescenziale. Si pone allora il problema di come restituire alla figura femminile il diritto e la dignità che le appartengono: esigenza,questa, che lo scorso 13 febbraio 2011 ha riunito più di 1.000.000 di manifestanti nelle principali piazze italiane (con episodi anche all’estero); al grido di “Se non ora, quando?”, donne di ogni età, ceto sociale ed appartenenza politica hanno fatto finalmente sentire la propria voce ed espresso la propria indignazione per un’Italia che ancora oggi “non sembra essere un paese per donne”. «Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato – scrivono le promotrici – legittima comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni. Chi vuole continuare a tacere lo faccia assumendosene la pesante responsabilità. Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e diciamo agli uomini: se non ora, quando?». Voglia di reagire, insomma, di non essere più solo spettatrici passive di questa graduale ma inesorabile recessione che sta colpendo la nostra società civile; i medesimi proponimenti sono anche il vessillo della manifestazione dell’8 marzo, in occasione della festa della donna.
Nata più di un secolo fa, questa ricorrenza celebra le donne lavoratrici di tutto il mondo, rendendo memoria ai sacrifici e alle lotte delle nostre antenate in nome di una parità che ancora adesso non sembra essere stata completamente raggiunta. Secondo gli esperti sono infatti solo il 47% delle donne ad avere un’occupazione, contro il 70% degli uomini; anche a livello salariale persiste una discriminazione (il differenziale è di circa del 25-30%). L’indice complessivo dei divari di genere, il Gender Gap Index 2009 pone infine l’Italia al 72esimo posto, in caduta rispetto alle posizioni degli anni precedenti, addirittura sotto il Kazakhstan e il Ghana ( World Economic Forum’s 2010 global index of gender equality). È dunque una realtà allarmante quella che il nostro paese offre alle donne, in cui si guarda al futuro con crescente sfiducia e disillusione; prova tangibile ne è la protesta intrapresa da gruppo di operaie di Latina. Dipendenti di un’azienda nata con i soldi della vecchia Cassa del Mezzogiorno, il 31 dicembre scorso è stata loro consegnata una lettera di licenziamento per cessata attività, dopo tre anni di cassa integrazione.
È stato allora che queste 29 donne hanno concordato di dare una svolta, di agire in difesa dei loro diritti e prendere una decisione drastica: occupare la fabbrica. << Quando si perde il lavoro e si è donne è avvertito come un male minore – ha dichiarato una di loro – Che prospettive abbiamo? Quale sarà il nostro avvenire? Abbiamo dovuto commettere un reato perché qualcuno ci prestasse attenzione e si occupasse di noi>>. Una storia di donne, donne che vivono nel “paese reale” e che come tante, troppe altre stanno perdendo il posto di lavoro da invisibili. Ma che hanno deciso di alzare la testa, di provare a fare la differenza con le proprie forze in un paese dove appare più comodo servirsi dell’ “ascensore sociale” per arrivare alla meta…L’altra Italia lotta per emergere.
Federica Misuraca
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