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Tibet: che ne sarà di noi

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Lo aveva preannunciato il 22 Novembre dello scorso anno “Credo, sì credo che mi ritirerò entro 6 mesi” e lo ha ribadito in occasione del 52esimo anniversario della rivolta popolare contro l’invasione cinese. Così il Dalai Lama ha fatto presente al mondo, e ai tibetani in particolare, l’intenzione di abbandonare il suo ruolo politico per dedicarsi esclusivamente alla cura delle anime. L’intenzione dell’ “Oceano di Saggezza” è quella di lasciare il posto ad un individuo democraticamente eletto.  Ciò nell’idea di consentire al Tibet di avere un nuovo capo politico e quindi, si spera, anche una maggiore possibilità di dialogo con la Cina. Quest’ultima non di rado ha manifestato disprezzo nei confronti del Dalai Lama definendolo “un lupo travestito da monaco” e accusandolo tra l’altro di aver collaborato con i terroristi islamici per destabilizzare il Paese prima dei Giochi Olimpici.

Ancor più grande appare la paura del capo religioso di lasciare alla sua morte (attualmente ha 76 anni) un vuoto di potere che potrebbe causare un duro colpo nei confronti di un Tibet sottoposto al dominio della Cina,  nonché costretto a vedere il suo Governo e il suo Parlamento esiliati dal 1959 in India.  Ancor vicina è la vicenda del presunto rapimento da parte delle autorità cinesi del Panchen Lama (ritenuto essere la reincarnazione del “Buddha della conoscenza”) individuato dal Dalai Lama in un bambino di sei anni nel 1995. In un tal clima di contrasto tra i due Paesi, a pochi giorni di distanza da quel 16 Marzo che ha visto un monaco tibetano darsi fuoco inneggiando alla libertà del Tibet, il Lama ha richiesto (e anzi preteso) che il Parlamento in esilio approvi un emendamento di riforma della Costituzione che  renda possibile la rinuncia, da parte del capo dei monaci buddhisti, al suo ruolo di Capo dello Stato e che porti a  un’elezione democratica . Tutto ciò in linea con le forti convinzioni democratiche di Tanzin Gyatso (questo il nome del 42esimo Dalai Lama), che già aveva portato Samdhong Rinpoche a divenire primo ministro per elezione popolare.

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Gioia Stendardo

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