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Quante e quali le fonti delle obbligazioni morali

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Ciascuno di noi, quotidianamente, in qualità di consociato, si trova nella condizione di dover adempiere a determinate obbligazioni morali. Doveri, cioè, di natura extra-giuridica, tipicamente derivanti dai rapporti intercorrenti tra i membri di una qualunque società.
Lo scopo del presente scritto è quello, da una parte, di presentare la pluralità di fonti da cui tali obbligazioni scaturiscono e, dall’altra, di interrogarsi sulla possibilità di ampliare il catalogo di tali fonti oltre quelle universalmente riconosciute come tali.
In primo luogo, la fonte predominante di obbligazioni morali in ambito sociale è quella del consenso. Non a caso, l’intera disciplina dei contratti, fonte tipica delle obbligazioni di tipo giuridico (di cui pure qui non vogliamo occuparci), si basa sul principio del consenso tra le parti.
Una seconda fonte di obbligazioni morali è, verosimilmente, la corrispettività, ossia l’argomento relativo allo scambio di prestazioni tra i soggetti interessati.

Dovremo chiederci, allora, quale grado di intensione vada riconosciuto a queste due prime fonti: sono esse in grado, da sé, di far sorgere un’obbligazione morale (fonti autonome) o necessitano ciascuna del concorso dell’altra per giungere a tale obiettivo (fonti sussidiarie)?

Cominciamo con la fonte del consenso, considerata tipicamente una fonte autonoma di obbligazioni morali. Ḕ davvero così?
Ipotizziamo che due soggetti si mettano d’accordo affinché A procuri a B un determinato quantitativo di pregiatissimo caviale, che B gli pagherà ad un prezzo convenuto. Ora, scindiamo tale esempio in tre casi.
Nel primo caso, A procura il caviale a B, il quale lo consuma interamente e si rifiuta di pagare. Chiaramente, nessuno sarebbe in grado di sostenere, in un caso come questo, l’assenza di un’obbligazione morale in capo a B: l’agire contemporaneo di consenso e reciprocità dà indubbiamente vita ad una tale obbligazione.
Nel secondo caso, A procura il caviale a B, il quale lo riceve ma, prima di consumarlo, cambia idea, sostenendo che, restituendolo ad A, non lo si potrà ritenere obbligato a versare il pagamento. In realtà, però, si potrebbe sostenere che anche in questo caso si assiste all’agire congiunto di consenso e reciprocità: la seconda è assicurata dal fatto che, pur non avendo B consumato il caviale, A ha comunque compiuto una prestazione (ha dedicato del tempo a rifornirsi del caviale, ovviamente avrà speso delle risorse economiche e, perché no, si sono in lui generate senz’altro aspettative a vedere ripagati i propri sforzi come pattuito), e dunque B è da ritenersi obbligato.
Nel terzo ed ultimo caso, un attimo dopo che A e B si sono messi d’accordo, il secondo cambia idea e vuole annullare il patto (si ribadisce nuovamente che i temi qui trattati non fanno riferimento a obbligazioni, e quindi norme, di tipo giuridico, ma piuttosto morale). Potrà lecitamente farlo? O lo si dovrà ritenere ormai obbligato, in quanto, una volta prestato il consenso, non importa la sussistenza della reciprocità perché si possa dare vita ad un’obbligazione morale? Evidentemente, se si ritiene B obbligato ci si dimostra favorevoli all’idea del consenso come fonte autonoma di obbligazioni morali, mentre chi ritiene B non obbligato opterà per la natura sussidiaria del consenso.

Analizziamo ora la fonte della reciprocità.
Se un soggetto A, in una data circostanza fattuale c, compie una determinata azione x in favore di un soggetto B, è lecito attendersi che, in un successivo verificarsi della medesima circostanza fattuale c, il soggetto B compia in favore di A l’azione x?
Se Tizio, fumatore, esaurito il proprio pacchetto, chiede a Caio una sigaretta e questo gliela dà, a parità di condizioni (ossia, nel caso in cui Tizio e Caio consumino esattamente lo stesso numero di sigarette al giorno e il numero di sigarette rimaste nel pacchetto di colui che non le ha ancora finite sia il medesimo), ma a parti invertite, è lecito attendersi che Tizio faccia lo stesso? Sussiste in capo a Tizio un obbligo morale di cedere una delle proprie sigarette? Si potrebbe rispondere affermativamente, se non altro perché, in tale esempio, una partecipazione da parte del soggetto che poi dovrà ritenersi obbligato (Tizio) all’azione da cui scaturisce l’eventuale obbligazione futura (azione che, si badi bene, è rappresentata dal cedere, da parte di Caio, la propria sigaretta a Tizio) non può negarsi.
Ma ipotizziamo un altro esempio: Tizio e Caia sono due amici. Il primo si reca spesso presso l’abitazione della seconda per uscire insieme. Senonché, Tizio si presenta regolarmente con un’automobile lercia, tragicamente immonda. Caia, un bel giorno, di nascosto, decide di prendere la macchina di Caio e portarla a far lavare alla più vicina stazione di servizio. Quando Tizio viene a conoscenza del fatto, pur grato a Caia, si rifiuta di renderle il corrispettivo in denaro del lavaggio della propria automobile, che la stessa Caia richiede. Ḕ in capo a Tizio un’obbligazione di restituire tale somma? Probabilmente saremmo tenuti a rispondere negativamente, in quanto Caia compie un’azione “discrezionale”, non richiesta, e non ha alcun diritto di chiedere il corrispettivo di una prestazione sì compiuta, ma che non vede la partecipazione del soggetto direttamente interessato (come invece vorrebbe il principio della reciprocità/corrispettività).
Chi non fosse convinto provi ad immaginare che Caia di cognome faccia Gates, mentre Tizio viva abitualmente sotto i ponti, possedendo come unico bene di proprietà quell’automobile disastrata. Forse che si potrebbe sostenere che un soggetto che ha compiuto un’azione completamente irrilevante dal punto di vista del proprio patrimonio (Caia) possa chiedere a Tizio una prestazione corrispettiva di quell’azione non richiesta né voluta, che comporti a questo la cessione di un “reddito” pari a due settimane di questua a tempo pieno?
E ancora, se qualcuno lavasse il vetro della vostra automobile, peraltro perfettamente pulito, mentre siete fermi al semaforo, senza dar retta ai vostri segni di dissenso, forse che dovreste considerarvi moralmente obbligati a pagargli la prestazione, compiuta esplicitamente contro il vostro volere?

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Gli esempi presentati sembrano suggerirci che tanto la fonte del consenso quanto quella della reciprocità (o corrispettività) siano da considerarsi fonti sussidiarie, ancillari, in quanto entrambe incapaci di dar vita, di per sé, ad obbligazioni morali in capo ad un soggetto. In altre parole, consenso e reciprocità hanno bisogno ciascuno dell’altra per ritenere un soggetto obbligato: obbligazione morale sorgerà solo laddove entrambi i requisiti siano soddisfatti.
(Si badi che la questione non è per nulla pacifica, in particolar modo con riferimento al consenso, ritenuto comunemente una fonte autonoma.)

Per chiarire ulteriormente la relazione intercorrente tra consenso e reciprocità presentiamo un ulteriore esempio.
Ginevra e Mario sono una coppia di sposi (matrimonio civile, si badi) che hanno appena festeggiato i 10 anni di matrimonio. Mario viene a conoscenza (il come non rileva) che la moglie l’ha recentemente tradito. Come dovrebbe comportarsi il marito tradito nell’atto del rimproverare la moglie fedifraga? Dovrebbe invocare con maggior vigore il fatto che sposandosi i coniugi si siano impegnati ad essere fedeli l’un l’altra fino alla morte (argomento del consenso) o piuttosto il fatto che lui sua moglie non l’ha mai tradita, e quindi che nemmeno lei avrebbe mai dovuto avere l’ardire di tradire lui (argomento della corrispettività)?
Questo è un buon test per valutare come ciascuno di noi la pensi con riferimento all’intensione da attribuire alle due fonti: se si opta per la necessità di avanzare entrambi gli argomenti si abbraccia l’idea presentata in questo scritto, per cui le due fonti non possono proficuamente operare se non in coppia. Qualora, invece, si optasse per avanzare una sola delle due argomentazioni, si sosterrebbe la natura di fonte autonoma della reciprocità o, più probabilmente, del consenso.
Non si indagherà, in questa sede, il problema dell’incapacità di intendere e volere di uno dei soggetti coinvolti né l’eventuale disparità di potere contrattuale. Si tenga a mente, in ogni caso, come questi fattori possano pregiudicare la fonte del consenso.

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In conclusione, sembra conveniente valutare altre due potenziali fonti di obbligazioni: al lettore la decisione se considerarle tali o meno.
Un’analisi più approfondita rende palese quante obbligazioni morali ritenute valide dalla maggior parte di noi siano tralasciate dall’argomento del consenso (e da quello della reciprocità). Pensiamo al dovere di rispettare i nostri simili, o l’ambiente. Sostenere che siano doveri derivanti dal consenso è alquanto fazioso, oltre che valevole solo in senso lato. Certo, io decido di rispettare i miei simili, acconsento a comportarmi in una maniera rispettosa, ma non è in questi termini che si è considerata fin qui la fonte del consenso (la si è considerata piuttosto alla stregua dell’uso che se ne fa in ambito contrattuale, come dante vita ad obbligazioni di tipo sinallagmatico piuttosto che universale). E nemmeno, usualmente, noi rispettiamo il prossimo esclusivamente perché il prossimo rispetta noi (anche qui, l’argomento della corrispettività può svolgere funzione ancillare, ma non è quello il motivo primo per cui rispettiamo i nostri simili). Non potendo dunque sussumere doveri morali di questo tipo sotto consenso o corrispettività, sembra bene introdurre la ragione come ulteriore fonte di obbligazioni morali. E, si badi bene, la ragione può voler dire molte cose: può, cioè, includere contestualmente (e legittimare, perlomeno dal punto di vista formale) svariate teorie di filosofia morale, purché facciano sorgere una certa obbligazione. Un sostenitore dell’approccio deontologico-kantiano ai problemi morali considererà dovere morale rispettare gli esseri umani per ragioni assai diverse da quelle invocate da un sostenitore dell’approccio utilitarista benthamiano; nondimeno, entrambi fanno appello ad argomentazioni di carattere razionale.

Infine, si valuti l’opinione sostenuta dai c.d. comunitaristi (MacIntyre e Sandel su tutti): consenso, corrispettività e ragione non esauriscono le fonti delle obbligazioni morali, perché tralasciano aspetti importanti relativi alla nostra identità e tradizione.
Proviamo a chiarire la loro posizione con un esempio: Giacomo si reca al mare con proprio figlio Bernardo. Quest’ultimo decide di fare un bagno in mare, mentre suo padre resta sulla spiaggia a prendere il sole. A un certo punto, Giacomo, assopitosi, si sveglia e sente delle urla in lontananza. Si accorge, contestualmente, che due natanti sono in difficoltà e rischiano di annegare. I due sono ad una ragguardevole distanza l’uno dall’altro, tale per cui Giacomo sarebbe comunque in grado di salvarne uno soltanto. Uno dei due è suo figlio Bernardo. Ḕ giusto ritenere che Giacomo abbia un dovere morale di salvare proprio figlio anziché lo sconosciuto natante? I comunitaristi risponderanno affermativamente. In realtà, si potrebbe rispondere loro che tale esempio può essere ricondotto sotto la fonte del consenso, come tutti i doveri dei padri verso i figli: due soggetti, quando progettano di concepire un figlio, si fanno carico di tutti i doveri che questo comporta (dall’alimentazione all’educazione e via discorrendo). Giusto.
Invertiamo allora la situazione dell’esempio: ora è Giacomo che sta affogando; sussiste in capo al figlio Bernardo un obbligo morale di salvare suo padre anziché l’altro soggetto? I più intrepidi avversari del comunitarismo potrebbero sostenere che quest’esempio può essere ricondotto sotto l’altra delle due fonti viste inizialmente, ossia quella della corrispettività: Bernardo ha sì un obbligo di salvare suo padre, ma esclusivamente per il fatto che Giacomo, quando Bernardo era un bambino incapace di provvedere a sé stesso, lo ha nutrito e ha provveduto alla sua educazione. Ma siamo certi che l’argomento della corrispettività regga? Forse che se Giacomo fosse stato un padre negligente e violento Bernardo non avrebbe ad ogni modo l’obbligo di salvarlo? E se Giacomo fosse stato un padre così-così, che dovrebbe fare Bernardo? Salvarlo sì, ma dopo avergli fatto bere parecchia acqua, di modo da pareggiare i conti? In realtà, l’argomento della corrispettività è alquanto vago e fallace.
Inoltre, avendo sostenuto fin qui che tanto il consenso quanto la reciprocità sono fonti di natura ancillare, cadremmo in contraddizione se sostenessimo che è in forza del solo consenso che Giacomo deve salvare Bernardo, e che è in forza della sola reciprocità che Bernardo deve salvare Giacomo.

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La teoria comunitarista ha anche il pregio di sollevare un’altra questione, cui qui non si farà più che un cenno. I doveri e le responsabilità morali sono sempre necessariamente individuali e personali o ne esistono di collettive? Ḕ giusto che l’attuale cancelliere tedesco si scusi per le barbarie commesse nei confronti degli ebrei dalla Germania nazista? E ancora, gli statunitensi del XXI secolo dovrebbero sentirsi moralmente responsabili degli stermini nei confronti degli indiani d’America? Oppure siamo rimproverabili solo di ciò che abbiamo effettivamente compiuto, cui abbiamo dato il nostro consenso?

Si tenga conto, infine, che illustri autori del calibro di Immanuel Kant e John Rawls non potrebbero in alcun modo sostenere l’esistenza dell’identità come fonte di obbligazioni morali, in quanto la riterrebbero sussumibile sotto la fonte della ragione.

Lorenzo Azzi

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