Pubblichiamo la versione integrale dell’intervista al professor Zagrebelsky, apparsa in versione ridotta sul nostro numero cartaceo di dicembre.
Avere l’opportunità di seguire un corso con un Presidente Emerito della Corte Costituzionale, socio dell’Accademia dei Lincei, editorialista de “La Repubblica” e de “La Stampa”, presidente onorario dell’associazione “Libertà e Giustizia” non capita tutti i giorni. Ma già dopo poche parole, ci si rende conto che Gustavo Zagrebelsky è molto più di tutto ciò. Un giurista che sa anche essere pedagogo ed educatore civile. Il tema del corso è quello della riforma della giustizia in Italia. Questione annosa, che necessita di risposte concrete e immediate. Ciò che stupisce e incanta del Professore è che a tali problemi squisitamente giuridici riesce a dare soluzioni multidisciplinari, ricche di riferimenti al mondo della storia, della filosofia, della letteratura. Poco attinenti al problema concreto? In realtà, ci si rende conto che ogni problema giuridico attiene in primis alle relazioni fra gli uomini e che quindi non può che essere affrontato se non facendo riferimento alle scienze umane nel loro insieme.
Lei è un professore di diritto. Per quale motivo le sue lezioni sono così intrise di riferimenti ad altre discipline?
La mia idea è che il diritto faccia parte delle scienze umane; si può studiare la matematica, la geometria concentrandosi solo su di esse, in quanto appartengono al mondo delle scienze esatte. Le scienze umane hanno invece la caratteristica di investire l’umanità nel suo insieme. Tutte le scienze umane – la storiografia, l’economia, la filosofia, la giurisprudenza, la sociologia… – sono strettamente intrecciate fra di loro: non è pensabile scorporarne una dall’insieme perché alla fine il tutto perderebbe di significato.
Non crede però che ultimamente ci sia la tendenza a fare il contrario, nel senso che, soprattutto sui banchi dell’università, si tende a porsi nei confronti di ogni singola disciplina come un qualcosa a sé stante?
Sì. Ad esempio, Hans Kelsen sosteneva una tesi per cui il diritto è una scienza pura; intendeva depurare lo studio del diritto da tutto ciò che ci sta attorno e che lui considerava non giuridico. Pertanto, tutte le scienza umane devono rimanere fuori dall’orizzonte dei giuristi. Questa è una pretesa che però contraddice l’idea dell’unità della cultura, laddove ogni momento storico è il prodotto di tutte le scienze umane viste nel loro complesso. La giurisprudenza contribuisce alla formazione della cultura nel suo insieme, e viceversa la cultura nel suo insieme determina anche il diritto, nel modo di intenderlo e di interpretarlo. L’idea del giurista puro è una vera astrazione, ed è anche una figura un po’ inquietante. Colui che conosce a memoria la legge e che è distaccato dalla realtà e dal mondo in cui è inserito è un maniaco. E questi giuristi esistono, io ne conosco.
Questo discorso può essere più chiaro nella figura del professore o del teorico; si può però vedere questa unità delle scienze umane nel giurista pratico come un magistrato o un avvocato?
Ovviamente appartengono tutti allo stesso mondo, quindi dovrebbero avvertire tutti quanti questa esigenza di complessità. Io capisco benissimo che all’università si studi principalmente quelle che sono le strutture legislative, dato che oggi il diritto è principalmente legislativo, non si può buttare tutto all’aria. Quello che vi voglio dire è che questo è indispensabile ma non basta. Quando insegnavo al primo anno e i miei studenti mi chiedevano quali fossero i libri di testo, io rispondevo un po’ provocatoriamente di leggere “I Fratelli Karamazov”, “Delitto e Castigo”… Bisogna darsi un orientamento nel rapporto che si instaura con la società in cui si vive: il diritto deve essere un elemento sia della società che della vostra persona. Questa è la mia convinzione profonda. Per concludere, non disprezzate l’insegnamento tecnico del diritto ma coltivate anche i vostri interessi culturali che vadano al di là del diritto: letteratura, poesia, cinema, musica. Ossia, tutto ciò che fa di un giurista un umanista. Il giurista ha sì a che fare con commi e articoli ma per poi affrontare questioni della vita.
Può dirci qual è secondo lei l’elemento più importante della Costituzione oggi?
Vorrei rispondervi con una battuta: è la Costituzione stessa. Ma non la Costituzione fatta da articoli e commi bensì l’idea di Costituzione. Konrad Hesse diceva che le Costituzioni vivono se c’è una volontà di Costituzione: questo è profondamente vero. Volontà di Costituzione vuol dire la volontà dei cittadini di vivere costituzionalmente, cioè di vivere in un contesto dominato da regole comuni in cui non ci sia la sopraffazione dei più forti sui più deboli. Ci deve essere piuttosto cooperazione, una volontà comune per l’insieme. Ditemi voi se la dimensione costituzionale non è essenziale in un momento in cui si è costituito un nuovo governo che chiederà ai cittadini sacrifici profondi. Se non si ha questa volontà di vivere costituzionalmente ciascuno si ritrarrà nei propri egoismi: la volontà di Costituzione è la premessa per dire che quando sorge un problema dobbiamo affrontarlo tutti quanti insieme.
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