Quale domanda più indiscreta penserete. Provate allora a porla a ministri, sottosegretari e manager pubblici più o meno conosciuti e la frittata è pronta. Sono giorni che non si parla d’altro ormai: tutti al centro di un polverone di polemiche innescato dalla coraggiosa decisione presa dal governo Monti di rendere pubblici i dati relativi ai redditi 2010 dei membri dell’esecutivo. Ma ha davvero un senso civico tutto ciò?
Sapere che il ministro Piero Gnudi non dichiara nessun immobile e che Ciaccia, al contrario, pare ne abbia 9. Vedere che il capo del dicastero dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, è stato superato proprio all’ultima curva dalla collega Guardasigilli tra chi ha guadagnato di più. Roba da non dormirci su, se penso che sto studiando economia e non giurisprudenza. E’ il nostro amato Premier? Si ferma a “soli” 1,5 milioni. Ma come, pure dietro Gnudi? Verrebbe quasi voglia di non rivolgergli più quella forte ammirazione. Ornaghi invece come se la passerà?
E’ più o meno cosi che gli Italiani stanno traducendo il gesto di pubblicare i dati, peggio che dal parrucchiere. Non posso che parlarne in modo sarcastico, la mia indole lo impone stentando a capire cosa sta accadendo. Ma l’opinione pubblica è questo che chiede e tutto ciò pare abbia così tanta rilevanza da stravolgere le prime pagine dei quotidiani arrivando ad intasare la rete al punto da bloccare il sito del governo per alcune ore a causa dei troppi accessi.
Non era di questo che avevamo bisogno. La trasparenza che ci si doveva aspettare era ben altra e la morbosità con cui abbiamo risposto non si può giustificare con la legittima curiosità di conoscere le cifre. Per tornare grandi dobbiamo crescere, è necessario voltare pagina e un primo passo non può esimersi dal cambiamento culturale. Gettate via questi schemi fissi da bigottismo, questa finta demagogia e torniamo tutti a rimboccarci le maniche guidati da pragmatismo e razionalità. Bello dirlo vero?
Intanto però, non appena l’ultimo microfono si spegnerà sulla vicenda altri se ne accenderanno sulle presunte irregolarità: accuse di maquillage, velature e omissioni. E giù via a gettare di nuovo fiumi di inchiostro fomentando l’ostilità verso chi sta tentando di riportare la barca in acque sicure. L’opinione pubblica invece si è arenata su questioni secondarie tralasciando i temi seri da affrontare: le gatte da pelare sono altre e noi tutti lo sappiamo. Ma è l’invidia il problema. Proprio l’invidia, quella che rende l’erba del vicino sempre più verde e, da tempo, anche lo stipendio più alto.
Marco Rastelli
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Sergio
Perfetto. Inquadra la situazione italiana in modo preciso. Il problema è prima di tutto culturale, non c’è dubbio a riguardo. Le manovre economiche serviranno a poco se non sviluppiamo un senso di comunità che vada in una direzione precisa, dove le disuguaglianze della cosiddetta “casta” (termine ormai abusato e che puzza pure un po’ di demagogia), che pure ci sono, devono essere viste come un effetto della mala gestione della cosa pubblica italiana e non come la causa. Perchè di fondo non si tratta di sdegno, ma di invidia. E questo è indicativo di qualcosa di marcio nel profondo del nostro tessuto sociale.