L’emozione di sentirsi parte e spettatore di un evento definito “univocamente epico”: questa la sensazione che ho provato durante l’incredibile freefall di Felix Baumgartner.
Un salto di 38.000 metri per superare un record già tentato cinquantadue anni fa da un coraggioso pilota, un’impresa rara che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso.
I numeri non possono, da soli, rendere giustizia a ciò che è accaduto qualche giorno fa, ma contribuiscono al sorgere di una domanda: perchè abbiamo ancora bisogno dello spazio?
In un mondo sempre più caratterizzato da una concretezza quasi spasmodica e da una frenesia lancinante, imprese come questa ci danno la possibilità di riflettere sul potere dell’uomo, sulle sue capacità. Nietzsche scrisse che “Solo alla fine della conoscenza di tutte le cose, l’uomo avrà conosciuto sé stesso. Le cose infatti sono soltanto i limiti dell’uomo”.
E’ la curiosità a condurre la nostra specie a sfidare gli stessi paletti imposti da Madre Natura ed è per mezzo di questo stesso motore che oggi possiamo essere testimoni di eventi quasi sensazionali, ai limiti stessi dell’immaginazione e di riflettere grazie ad essi.
E’ stato un lancio alla velocità supersonica (letteralmente oltre il muro delle onde sonore, 1200 km/h), con un duplice fine: il raggiungimento di un Guinness tanto bizzarro, quanto importante, ma anche un test del corpo umano in condizioni estreme, “a servizio” della Scienza.
Le abilità di Baumgartner sono state evidenti: di fronte all’alto rischio di un avvitamento (che avrebbe potuto condurre ad emorragie interne) il “lanciatore” è riuscito a stabilizzare la caduta, portando il corpo ad una posizione ottimale.
Ha superato (quasi) tutti i record fissati nel precedente lancio, in virtù di un desiderio: sfidare il limite. Non semplicemente una barriera sonora, bensì psicologica ed emozionale, infranta dalla conoscenza, dal sacrificio e dalla preparazione.
Come altre imprese prima di questa, tutte le missioni spaziali portano in sé un’intrinseca componente di stupore. Un desiderio fanciullesco di sognare ed immaginare, di sperare in qualcosa di più grande. Forse la Terra dovrebbe imparare dalla massa nera che le sta intorno: nonostante i problemi così reali che gravano su ognuno di noi, abbiamo ancora il coraggio e l’ardire di credere in un quid di unicità, di straordinarietà. A dispetto di scandali e fatti di cronaca che ogni giorno distruggono quell’emozione, siamo ancora – tutti – in grado di cercare qualcosa che vada aldilà.
E se è vero che siamo solo punti troppo piccoli rispetto all’immensità del cosmo, è anche vero che ogni barriera smette di essere tale in virtù di ciò che possiamo conoscere.
E’ il fascino di questa consapevolezza che ci spinge a guardare ancora allo Spazio, ad averne ancora bisogno.
Francesca Larosa
francesca.larosa@studbocconi.it
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