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Sono ormai rituali le polemiche che annualmente investono i cinque membri del Comitato Norvegese, all’indomani della proclamazione del vincitore del Nobel per la Pace. Polemiche che, naturalmente, non tangono le altre categorie del riconoscimento, poiché solo una ristretta platea conosce i premiati e le loro pubblicazioni. Non stupisce pertanto che il Nobel all’Unione Europea sia stato accolto da diversi esponenti del mondo politico con un misto di sufficienza e derisione.

Al netto però di quelle che sono spicciole ironie, resta la portata storica del riconoscimento, specie perché giunto nel momento più critico che l’Unione sta attraversando dalla sua fondazione. In questi mesi di crisi si stanno infatti riproponendo inquietanti dinamiche conflittuali tra nord virtuoso e sud scialacquatore, e viene da alcuni osservatori ventilata l’ipotesi di un Euro a due velocità, o perfino la sua abolizione.

Proprio in questo momento, quindi, in cui la tenuta stessa dell’Unione europea e della sua valuta sono in discussione, i cinque delegati norvegesi le conferiscono il premio più prestigioso per “il ruolo di stabilità giocato dall’Unione[, che] ha aiutato a trasformare la gran parte d’Europa da un continente di guerra a un continente di pace”.

E nonostante ancora molto ci sia da fare, per trasformare l’UE in un interlocutore affidabile e autorevole, e il “governo” dell’Europa venga spesso – e non sempre a torto –  rimproverato di immobilismo ed evanescenza, va riconosciuto agli ideatori di questo eterogeneo crogiolo di tradizioni, lingue e persone differenti l’incredibile merito di aver messo da parte – definitivamente – divisioni e rancori secolari, e di aver abbattuto le frontiere, cercando di creare un unico popolo Europeo. Certo, questo popolo esiste più sulla carta che nella realtà: le storiche antipatie e la diffidenza, tra nazioni che si sono sempre contrapposte tra di loro, restano, ma dati i trascorsi passati sarebbe stato incomprensibile il contrario. In qualche modo, intanto, l’esperimento, che inizialmente doveva essere solamente un’intesa a carattere economico (e che oltreoceano, nonostante tutto, tendono ancora a ritenere come tale) ha funzionato, e la prova ne è il fatto che la pace in Europa sia ormai considerata una normalità, e non un’incredibile eccezione della storia.

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Gli euroscettici e i nazionalisti nostalgici dovranno dunque arrendersi: la Storia si ripete, ma non torna sui suoi passi. L’unico modo per uscire da una crisi, che l’Europa non ha creato, ma in cui è ricaduta a causa delle sue debolezze strutturali, è per l’appunto quello di rimuovere tali ostacoli, e di avviare un reale processo di trasformazione, con la creazione di un unico corpo delle Forze Armate Europee, di un’unica banca centrale che funga anche da zecca continentale, e di un Parlamento che legiferi, e non si limiti a dispensare consigli. I tempi sono maturi per un soggetto politico che abbia potere effettivo e in cui i cittadini si possano riconoscere, senza le timidezze e i calcoli tattici che finora hanno prevalso, sia in seno all’UE, che all’ONU.

In questi tristi tempi di scandali nazionali, locali e regionali, poi, l’idea di avere una classe politica europea, in cui identificarsi e di cui esser orgogliosi, dovrebbe essere a maggior ragione una boccata di speranza per ognuno di noi.

 

Leandro Bonan

leandro.bonan@studbocconi.it

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