Ho intervistato Oscar Giannino, economista e giornalista, per conoscere meglio il suo liberal-“immoderato” pensiero, sul quale tredici settimane fa egli, insieme ad altri sei intellettuali liberali ha basato un innovativo manifesto che contiene un vero e proprio programma politico per salvare l’Italia, cambiare la politica e continuare a crescere: “Fermare il declino” è il titolo del suo progetto (e del movimento che ne è nato), che, ha promesso, verrà presto a farci conoscere.
Come giudica l’attuale situazione economica italiana?
Male. Siamo in presenza di tre sostanziali discontinuità che sospingono tutti coloro che ne hanno possibilità o ad andarsene o ad essere rassegnati; e abbiamo aggravato in questi ultimi due anni e mezzo di Euro-crisi la discesa di prodotto potenziale italiano, ormai sfortunatamente prolungata da vent’anni per ragioni strutturali, con la negativa conseguenza di un andamento peggiore rispetto a quello dei paesi deboli europei. In primo luogo occorre osservare l’enorme moria che colpisce la piccola impresa che lavora nel mercato domestico: questo si traduce nella più grave perdita del reddito disponibile nelle famiglie, nella più grave discesa dei consumi, e, in termini quantitativi, nella più grave discontinuità, in termini di saldo negativo, delle imprese dal secondo dopoguerra ad oggi. Inoltre, siamo il Paese che cerca di coprire il debito pubblico per l’80% con più imposte dirette, indirette e patrimoniali; non abbiamo le banche nazionalizzate, ma ne abbiamo con troppi mattoni, troppi dipendenti, basso cross selling, basso internet banking e, per di più, lo Stato dall’inizio dell’anno obbliga le banche a comprare titoli di debito pubblico al ritmo di trenta miliardi al mese. Infine, lo Stato non paga i suoi debiti: ha sette punti di PIL, cioè cento miliardi, che potrebbe mettere in circolo, e cioè di debiti commerciali verso le imprese e di crediti fiscali.
Cosa può succedere alle elezioni prossime?
Nel 2008 hanno votato 38 milioni di italiani, fino alla settimana scorsa le intenzioni di voto nei sondaggi erano espresse da 24 milioni di italiani: questa è la più grave rottura di continuità da quando esiste la Repubblica. Ad oggi il Movimento Cinque Stelle guidato da Beppe Grillo rappresenta il primo partito con un potenziale di conversione del totale dei voti di protesta in scelta elettorale, che è incomparabilmente maggiore di chiunque altro. Se a questo si aggiunge che il dimagrimento dei vecchi partiti non esprime un governo capace di stare in Europa di fronte ai mercati, la prima ipotesi è che i tedeschi, a pochi mesi dal loro voto, ci obblighino ad accettare prestiti dal fondo monetario e, in contropartita, ad attuare delle misure altamente restrittive quali l’abbattimento del 15% dello stipendio dei dipendenti pubblici; alternativamente, va considerata la siciliana “ipotesi Crocetta” come eventualità nazionale.
Lei quale delle due ipotesi sposa?
Io penso che esista un’alternativa: non sono né per la prima né per la seconda ipotesi.
Il mio no alla patrimoniale non è ideologico: sono abbastanza consapevole che è già troppo elevato il peso che sta nelle nostre tasche per la sostenibilità del conto economico pubblico annuale, in termini di imposte dirette, indirette e patrimoniali. L’alternativa è quella di disgiungere la sostenibilità del debito pubblico italiano dal conto economico pubblico e siccome ad essere patrimonializzate non sono solo le famiglie, ma è anche lo Stato, allora quei venticinque/trenta punti di debito pubblico sono da abbattere con la cessione di attivi pubblici, che sono perfettamente in grado di reggere venticinque punti di debito pubblico in cinque/sei anni.
Come considera la disaffezione dei cittadini rispetto alla politica?
Il rigetto di milioni di italiani verso quello che hanno visto, da centro destra, centro sinistra e centro, è purtroppo giustificato, perché ci siamo abituati a considerare legittime cose illegittime: il signor Fiorito, al netto di quanto ha rubato, guadagna il 50% in più di Barack Obama; il politico medio italiano mente quando dice che “tagliare la spesa pubblica è impossibile perché significa obbligare a tagliare servizi ai cittadini”. Tuttavia non c’è ancora reazione della società civile: noi non siamo abituati a reagire, consideriamo legittimo che lo Stato ci differenzi per fonti di percezione del reddito e che lo Stato si abbassi del 15% per decreto i canoni di locazione passivi mentre toglie le deduzioni e le detrazioni per i mutui.
Come incoraggia allora quella parte d’Italia ferita ed esausta?
Mi rivolgo loro con un curioso aneddoto facendoli pensare a quella piccola impresa di più di duemila anni fa che ha dovuto fronteggiare grandi avversità: i clienti le scagliavano contro pietre per le strade e il fondatore (astuto, vista la scelta del numero di dodici assistenti, per non superare la quota dei quindici), e che aveva pure sbagliato la scelta di un collaboratore, fu inchiodato a un pezzo di legno, su una collina, dal regolatore del mercato.
Quindi moriremo?
No, con le opportune strategie possiamo senz’altro risorgere!
Carlotta Busani
(carlotta.busani@gmail.com)
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