Quella mattina, dopo che conti e mastrini avevano approfittato delle prime tre ore di luce della giornata, scendo diretta al bar e accompagno il ginseng al tavolo. Siamo in tre: io la bevanda e le pagine del quotidiano. La mia giornata volta pagina: il corriere del battibecco a volte e ‘ miracoloso. Ti trascina 3 pagine sopra il meteo, dove brilla il sole della sezione cultura. Quella che, ahimè illusi dal fatto di essere in Università a rosicchiar faldoni, ci sembra una favoletta armoniosa .
Mi si presentano poche battute d’ un Minogue della London School of Economics. Ebbene si, non si tratta di Kylie popstar con cui condividono la k di Kenneth e l’origine australiana (d’ altronde a sinistra non c e’ la “A” di Anna).
In alto a destra una fototessera dell’ ultimo rinnovo di carta di identità di Kenneth rivela una maturità graffiante che – vi assicuro – risulterà inferiore a quella delle sue parole. Il suo libro intitola “La mente servile. Come la democrazia Erode la vita morale”.
Cosa aspettarsi da un titolo del genere tradotto in Italia da Istituto Bruno Leoni “un grido disperato contro il welfare state”? Per scoprirlo vado al convegno lo stesso pomeriggio all’ ora 18, non legale.
Lo scenario e’ quello di Minogue circondato da cultura: le copie del suo libro circolano in sala, tappeti a terra e affreschi in cupola attutiscono le graffianti, stavolta, rughe dei presenti. Mi sento un tulipano bianco olandese disponibile a screziarmi. Vedremo di quale colore.
L’autore afferma di limitarsi a descrivere una situazione di fatto. E’ liscia come l’olio. La sua descrizione pare un dipinto, appunto ad olio. Ecco le pennellate, alla Monet:
- In tutti gli stati democratici fondati sul modello del welfare state c ‘è una morale coercitiva.
- In misura maggiore o minore lo Stato compie scelte morali e le persegue con politiche pubbliche: politicamente imperative ed eticamente obbligatorie
- Lo Stato diventa responsabile (i.e. si impossessa) di una, tra le tante, scelte morali che …spetterebbero a noi (individui).
Ed e cosi che il “buon padre di famiglia” per eccellenza,che si interessa del benessere collettivo, in realtà avoca a sé scelte morali che – pur giuste che siano – comprimono altrettante scelte individuali.
Avverte Kenneth: questa forma di educazione produce un effetto drammatico: la deresponsabilizzazione della società di individui .
Se il diritto impone la morale allora sono spiazzati i diritti morali del cittadino . L’ individuo (che e ‘ moralità, dimensione interiore ) si indebolisce. Ci predisponiamo a conformismo ed acquiescenza. Siamo portati a valutare ogni errore come il frutto di un difetto strutturale. In effetti – venuto meno l’ individuo in quanto tale – l’ individuo non è colpevole. Perché – denuncia Minogue – “l’ individuo è agito“!
La soluzione catartica offerta dall’ autore è erodere la predisposizione all’ asservimento mentale dell’individuo rivalutando la democrazia, non come spazio istituzionale ma come fattore culturale.
Proviamo a guardare l’individuo da lontano come un omino di un segnale stradale. Capita che esso si senta solidale perché ottempera a un dovere di solidarietà. Ma, a guardar bene, spesso l’individuo non compie una scelta positiva – sceglie di non rischiare la sanzione.
Se lo Stato gli impone, in attuazione del suo dovere di solidarietà, di versare il suo cinque per mille lui, l’individuo, “si decide” a scegliere il destinatario. Ed è così che, dichiarazione dopo dichiarazione, matura una quota di solidarietà e un posto in Paradiso. Tuttavia credo che Dante avrebbe seri dubbi a metter in paradiso un cavallo che raggiunge il traguardo per il solo fatto di essere domato, ferrato e coartato.
Ribaltando l’ affermazione di Kenneth in negativo affermiamo che dove non c’è coercizione, c’è morale individuale. Troppo ottimista? Suppongo che nel ranking di notorietà, il termine “morale” individualmente inteso perda posizioni. Non sta in testa alla classifica dai tempi del Medioevo. E’ un fioretto ahimè appassito. Eppure farfugliamo sulla “questione morale del partito”. Prima di uno poi dell’ altro. In particolar modo ci affatichiamo a meditare sulla morale di quegli individui che ora stanno là, sulla torre d’avorio.
Insomma, impegnati dallo zapping dei talk show alla ricerca del volto amorale del potente e la convinzione che nel pagare le tasse si esaurisca il valore morale – e ne avanzi pure – trascuriamo la nostra moralità vera.
In fondo se la morale è imposta per legge, il dilemma tra bene/male/non male non passa tra le mie membra ed i miei pensieri. Pensiamo semplice: pensiamo alla scelta di accantonare somme di denaro per la pensione. Un italiano non sceglie se essere previdente: c’è la Previdenza (sociale, ora non più Provvidenza) obbligatoria. Ma se una alternativa fosse riconsegnata all’ individuo? Saremmo tutti dello stessa “razza”di formiche? Prendendo a prestito Esopo, potremmo semmai permetterci di discutere se a priori sia sbagliato o meno essere cicale. E se fossimo formiche in magra e cicale frattanto? Senza l’ obbligatorietà le pensioni e le persone sarebbero diverse.
Ipotizzando un dialogo con l’ individuo, uno generico qualunque, lo informiamo che lui e’ espropriato di tante scelte morali.
– Te ne sei mai accorto? – No .
– Non ti senti usurpato??? – No, non sento nulla.
In effetti qualcosa sentiamo: nel torto temiamo. Temiamo la sanzione. Temiamo i vigili e i controllori. Si teme la finanza. Non temiamo la coscienza.
La verità è che salire sul tram senza biglietto non ci preoccupa. Almeno fino a quando non ci beccano. Siamo così assuefatti dalla dimensione pubblicistica del mondano politico morale usurpatore e irresponsabile nella gestione dei soldi pubblici che – col grillo che frinisce – finiamo per non avvertire la responsabilità morale di starcene seduti con noi stessi su un tram senza averne diritto.
Anche se “il naufragar m’è dolce in questo mare”, attenzione alla profezia del Minogue: a lungo termine ci annichiliamo, ci asserviamo al potere. La forza della società di individui avvezza al dovere deve saper riprendere a dialogare su scelte che incontestabilmente appartengono allo Stato. E vedere oltre lo stato una propria personalissima morale . Una sfida dal basso dopo anni di scarica barile verso l’alto. Avvincente.
E tu – omino nero – sei pronto a lanciarti nell’ indiscutibile? Utilizzeremo un metodo socratico (l’ aperitivo) e dialogherai con la Legge.
Ne prede atto. Si sente forte. Ora è grande. È potente, esce dal segnale!
Ed io, tulipano? Mi screzio. Prendo atto che, nella misura in cui compiamo scelte imposte, perdiamo le occasioni di formare in maniera eccentrica la nostra morale. Perdiamo la fragranza dell’ individuo che si tempra compiendo libere scelte impegnative.
Ciò che apprendo dai liberali è che non è liberale disinteressarsi della mia morale, fingendo che non esista o sia negazione di quella pubblica. Loro, bensì, mi dicono di esercitarla, seppur entro gli spazi angusti di una cd. morale coercitiva.
È una visione energizzante dell’ individuo, che screzia i tulipani… quelli che fecero impazzire gli uomini.
Elda Maresca
aelda@live.it
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