di Giovanni Borghi – Ci sono persone costrette a vivere nell’ombra. Persone che vivono, studiano, pensano, amano, sognano ma che non hanno un libretto di carta e tessuto, chiamato passaporto, che ne attesti l’appartenenza a uno Stato. Sono apolidi, persone senza nazionalità, e per questo molto spesso privati dal governo del paese dove vivono dei più elementari e naturali diritti di ogni essere umano: il diritto di sposarsi, di viaggiare e, soprattutto, di lavorare, di guadagnarsi da vivere lavorando per altri o in proprio. E chi è senza diritti è destinato a rimanere anche senza futuro. Ma qualcuno, con grande forza di volontà, riesce a vincere l’indifferenza della burocrazia e a riconquistare il diritto a una vita normale. Uno di loro è Dari Tjupa, un bocconiano come noi che al momento in cui scrivo aspetta solo di poter discutere la tanto agognata tesi di laurea. A prima vista uno studente normale, ma che tanto normale non è: il costo dell’aver raggiunto questo traguardo fa si che la sua laurea assuma un valore ancora più speciale.
Dari nasce in una città sovietica nel periodo del tramonto dell’impero, un periodo di grande trasformazione ed euforia. La madre è impegnata in un movimento politico clandestino per l’indipendenza dell’Estonia dall’occupazione sovietica che li porterà a dover fuggire a Milano nell’oramai lontano 1995. Ma per una lacuna, colmata troppo tardi, nella legislazione estone, rimane senza cittadinanza e senza passaporto. Riesce tuttavia a frequentare il Civico Liceo Linguistico Alessandro Manzoni di Milano, dopodichè, grazie a un permesso di soggiorno provvisorio e a una borsa di studio per meriti accademici, può iscriversi nella nostra Università. La mattina e nel pomeriggio frequenta le lezioni, confida con orgoglio di non averne persa neanche una in quattro anni di corso, la sera torna a casa ad aiutare la madre nella sua piccola impresa artigianale di fabbricazione di ricami. Quando l’attività artigianale della madre viene travolta dalla crisi economica è costretto per prima cosa ad abbandonare gli studi ad un passo della laurea. Poi arriva lo sfratto di casa e si ritrova a dormire a Linate o in Stazione centrale e a mangiare alle mense dei poveri perché nessuno può assumerlo senza un permesso di lavoro. “Un’esperienza che ti cambia in meglio, se riesci a venirne fuori” mi confessa “Capisci molte cose, come funziona realmente il mondo e ho imparato qual’ è la chiave del vero successo nella vita: cercare di dare, dare il meglio di sé agli altri, anche quando sei disperato ed indigente. L’idea comune del successo è quella di “homo homini lupus” ma in realtà pensare in quel modo non ti porta mai felicità e pace d’animo”. I suoi modi sono gentili ma i suoi occhi mi fissano con la determinazione di chi ha vissuto tanto e crede fermamente in quello che dice “Un’altra lezione importante è quella di aggrapparsi sempre ad un pensiero positivo che ti consenta di andare avanti. Non voglio banalizzare però ” precisa: “Pensare positivo per me vuol dire sapere sempre chi vuoi essere, quello che vuoi fare, e gli obiettivi che vuoi raggiungere”. Poi la svolta: l’incontro con il dottor Grillo, direttore dell’ISU Bocconi che lo prende per mano, “il padre che non ho mai avuto” mi confida con un sorriso, e in poco tempo la sua condizione cambia. Viene accolto in un dormitorio della Caritas, trova un relatore e riesce a scrivere la tesi, ottiene finalmente il certificato di apolidia e il permesso di lavoro per poter costruire un futuro. Iniziamo a parlare di economia e si mostra incredibilmente competente, distruggendo molte false credenze che avevo. Rimango sbalordito dalla sua conoscenza e si imbarazza un poco quando mi complimento con lui per l’originalità del suo pensiero. Capisco allora che quello che l’ISU ha fatto non è solo un regalo per lui, ma per il mondo: ha dato la possibilità a un talento di non andare sprecato e a tutti noi di poter godere di esso. Quindi congratulazioni Dari, ora apolide certificato e dottore in economia, le tue conquiste saranno per noi un esempio ed un dono prezioso.
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