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Dacci oggi il nostro pane quotidiano

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pane

di Francesca Larosa

C’era una volta il pane fatto in casa. Ingredienti poveri, ma perfettamente salutari, e qualche ora di preparazione. Sembra l’inizio di qualcosa di romantico e fiabesco, eppure descrive il trend che la Coldiretti ha da poco rilevato nel nostro Paese: i panifici chiudono e gli Italiani sono tornati a scoprire il piacere di farsi in casa perfino gli alimenti di base.

Sembra incredibile, mi rendo conto, ma è tutto vero. La spia si è accesa nei primi mesi del 2013. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti, all’interno della quale si evidenzia nell’anno passato un aumento record degli acquisti in quantità di farina (+8%), uova (+6%) e burro (+4%), in controtendenza rispetto al calo complessivo dell’1,5% degli alimentari registrato nella grande distribuzione, con un taglio della spesa di 1,1 miliardi di euro sui prodotti confezionati secondo Nielsen.

Un cambiamento ancora più marcato soprattutto nel periodo di Carnevale, quando gli italiani si sono cimentati nella preparazione di chiacchiere, frappe, castagnole e frittelle.

Un ritorno all’autarchia, dunque, che lascia sì perplessi, ma non troppo stupiti. A ben pensarci, infatti, già l’Istat aveva lanciato l’allarme di un calo delle vendite dei generi alimentari pre-confezionati. Certo è che l’austerità sta avendo diverse conseguenze e un ritorno così marcato ad un passato, che sembrava ormai lontano, non era proprio previsto dagli economisti.

Non ci sono – certo – solo lati negativi. Una riscoperta dei sapori locali, genuini e stagionali, aiuta il pianeta, oltre che l’economia di piccole aree. Secondo una indagine Coldiretti/Swg, un italiano su tre (33%) prepara più spesso rispetto al passato la pizza in casa, il 19% più frequentemente fa addirittura il pane, il 18% marmellate, sottoli o sottaceti, il 13% la pasta e l’11% i dolci.

Perché? Ci sono essenzialmente due potenziali spiegazioni di fronte ad un tale fenomeno. La prima ragione è da ricercarsi nella necessità di risparmiare, di tagliare – praticamente ovunque – le proprie spese. Il secondo motivo, però, è da ricercarsi in una maggiore attenzione verso l’alimentazione di qualità e la scelta degli ingredienti garantisce sicuramente la freschezza del prodotto finito.

Tutta questa consapevolezza potrebbe essere il risultato dell’aumento del numero dei  programmi di cucina, dei blog, delle manifestazioni eno-gastronomiche, così come della diffusione capillare della filiera corta…..tutto può aver gioco un ruolo, ma certo la food industry sta riscoprendo una nuova dimensione.

Non è tutto oro quel che luccica e il lato inaspettato della medaglia è dato dalla progressiva scomparsa di un fenomeno tutto italiano ed estremamente radicato sul territorio. Avete presente l’allarme lanciato con quotidiana precisione della chiusura degli esercizi commerciali? Ebbene, la conversione della popolazione all’autarchia ha come lato oscuro la progressiva cancellazione di un numero esorbitante di…..panifici!Soltanto nella zona di Roma, il 10% dei panifici esistenti ha dovuto dire addio al proprio business. I piccoli esercizi non sono, da un lato, in grado di competere con le grandi catene distributive. Dall’altro, però, non si sono adeguati ai gusti sempre più variegati degli italiani e non hanno saputo inserirsi in un mercato “di nicchia”. Mi spiego meglio. Milano è una città esemplare sotto questo profilo. Le bakeries esistenti hanno progressivamente adattato la propria offerta a gusti internazionali e – perché no? – originali. Alcune si sono trasformate in luoghi dove recarsi per l’aperitivo, altri sono laboratori a vista; alcuni usano particolari tipologie di grano, le restanti consegnano a domicilio. È solo, quindi, con questo spirito innovativo che hanno saputo stare a galla, diventando in alcuni casi, perfino luoghi di culto. Un’offerta variegata da un lato, un settore in declino dall’altro.

È proprio vero che il pane è l’alimento di base. Pochi, semplici ingredienti per sentire di fare qualcosa di buono per sé e per gli altri. È la riscoperta del genuino – o sono forse le ristrettezze economiche – ad aver spinto l’alimento più vecchio del mondo sotto i riflettori dei cervelloni che analizzano trends e consumi? “Ai posteri l’ardua sentenza”. L’unica certezza è che il Paese che ha inventato la “cucina povera” è l’apripista per una nuova tendenza. È un segnale importante che può servire da esempio per tutto il mondo del food. Non è il ristorante di Cracco, oggi, ad incarnare la serata perfetta, ma una cena cucinata con amore – al risparmio, ma alla qualità – con le proprie manine e l’aiuto di qualche blog o applicazione. Tecnologia al servizio della tradizione. Ci voleva l’aumento del consumo di uova per indicarci che il mondo sta cambiando, “risospinto senza sosta, nel passato”.

francesca.larosa@studbocconi.it

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