di Federico d’Agruma e Kim Salvadori
Un giudizio generale sulla sua esperienza? Il miglioramento più importante apportato al Corso di Laurea durante il suo mandato? Aree su cui bisogna ancora lavorare?
Beh, la mia esperienza a finance è stata abbastanza breve: solo due anni! Esperienza molto positiva, comunque: questo corso è interessante perché si confronta continuamente con il mercato, e dirigerlo è stimolante perché è come gestire qualcosa di vivo, che cambia sempre. Inoltre, poiché a finance c’è una selezione molto dura, si ha il piacere di lavorare con ragazzi molto bravi e motivati; per chi sta dall’altra parte della cattedra tutto ciò è appagante.
Cosa è migliorato? Ho cercato di focalizzare l’attenzione su internship e placement, partecipando allo sviluppo del Bocconi & Jobs Shanghai e di quello di Londra, entrambi eventi fondamentali dove studenti dai profili internazionali possono trovare numerose opportunità di carriera all’estero. Inoltre, ho cercato di trasmettere il concetto che finance non è soltanto legato a doppia mandata al mondo delle banche d’investimento, ma che i suoi studenti possono eccellere anche in altre istituzioni; ad esempio, lo scorso Febbraio abbiamo organizzato il Financial Services Recruiting Day, dedicato a istituzioni finanziarie diverse dalle banche d’investimento, quali Cassa Depositi e Prestiti, Fondo Strategico Italiano e Prelios.
In quanto ai cambiamenti futuri, il placement è migliorabile all’infinito, benché le statistiche siano dalla nostra parte e le offerte su JobGate e in YoU@B dedicate agli studenti siano numerose e di qualità; inoltre, un format come quello degli Investment Banking Weekends ci viene invidiato a livello internazionale. Credo però che la competizione tra compagni sia a volte esagerata: gli studenti devono capire che i colleghi di oggi saranno il network professionale di domani, e i professori dovrebbero sforzarsi a disincentivare comportamenti oltremodo competitivi in aula.
Eccessiva competizione. Una delle lamentele più frequenti riguarda il sistema di votazione, additato come concausa di un ambiente competitivo: applicare la normalizzazione in un corso dove la media d’ingresso dalla triennale supera il 28 non le sembra irragionevole?
Bella domanda. Ci sono due prospettive in materia: una di breve e una di lungo periodo. Per quanto riguarda il lungo periodo, bisogna lavorare per stimolare un cambiamento culturale: il voto di laurea è sì una variabile importante, ma non la più importante (aspetto già ampiamente recepito nel mercato del lavoro anglosassone). Inoltre, i recruiter considerano il voto di laurea in connessione con il corso frequentato, e il nostro Master of Science in Finance è un brand che vale e viene riconosciuto a livello internazionale. Per quanto riguarda il breve periodo, il concetto di normalizzazione dei voti va rivisto. Sono contro la normalizzazione rigida dei voti e a favore di un suo uso ragionevole e non forzoso. Devo dire che, negli ultimi anni, la situazione è andata mitigandosi, anche se sembra esserci poca omogeneità tra diversi professori e diversi corsi: andrebbe quindi forse rivisto il concetto direttamente a livello istituzionale. Anche se non sono d’accordo con una applicazione integralista della curvatura dei voti, ritengo però che non possiamo permetterci troppi bocconiani con 110 e lode sul mercato del lavoro.
Entrando nello specifico del corso finance, è inevitabile che la normalizzazione dei voti rischia di produrre distorsioni e competizione. Da un punto di vista pratico e di equità, non è però pensabile poter applicare a finance una curva più blanda rispetto agli altri corsi: la Bocconi non prevede e non prevederà mai corsi di laurea di serie A e di serie B, quindi la curvatura sarà applicata sempre a livello globale di Graduate School e non a livello di singoli corsi.
Facciamo un passo indietro alla scelta del corso. La capitale della finanza europea si trova fuori dall’Italia: perché un laureato di qualità dovrebbe scegliere una specialistica in finanza in Italia e in Bocconi?
La Bocconi ha radici italiane, ma è storicamente europeista ed europea. Anche se la piattaforma della finanza europea è a Londra, Milano rimane una delle piazze finanziarie più importanti nel continente. Il Master of Science in Finance rappresenta una porta d’ingresso di alta qualità, come testimoniato dal numero impressionante di nostri laureati assunti dalle più importanti istituzioni finanziarie internazionali.
Passo in avanti: sbocchi professionali. Quale sarà la figura professionale nei servizi finanziari che guadagnerà più importanza nei prossimi anni?
Il mondo della finanza sarà sempre fatto di alti e bassi: a seconda del ciclo, le figure professionali di spicco cambiano. Vedo due strade: da un lato le banche devono ritornare ad avere banker (dato che negli ultimi anni sono state dominate dai trader), devono tornare cioè a investire e a scommettere sulle capacità relazionali e sull’etica professionale. La seconda è la componente paese: nel futuro prossimo la conoscenza dei paesi asiatici costituirà sempre più un vantaggio.
A suo avviso, qual è la cosa più difficile per uno studente del primo anno di finance?
A differenza degli altri bienni, lo studente finance si gioca tantissimo nei primi mesi. Mi sono sempre battuto per una partenza anticipata del Corso e per il riposizionamento di qualche materia del piano studi. Un esempio è costituito da investment banking: una soluzione “coraggiosa” potrebbe essere concentrare il corso da Agosto a fine Ottobre per preparare al meglio gli studenti ai colloqui per summer internship. Due anni di gestione non sono però sufficienti ad apportare modifiche tanto significative.
Se lei fosse uno studente di Finance, qual è l’esame che troverebbe più difficile?
Quello del professor Favero, non ho dubbi, ma l’ho detto anche a lui (ride).
Riguardo ai contenuti stessi del corso, il piano formativo degli insegnamenti obbligatori viene avvertito come eccessivamente sbilanciato a favore di finanza quantitativa, a scapito di finanza aziendale.
Quello che in dipartimento vediamo e che ci conforta nell’andare avanti sono i risultati e quello che gli alumni ci dicono anni dopo la laurea: il giudizio unanime è che una spina dorsale fortemente quantitativa si rivela utile nel corso della carriera. Il problema non è tanto ridurre corsi, quanto il non avere abbastanza spazio per aggiungerne altri di utili. Ad esempio, investment banking avrebbe bisogno di un modulo avanzato con approfondimenti su finanza strutturata e private equity (che già esistono come opzionali, ndr). Inoltre, manca la trattazione di aspetti fiscali e legali connessi al mondo della finanza. Purtroppo il tempo è limitato ed è difficile pensare di poter fare ulteriori aggiunte.
Qual è il futuro del settore, vista la crisi attuale?
In Europa, stiamo arrivando al dunque: il 2014 è l’anno in cui si deciderà se l’Europa politica è un’ipotesi fattibile o meno. Spero che la BCE possa avere, in futuro, la possibilità di stampare moneta e sostenere così l’economia in modo più centralizzato e robusto. In caso contrario, la crisi in Europa sarà strutturale e duratura.
Nel resto del mondo, l’investment banking è sempre lo stesso business. Appena il governo cinese o quello indiano lanceranno dei processi di privatizzazione, l’investment banking avrà uno sviluppo simile a quello degli USA. E’ probabile che in futuro si crei una bolla di cartolarizzazioni in Cina così grande da minimizzare quella statunitense del 2006. Cambierà l’area di geografica di riferimento, ma non il business in sé: l’Asia potrebbe soppiantare in importanza Londra, ma forse non New York.
Un suggerimento per gli studenti attuali e futuri di finance …
Molta più cooperazione e teamwork tra studenti genererebbe più valore nel corso della vita professionale. Dedicare anche del tempo al pensiero laterale e ai soft skill è essenziale.
… e un messaggio per il suo “successore”, il professor Guidolin!
Sono rimasto molto contento dell’entusiasmo che sta dimostrando nel guidare una macchina nuova: Massimo è un grandissimo ricercatore che sta ora svolgendo molto bene un incarico nuovo per lui.
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