Tranquilli. Quello che sto per scrivere non è il classico articolo volto ad invogliare il bocconiano medio ad intraprendere attività extracurricolari, perché “la Bocconi offre mille possibilità” – frase ripetuta fino allo sfinimento nel nostro ateneo. Ciò che voglio dire, sperando di riuscirci, è qualcosa di diverso.
Quello che voglio trasmettere e’ un’ idea di università che a parer mio, confrontandomi con un grande numero di studenti bocconiani e no, attualmente manca. C’è infatti la tendenza a vedere l’università come un mondo a sé stante, in cui entriamo, studiamo, ci impegniamo e poi usciamo poco arricchiti, ma con quel senza dubbio fondamentale pezzo di carta che ci permette di accedere finalmente al mondo del lavoro.
Chi pensa che l’università sia solo questo, però, si sbaglia: l’universita è il periodo della nostra vita in cui cresciamo, facciamo le nostre prime esperienze da persone indipendenti e ci formiamo definitivamente come persone “sociali”, ovvero come cittadini veri e propri. Pertanto non limitiamoci ad assimilare unicamente il materiale d’esame, ma interessiamoci al mondo extra-universitario: probabilmente questo non contribuirà ad offrirci un lavoro migliore e meglio pagato, spesso inoltre non potrà nemmeno arricchire il nostro CV, o forse si?
Secondo uno studio dell’università svizzera di Neuchatel, infatti, le attività extra-universitarie non solo contribuiscono ad arricchire il CV, ma ne costituiscono la parte fondamentale. Essendo negli ultimi 30 anni raddoppiato il numero di studenti, i 33 reclutatori interrogati nel sondaggio affermano che il solo diploma non è più sufficiente a rendere il proprio curriculum più interessante, ma che va integrato con qualsiasi tipo di attività che possa aiutare il reclutatore a capire qualche aspetto della personalità dello studente.
Esser stato capitano di una squadra di calcio è, per esempio, indice di capacità di leadership, chi è stato membro di qualche associazione spesso è incline a lavorare in team essendo generalmente abituato al dialogo, chi ha mostrato passione per l’arte o la musica, al contrario, può esser associato con una mente creativa e così via. Risulta quindi che attività apparentemente non inerenti con il mero percorso didattico possono aiutare gli studenti a distinguersi dagli altri più di quanto possa fare un 30 e lode sul libretto.
Potrei andare avanti una vita a fare esempi di attività che potrebbero caratterizzare la nostra vita universitaria, ma non è certo questo il mio obiettivo. Ciò che voglio far capire è che abbiamo infinite possibilità da sfruttare. A tal proposito Tommaso Monacelli, direttore del corso di laurea Cles, nella scorsa conferenza di inizio anno con gli studenti ha speso le seguenti parole: “non prendete l’università come un autolavaggio!”.
Al cospetto di 250 matricole, me compreso, sbalordite al primo giorno di università, Monacelli ha subito chiarito il significato di quell’enigmatica frase: non dovevamo entrare all’università e far sì che questa ci conducesse passivamente fino al mondo del lavoro, “che credetemi sarà fonte di grande delusione”, ma al contrario ci ha suggerito di viverla come un’opportunità, non limitandoci allo studio per gli esami ma andando più nel profondo.
In tutto il resto del mio – ancora breve – periodo in Bocconi, mai ho sentito una frase più vera di questa. È forse l’unico discorso che veramente mi ha colpito, e credo che tutti dovremmo tenerne conto: potremmo pentirci di aver fatto il contrario tra qualche anno, quando ormai staremo, si spera, lavorando.
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