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L’Avventuriero e L’Imprenditore: due professioni a confronto

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di Giorgia Ortolani

Cosa potranno mai avere in comune un avventuriero e un imprenditore?

Il primo affronta spavaldo bestie feroci e mari in tempesta, il secondo si guadagna la pagnotta mandando avanti un’attività. Da un lato l’immagine folle e romantica di un uomo che fa i conti con la natura. Dall’altro un arricchito pasciuto che vive per i numeri invece che per dei sani principi morali. Se il primo suscita un’istintiva stima per quel risalire alle origini, il secondo vince al massimo il rispetto per essersi fatto da solo.

Il valore umano dell’imprenditore viene spesso tralasciato, giudicandolo in base al numero dei suoi dipendenti, al fatturato, al punto d’arrivo. Ma cosa dire del punto di partenza? È lì da ricercare la vera storia, è a quello stadio che la componente passionale si mischia a quella venale. L’investimento fatto non è solo monetario, ma anche psicologico, morale, di cuore. Ogni impresa, persino la più grande, è nata da un sogno e non è forse il perseguimento di un sogno una nobile avventura?

A parlare d’imprese, sogni e avventure, sono Alex Bellini e Riccardo Donadon, intervistati da Paolo Costa, docente presso l’Università di Pavia. Il primo, pur valdostano, ha attraversato in solitaria l’Atlantico su una barca a remi, partendo dal Perù e arrivando quasi a Sydney. Totale: 18.000 km. Tre anni dopo, nel 2011, ha partecipato alla LA-NY footrace, corsa a piedi dalla West alla East coast americana. Sono partiti in 19 e, dopo settanta giorni senza nemmeno una tappa di riposo, arrivati in 8. Totale: oltre 5.000 km.

Il secondo, dopo aver dato vita al primo centro commerciale italiano online e a E-Tree, una webagency, ha fondato H-Farm. Questa è nata nel 2005 come una fabbrica d’idee che mira a dare vita a una “minuscola Silicon Valley”, come scrisse il Sole 24 Ore anni fa. L’obiettivo, ambizioso ma raggiungibile, sarebbe quello di “supportare la trasformazione delle aziende italiane in un’ottica digitale”, come recita il sito.

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Ci si chiede quindi, qual è il loro minimo comun denominatore? La risposta è facile: il sogno.

Entrambi hanno costruito la loro vita su una lucida follia, che li ha spinti a fare scommesse sulle proprie capacità. Alex si è scelto come avversario la natura, Riccardo il mercato. Entrambi hanno dovuto far fronte a fallimenti e insuccessi. Con cadute e rialzate, hanno imparato a camminare sulla sottile linea che separa il coraggio dall’incoscienza, il sogno dalla follia. Hanno vinto le paure che i loro mestieri prevedono, imparando l’importanza dello spirito di squadra, della solitudine, ma soprattutto del cambiamento.

Per sopravvivere, sia che si voglia imitare Ambrogio Fogar sia che si tenti di avvicinarsi a Leonardo Del Vecchio, bisogna reiventarsi, adattarsi, intuire dove si deve tenere duro e quando invece lasciare. In tutti i casi l’ingrediente principale è il coraggio. Non bisogna essere intrepidi esploratori per dimostrare questa virtù. Sarebbe bello ricordare, soprattutto tra noi bocconiani, che l’imprenditoria non è solo numeri a tanti zeri. È anche un’avventura.

Forse meno adrenalinica. Forse meno estrema. Ma pur sempre un’avventura.

giorgia.ortolani@studbocconi.it

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