di Chiara Asia Carnevale
Unico film italiano in concorso internazionale alla 67° edizione del Festival del Film di Locarno, Perfidia, del giovane regista sassarese Bonifacio Angius, racconta la storia di Angelino, un 35enne che diventa adulto attraverso il drammatico distacco dai genitori. Ciò che regna sovrano è il senso di inadeguatezza per le cose più semplici, quali lavoro e fidanzata, in una vita fatta di apatia e incomunicabilità, nella quale la perfidia più grande diviene proprio la solitudine.
All’università hai studiato psicologia. Come sei arrivato alla regia?
Ho studiato psicologia ma non ho finito il corso. Principalmente sono un autodidatta: ho imparato facendo piccole cose con gli amici, quando avevo una telecamerina da turista, poi piano piano la cosa si è fatta sempre più seria fino a quando non abbiamo realizzato, sempre con Stefano Deffenu (attore protagonista di Perfidia, ndr), il cortometraggio Ultimo giorno d’estate, girato con dei bambini nel paese di mia madre. Il film è stato selezionato in vari concorsi e festival, ricevendo una decina di premi; ciò ha accresciuto la nostra autostima ed è stato allora che ho pensato che la regia potesse essere la strada giusta per me.
A cosa si ispira la scelta delle tematiche? Ci sono artisti che ti hanno influenzato?
Mi ispiro a ciò che vivo, vedo e conosco, ma anche a ciò che mi dà fastidio dell’essere umano e alle paure personali che questi prova nel vivere. Non riesco a discostarmi dall’esempio dei più grandi maestri del cinema mondiale come Fellini, Leone, Cassavetes, Scorsese.
E del cinema contemporaneo, italiano e internazionale, chi trovi interessante?
Sinceramente mi ispiro sempre a film che sono almeno di vent’anni fa. Credo che un regista italiano molto importante in questo momento sia Matteo Garrone, un maestro nel modo in cui riesce a far recitare i suoi attori.
Quanto c’è della realtà sassarese e di esperienze reali nel film? La città rappresenta più di una location?
Il film è ambientato a Sassari, la mia città, che è un posto che conosco profondamente. Non si poteva pensare ad un’altra città semplicemente perché il regista e uno degli sceneggiatori sono sassaresi. I personaggi hanno le caratteristiche del luogo: per me è impensabile non connotarli realisticamente con accenti, modi di parlare e di fare, con tratti distintivi legati profondamente al territorio; nonostante ciò, se un regista di Latina avesse avuto la stessa idea avrebbe potuto tranquillamente ambientare lì il film, perché la portata del racconto è universale.
La mediocrità del protagonista si dispiega come una parabola discendente dalla quale non riesce a risollevarsi per dare un senso alla propria esistenza. È una metafora per coloro che non trovano un’adatta collocazione nel mondo?
Senza volerlo e in maniera molto istintiva sì, alla fine è proprio questo che ti trovi a raccontare. Io volevo trattare la storia di un personaggio comune che in realtà è anche molto speciale quanto a caratteristiche e temperamento: cammina sempre sul filo del rasoio e non sai mai se ha problemi gravi a livello cognitivo o è semplicemente molto timido. Volevo raccontare la storia di un uomo buttato nel mondo. Mi interessano quegli esseri umani che “vengono vissuti dal mondo”, quasi come se fossero stati catapultati sulla terra da alieni, che non comprendono la propria esistenza, che non vengono compresi dagli altri e che si trovano di conseguenza con l’essere soli. Il film tratta la solitudine che si vive quando si è ingabbiati in se stessi.
Il rapporto con la madre non viene esplicitato ma sembra essere un punto chiave per le premesse narrative del film e del protagonista.
Quando scrivi un racconto o fai un film non puoi pretendere di poter raccontare tutta la vita di un personaggio, ma devi aver presente il suo background. La madre era stata un tramite tra padre e figlio; il film parte proprio dalla morte di lui, che li costringe a rapportarsi più strettamente. Ha lasciato vivere il figlio nella bambagia: gli ha dato tutto ma non gli ha dato niente, proteggendolo troppo e non spronandolo a diventare un essere umano in grado di camminare con le proprie gambe.
C’è una sostanziale assenza di figure femminili, che fluttuano ma non rimangono, come una mancata possibilità di redenzione e di felicità, un ideale futuro che, però, non si compie.
Nel mondo di quei personaggi che nel film hanno pochi rapporti con l’universo femminile, la donna è vista quasi come un miraggio. Il personaggio di Noemi, la ragazza di cui si innamora Angelino, è raccontato come una specie di fantasma che appare nella sua vita. Poi però, quando entrambi vengono catapultati nella realtà, lei si accorge di chi ha davanti e scappa, perché si rende conto di quanto lui sia completamente inadeguato e inconsapevole della vita che sta conducendo.
La mancanza di consapevolezza di Angelino è un’attribuzione esclusiva del personaggio o è il risultato della società?
È il risultato di una vita, non della società. Ognuno è lo specchio del proprio vissuto, non si può pensare che un essere umano sia immune da ciò che gli capita. Non esiste niente che non lasci il segno. Angelino è il frutto della sua esistenza e della sua famiglia, solo in secondo luogo della società.
Quali sono state le maggiori difficoltà nella realizzazione del film e di che cosa sei invece più orgoglioso?
Per la realizzazione del film è stato tutto difficile! Niente in particolare. Forse la cosa più faticosa è mantenere la giusta concentrazione senza perdere il controllo di se stessi. È un gioco pericoloso perché investi tutto nel progetto, hai delle aspettative molto alte su te stesso e da queste deriva parecchia tensione.
La cosa che invece mi rende orgoglioso sono gli attori e la maniera in cui sono riuscito a fare da tramite nei loro rapporti.
Il film è stato proiettato in anteprima mondiale. Rivedendolo anche tu come spettatore c’è qualcosa che cambieresti?
Non so cosa dovrei cambiare. Se pensassi di rifare qualcosa probabilmente mi troverei a rifarlo daccapo. Le cose si possono sempre fare meglio, ma credo che il film funzioni, che i personaggi siano veri e che sia tecnicamente eccelso per i mezzi che avevamo. Sono orgoglioso di tutto ma sicuramente non mi sento “arrivato”.
Il film seguirà un percorso festivaliero o di distribuzione?
Entrambi. Siamo in trattativa con i distributori. Adesso andremo al Festival di Montréal e hanno già richiesto il film altri sei festival.
Progetti per il futuro?
Stiamo scrivendo una sceneggiatura e tra un paio di mesi sarà pronta la prima versione. Ha un’ambientazione estiva -ma non turistica- e racconta… Una storia d’amore.
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