Sono passati oltre due mesi.
Milano. Duomo. Residenza universitaria. Coinquilini. Bocconi. Lezioni. Colleghi. Impegni. Esperienze. Studio. Ritmi frenetici. Esami. Pioggia. Freddo.
Difficile tirare le somme della propria giornata, ambizioso provare a fare delle previsioni sul giorno successivo, quasi impossibile fare un resoconto razionale e logico dei primi mesi universitari. Per un fuori sede il gioco è ancora più complesso; quante sono le variabili da considerare? Non esiste un modo per semplificare, schematizzare, né tantomeno rendere rigorosamente scientifica l’analisi di quelle che sono le esperienze della vita. Per fortuna. C’è ancora qualcosa, una componente arazionale, splendidamente imperfetta nella sua limitatezza, che permette alla persona umana di essere tale, lontana dai principi di razionalità assoluta descritti da numerosi modelli economici. I dubbi, le incertezze, le paure rendono in un certo senso imprevedibili ma proprio per questo unici. Non pienamente inquadrabili in coordinate che risultano fin troppo strette.
Proviamoci. Milano non ti aspetta; capitale economica d’Italia, inquietantemente sorprendente agli occhi di un Siciliano, ha la capacità di piegare persino la quarta dimensione, dando forza alla teoria delle relatività. A Palermo 24 ore bastano, forse sono fin troppe per una giornata. A Milano ne servirebbero il doppio per essere quanto meno in pari con i propri impegni (da studenti, si intende). La pioggia, le giornate spesso grigie e tutto il resto sono storie sentite e risentite. Classico cliché. La “Londra d’Italia” non ha da annoverare nelle proprie peculiarità solamente l’acqua che cade incessantemente da un cielo che sa essere severo. Cultura, musei, piazze, chiese, parchi, concerti, mostre, discoteche, eventi di ogni tipo. Expo. Dai navigli milanesi alle sempre affollate colonne di San Lorenzo, le opportunità sono talmente tante che paradossalmente è difficile riuscire a decidere e fare anche una cosa sola.
L’Università Bocconi, con il suo simbolico abbraccio, ha cercato sin dal primo giorno di mettere i propri studenti a proprio agio in un clima per molti nuovo; riecheggiano ancora le parole di un professore durante i Welcome Days: “La Bocconi non cerca secchioni, ma gente piena di passione e voglia di mettersi in gioco”.
I mitici Leoni, il Velodromo, la biblioteca, il labirintico edificio di via Roentgen: difficile non perdersi i primissimi giorni, e il “rischio” di passare in mezzo ai due statuari felini è fin troppo elevato.
Si potrebbe star giorni, riempendo pagine e pagine, a raccontare le impressioni ed esperienze di quella che ha tutta l’aria di essere una vera e propria avventura.
Un salto di qualità probabilmente.
Difficile però librarsi con convinzione in aria, al buio. Citare le paure, le difficoltà e le numerose capacità di adattamento a cui deve far improvvisamente fronte lo studente fuori sede può sembrare abbastanza banale. Non è certo questo il punto della questione. Ciò che realmente può lasciare interdetti, e in parte angosciati, proviene direttamente dai manuali dei libri di Microeconomia del primo anno. Riprendendo uno dei concetti chiave del primissimo capitolo del manuale: “agli economisti piace ricordare che nessun pasto è gratuito”; ogni nostra scelta porta intrinsecamente a delle rinunce.
È frequente, nel prendere decisioni, considerare i potenziali vantaggi e svantaggi che una determinata scelta può comportare. Ciò su cui di solito si fa un po’ più fatica a riflettere è il cosiddetto “trade-off”; dalla Treccani: “in economia è la relazione funzionale tra due variabili tale che la crescita di una risulta incompatibile con la crescita dell’altra e ne comporta anzi una contrazione”. Pragmaticamente: tutto ciò a cui si deve irrimediabilmente rinunciare nel momento stesso in cui si compie un’azione. Spesso la scelta ottimale consiste nel trovare dei compromessi, delle scorciatoie che permettano di guadagnare il massimo perdendo il meno possibile. Soprattutto se la scelta in questione comporta il trasferirsi in un’altra città –regione, nella maggior parte dei casi– con conseguenze a priori imponderabili.
Una volta presa la decisione di entrare in gioco, però, è bene ricordare come in realtà non basti conoscerne le regole e impegnarsi al meglio. Si deve fare qualcosa di più. Qualcosa di tanto nascosto all’apparenza quanto saldamente evidente in ogni libro di economia: non dimenticarsi mai di tutto ciò che ci si lascia alle spalle, di ogni singola opportunità, che si tratti di una valida alternativa di studio o di un nostalgico, momentaneo addio alle proprie radici.
Perché farlo? Non certo per un’insensata voglia di gratuito masochismo. Bensì per rafforzare le motivazioni che hanno spinto a un tale salto, per dare più valore a ogni azione futura e acquisire un ancor più forte slancio motivazionale. Paradossalmente o no, è anche di questo che abbiamo bisogno.
Nel bene e nel male: “No free lunch”.
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