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FINANZA VS ETICA: Un incontro è possibile?

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finanza-eticaDi Marta Fracas

“Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere che ci aspettiamo la nostra cena, ma dalla considerazione del loro stesso interesse.”

Con queste parole Adam Smith sintetizzò il comportamento dell’Homo Oeconomicus che opera sul mercato: interesse personale ed egoismo volto alla massimizzazione del profitto hanno guidato la “mano invisibile” del sistema finanziario mondiale. Oggi ci si può chiedere se le crisi susseguitesi e il clima di instabilità che si respira, segnalino forse il fallimento di questo modo di fare finanza. Forse l’economia necessita di una nuova componente; che la svolta possa giungere dall’introduzione della parola “etica” nel vocabolario di traders e speculatori?

È interessante scoprire che il solo matrimonio riuscito tra finanza ed etica si realizzi nel mondo islamico e proprio il 10° World Islamic Economic Forum, svoltosi tra il 28 e il 30 Ottobre, a Dubai, ne ha rimarcato le linee, gli obiettivi e i risultati finora ottenuti.

La pratica della finanza islamica oggi ha un rilievo pari all’1% nel contesto internazionale, ma vanta beni valutati sul trilione e tassi di crescita sorprendenti, nonché una capacità proattiva di affrontare le ultime crisi del sistema. Quali gli ingredienti vincenti? L’impostazione “Sharia-compliant”, basata sulla legge musulmana della Sharia, attribuisce un ruolo singolare all’etica, la quale non deve adattarsi all’economia perché è ogni aspetto di questa ultima a dover essere riletto alla luce della moralità islamica. L’Islam, in quanto religione totalizzante, non influenza solo la vita morale del credente, ma ne condiziona la condotta sociale interamente. Lo stesso varrebbe a livello finanziario: non sono i mercati a dettar legge, quanto la Sharia stessa. Tuttavia, questo è solo l’imbocco del bivio che conduce a una netta separazione tra la finanza tradizionale e quella islamica.

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La massimizzazione del profitto, scopo ultimo di chi opera sul mercato, è sostituito da un diverso cardine attorno cui tutto ruota, il principio del “maslaha”, cioè il pubblico interesse. È però possibile concepire la totale indifferenza nei confronti di ogni forma di guadagno o vantaggio economico? Il profitto è inteso come funzione sociale della ricchezza, ma va perseguito solo quello derivante da azioni moralmente lecite “harat”, e non quello frutto di operazioni deviate “haram”.

In questa prospettiva, le società Sharia-compliant devono rispettare tre fondamentali divieti che paradossalmente riflettono i principi alla base di funzionamento del sistema finanziario classico. L’interesse su prestiti “riba” è bandito: la moneta è un mero strumento di scambio che genera valore solo se impiegata in un processo produttivo. La stessa avversione è riservata al concetto di incertezza “gharar” legato al rischio: si nota conseguentemente una continua ricerca di chiarezza e semplicità nei contratti islamici. Neppure scommettere sul risultato futuro di un evento “maysir”, mediante comportamenti speculatori, è permesso (non sono ammessi nemmeno i contratti forward and future).

Com’è possibile allora operare sul mercato finanziario? Garantendo un equo rapporto rischio-rendimento che miri alla realizzazione di un profitto ragionevole, frutto del lavoro e slegato dalla ricerca del lusso, concepito come “ozio”.

“La finanza islamica è destinata a divenir la norma e non più l’alternativa”. Conclude così il suo interevento al Meeting (WIEF) Hussein Al Qemzi, amministratore delegato della Noor bank, la banca islamica di Dubai. Il principale freno alla crescita del settore, tuttavia, è rappresentato proprio dallo scetticismo dei clienti musulmani. Una netta differenziazione dai servizi finanziari convenzionali non convince chi tende a perseguirli mentre dall’altra parte vi è chi si rifiuta di voler mantenere la minima traccia occidentale. È necessaria una standardizzazione del settore per continuare la scalata.

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