Di Chiara Asia Carnevale
“Sapete da che binario parte il treno per la Svezia?” – così esordisce Abdallah rivolgendosi a tre uomini che trova alla Stazione Porta Garibaldi di Milano. È un superstite del naufragio di Lampedusa dell’11 ottobre 2013, nonché il futuro sposo protagonista del film. In questo modo conosce Gabriele Del Grande, scrittore e giornalista appena rientrato dalla Siria, e Khaled Soliman Al Nassiry, poeta ed editore siro-palestinese (n.d.r. riceverà la cittadinanza italiana proprio durante il viaggio). Sono due dei tre registi del pluri-acclamato documentario Io sto con la sposa, narrazione itinerante da Milano a Stoccolma di cinque profughi siriani alla ricerca della cittadinanza e candidato alla 71ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. A completare il trio si è aggiunto Antonio Augugliaro, editor e regista che noi di Tra i Leoni abbiamo intervistato nel suo studio milanese.
Com’è nata la collaborazione tra di voi e in che modo avete co-diretto il film?
È nata in modo molto casuale, così come il film. Io e Gabriele eravamo già amici da diverso tempo, Khaled, invece, l’ho conosciuto una decina di giorni prima di partire. La divisione dei ruoli è avvenuta in modo naturale: io sono un regista cinematografico e lavoro nell’audiovisivo da anni per cui mi sono occupato della parte tecnica delle riprese, mentre Gabriele e Khaled hanno curato maggiormente la parte contenutistica. Così durante il viaggio io ho diretto la troupe tracciando un filo narrativo, conduttore del film, mentre loro due cercavano, in qualche modo, di indirizzare le conversazioni che avvenivano verso la telecamera.
5 Paesi, 4 giorni, 3000 km percorsi e due sole due settimane per organizzare film e partenza. Come avete scelto i protagonisti e come siete riusciti ad instaurare quel necessario rapporto di fiducia?
Dopo avere incontrato Abdallah, che ci è venuto incontro come un dono del destino, e una volta deciso di fare di quest’avventura un film, abbiamo cominciato a fare il giro dei centri di accoglienza di Milano. Cercavamo dei personaggi che potessero rendere davanti alla telecamera così come comunicavano con noi e nel farlo ci sentivamo un po’ imbarazzati perché stavamo proponendo di fare un film con un finto corteo nuziale, che riuscisse ad oltrepassare le frontiere, a delle persone che qualche settimana prima avevano rischiato la vita in mare. In molti ci hanno detto di sì, ma all’indomani della nostra proposta non li trovavamo più, già partiti con qualche contrabbandiere. Oltre Abdallah, abbiamo trovato Manar, un rapper di 13 anni che è una vera forza della natura, e suo padre, oltre a una coppia di dissidenti, Mona e Ahmad, scappati da Lampedusa. Particolarmente difficile è stata la ricerca della sposa, ne abbiamo viste un sacco nei centri di accoglienza, tutte entusiaste ma tutte che puntualmente sparivano il giorno dopo. A un certo punto, presi dalla disperazione, un nostro compagno, Tarequ, voleva immolarsi e travestirsi da sposa! Meno male che alla fine abbiamo trovato Tasnim, una vecchia amica e attivista siro-palestinese.
L’Italia viene vista dai migranti come un ponte tra Mediterraneo e Europa. Perché, secondo te, non riesce a svolgere il minimo ruolo di accoglienza e smistamento dei profughi?
L’unico motivo possibile è a scopi politici di carattere elettorale. “Creo il problema e poi faccio finta di risolverlo” – questa è la filosofia di base in materia di immigrazione, non solo con la Lega Nord. Non è affatto vero che gli immigrati arrivano e ci rubano il lavoro o aumentano la criminalità, non è vero che ci invadono, anzi, molto spesso sono costretti a rimanere in un Paese in cui non vorrebbero stare. Allo stesso tempo non riesco a capire per quale motivo non possa esistere una legge unitaria in tema di diritto d’asilo in tutta Europa. Perché una persona che arriva in Italia non può chiedere asilo politico ad un altro Stato dell’Unione Europea? L’Europa è unita fino a che si ha un passaporto rosso. Ci ha abituato all’Erasmus e a viaggiare senza frontiere ma nega l’accesso quando però quando si tratta di dare asilo politico a qualcuno che scappa da una guerra o che è in una condizione particolarmente difficile e addirittura in pericolo di vita.
Il messaggio del film è “abbattiamo le frontiere”. Presupposto della pace è quindi la multiculturalità?
Da poco l’Europa ha aperto le frontiere alla Romania e non abbiamo avuto un’invasione. Prima invece eravamo invasi da clandestini romeni, che ora, essendo parte della Comunità europea, vengono così come se ne vanno. Viviamo in un’Europa unita e siamo liberi di andare e tornare, è molto difficile sradicarsi dalla proprie radici e dalla propria cultura: nessun popolo programmerebbe emigrazioni di massa, ci si sposta per esigenze particolari o curiosità. Abbiamo il libero mercato dei capitali ma non la libera mobilità delle persone!
Avete infranto una legge e potreste essere accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la legittimità ha contato più della legalità.
Don Milani diceva che ci sono leggi a cui non è più un onore obbedire. Penso che questo sia uno di quei casi. Quando una legge genera un mercato nero così ampio da permettere ad un contrabbandiere di guadagnare 1000 € per ogni persona che transita dall’Italia all’Europa e obbliga delle persone a morire in mare per arrivare da una costa all’altra del Mediterraneo è chiaro che non stiamo più parlando di una legge che tutela i diritti della persona e ha cura dell’essere umano. Non è più onorevole rispettarla. Esiste una legge morale che è ancora più forte della legge di diritto e questa, come ci insegna la storia con le leggi razziali, può sbagliare.
Qual è l’obiettivo ideologico del vostro film?
Allontanarsi dal racconto della migrazione come viene fatto di solito, mediante numeri e statistiche, dove alle persone non corrispondono più dei nomi ma delle nazionalità. Volevamo porre un diverso punto di vista sulla questione: siamo stessi esseri umani sulla stessa terra. Per quale motivo io parlo con un italiano per strada per chiedere l’orario e non con un ragazzo egiziano o una persona nigeriana? Quest’avventura vissuta insieme ci ha unito in modo fortissimo e ha funzionato perché, per un attimo, ci siamo accorti gli uni degli altri e ci siamo aiutati nelle rispettive difficoltà, come un unico gruppo di esseri umani dovrebbe vivere la contemporaneità. Penso che sarebbe un bel passo in avanti considerare prima come persone quelli che vengono categorizzati esclusivamente come immigrati.
98151 € raccolti su Indiegogo rispetto ad un obiettivo di 75000 €. Pensi che il crowdfunding potrebbe essere la risposta alla mancanza di fondi della grandi produzioni cinematografiche, soprattutto italiane?
Siamo felicissimi del successo del nostro appello che ci ha consentito di poter essere liberi da legacci che vengono generalmente messi da distributori, acquirenti o sponsor. Siamo riusciti a coprire tutti in costi in una totale e rarissima libertà di scelta. Purtroppo in Italia il crowdfunding non funziona poi così bene, per cui non so se potrà essere una risposta effettiva alle esigenze produttive del cinema. Nel nostro caso probabilmente donare è stato visto come un incrocio tra la beneficenza e la fruizione di un prodotto artistico che tratta una storia incentrata su tematiche difficili, che, però, restituisce speranza.
Io sto con la sposa è un fenomeno cinematografico sotto diversi aspetti ma è anche e soprattutto un documentario con qualche elemento di fiction. Negli ultimi anni stiamo assistendo alla grande ribalta di questo genere, non solo nei festival ma anche in sala.
Credo che questa inversione di tendenza derivi da una riflessione generale non solo sul cinema, ma anche sull’arte, la fotografia, la musica e l’editoria. Dagli anni ’80 fino ad oggi il cinema, per esempio, è diventato soltanto intrattenimento. Le storie e i personaggi sono stati molto lontani dalla nostra realtà. Negli ultimi anni, con il bombardamento di informazioni sono venuti a mancare una bussola e dei punti di riferimento sinceri su ciò che ci circonda, a cui risponde bene il documentario. Specialmente in operazioni come la nostra, in cui non solo documenta, ma può anche influenzare, fornisce una chiave di lettura inedita sulla realtà e uno sguardo nuovo non solo sull’altro ma soprattutto su noi stessi.
Le prossime tappe del film?
Abbiamo un distributore internazionale che ci sta aprendo le porte per la diffusione all’estero in Europa, America e negli Stati arabi, dove speriamo di poter arrivare anche in Siria e Palestina. Faremo uscire il DVD ad ottobre. Inoltre sul nostro sito http://www.iostoconlasposa.com c’è una sezione sempre aggiornata dedicata alle proiezioni.
Qual è stata la più grande soddisfazione che hai avuto da quest’esperienza?
Aver portato cinque persone che fino all’anno prima stavano per morire in mare su barconi dimenticati da Dio, a Venezia su delle barche che invece li hanno condotti sul red carpet del festival più prestigioso del mondo.
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