Al Milano Film Festival è stata presentato ieri in anteprima italiana Life, film sull’incontro tra James Dean e Dennis Stock, il fotografo di alcune delle immagini più celebri dell’attore americano. Di Robert Pattinson e James Dean, di Corbjin e Kiarostami, la recensione di TIL tra Indiana e Garbatella.
di Tommaso Di Vico.
Life è il magazine americano che ha consacrato il photojournalism, partito come costola di Time è arrivato a un certo punto a 13,5 milioni di copie a settimana. Tra le altre cose ha raccolto gli scatti più famosi di James Dean, simbolo della gioventù statunitense e di un mondo unico di metà secolo.
Siamo però nel 1955, e Dean non è ancora un’icona, lo conoscono in pochi, girerà solo più tardi il film con cui oggi lo si ricorda, Gioventù bruciata. Per Life si ritrova a scattare delle sue foto Dennis Stock, anche lui della corrente gioventù bruciata ma per altri motivi: a 15 anni gli muore un genitore, a 16 entra in marina, a 17 è padre, a 18 si separa dalla madre di suo figlio. È su questa figura l’intuizione del regista: cambiare personaggio principale, non più James Dean, osannato da film, documentari e storia ma il fotografo che ha creato quel mito, interpretato da Robert Pattinson.
Attraverso le sue foto riusciamo a scoprire il vero James: viene da una famiglia di quaccheri dell’Indiana che ringraziano il Signore prima di mangiare ed è sinceramente felice dell’invito al ballo di fine anno del suo vecchio liceo. Quando un giornalista gli dice del prossimo matrimonio tra la sua amante (interpretata da Alessandra Mastronardi) e Vic Damone esce dalla conferenza stampa distrutto, Pattinson continua a scattare. Addirittura promette di tornare dai suoi per la premiere del paesino, molto meglio di quella di New York, afferma. Non metterà più piede in Indiana.
Al di là di quel che si dice, il dramma della serializzazione – in tv o al cinema – è uno solo: l’attore che interpreta il protagonista in tre, quattro, cinque film o stagioni della stessa saga poi perde la sua identità. Così Daniel Radcliffe sarà per tutta la vita Harry Potter, anche se recita nudo a teatro, Kerry Washington è Olivia Pope in ogni red carpet e persino Robin Wright è condannata a essere Claire Underwood per sempre.
Almeno per il pubblico italiano, Life sembrerebbe avere lo stesso problema: un film incentrato sulla figura di Dean, ormai stereotipata, con due attori famosi per serie o saghe che manterrebbero il ruolo che li ha lanciati anche in un film di Kiarostami.
La maledizione delle serie però non si verifica: Alessandra Mastronardi è per tutti la ragazzina dei Cesaroni ma riesce a uscire dalla Garbatella e a interpretare una femme fatale da film di 007, ché mollare Dean con convinzione giusto due o tre; Robert Pattinson riesce a uscire dalla forma di vampiro e svolge magistralmente il ruolo del fotografo che rende immortale la figura dell’attore americano, spostando così l’attenzione sul vero protagonista del film; Dane DeHaan va oltre un James Dean bullo e indisposto dando grande spessore al personaggio.
Sembrerebbe così molto merito degli attori e poco del regista, ma non è vero, Corbjin ha altre intuizioni di livello. Incentra il film su una netta distinzione tra luoghi e non-luoghi: la cittadina dell’Indiana ha solo un semaforo, i ragazzini dell’ex-high school di James dimostrano 11 anni e girano in dodici in macchina (questo sì molto Garbatella, ma il regista ha fatto i compiti e si vede); Los Angeles, invece, non si nota mai, è un luogo dell’anima con tutte le inquietudini e i problemi; New York non è la Times Square della celebre foto di Dean ma si riduce a una finestra che nel finale divide le sorti dei due protagonisti.
L’ultimo appunto: le immagini. Anton Corbjin è regista e fotografo, alla fine della pellicola vengono mostrati gli scatti del vero servizio di Dennis Stock, il film è così fedele nelle inquadrature e nelle luci che ci si mette un po’ a capire che non sono fotogrammi del 2015.
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