Una chiave di lettura storica della crisi ellenica.
Di Andrea Pradelli.
Quando nell’ottobre del 2009 il primo ministro greco George Papandreou ammette che i suoi predecessori avevano inviato bilanci falsificati all’Unione Europea per eludere i vincoli d’ingresso nell’euro, inaugura la più drammatica delle recenti crisi dei debiti sovrani e scioglie la briglia ad un turbinio di allarmismi fanatici e drastiche prospettive di Grexit, avvolti nel manto spettrale di un default rimasto nelle previsioni. Da sei anni a questa parte gli analisti descrivono la scivolata della Grecia verso il punto di non ritorno. Al quale, però, non perviene mai. Come fanno i nostri vicini a galleggiare perpetuamente sulla soglia di un vortice gravitazionale senza esserne mai fagocitati?
Affidiamoci alla mansione di magistra vitae della Storia e rivolgiamo uno sguardo al passato.
Durante gli Anni ’20 del XIX secolo, l’Impero Ottomano esala gli ultimi respiri del suo plurisecolare dominio sull’Europa balcanica e orientale. I Greci mangiano la foglia e ingaggiano la loro Guerra d’Indipendenza dal giogo del dominatore islamico, otto anni di scontri campali feroci. Certamente non gratuiti.
Furono le grandi potenze europee, e in particolare la Gran Bretagna, a fornire al paese ellenico ingenti capitali per la realizzazione del suo progetto nazionale e per l’edificazione della futura macchina statale. Tuttavia la spregiudicatezza finanziaria e l’entusiasmo irredentistico dei rivoluzionari resero impossibile onorare i debiti e già nel 1826 fu dichiarato il primo fallimento. La Pace di Londra del 1832 suggellò l’indipendenza e al paese venne concesso un prestito di sessanta milioni di dracme, garantito dalle grandi potenze. La questione, però, era tutt’altro che risolta: l’irresponsabilità degli amministratori greci e le esorbitanti spese militari tenevano il paese in deficit perenne. La partecipazione della Grecia alla guerra di Crimea al fianco della Russia offrì a Francia e Gran Bretagna il pretesto per inviare una commissione finanziaria ad Atene con il compito di supervisionare –senza poteri di intervento- le finanze greche. Nonostante ciò e la negoziazione di un nuovo prestito, il paese fallì nuovamente nel 1860. La situazione si era seriamente aggravata e per la Grecia era ormai impossibile attingere al mercato dei capitali, per pagare i creditori e sostenere la spesa pubblica. Dopo lunghe trattative, nel 1878 Londra offrì ad Atene un patto molto vantaggioso, che permetteva di mettere in sicurezza le finanze e tornare nel mercato dei capitali.
L’effetto di questo accordo fu tuttavia un notevole aumento del debito, che tra 1879 e 1890 salì a seicentotrenta milioni di Franchi, dai novantadue del 1871. A ciò contribuì anche l’attitudine delle grandi banche a irretire, con la promessa di lauti guadagni, i risparmiatori semplici nell’investimento in titoli emanati da uno Stato poco solvibile. Solo un quarto dei prestiti ottenuti venne però destinato alla “spesa produttiva” (opere pubbliche, promozione dello sviluppo industriale, investimenti in istruzione…), mentre la parte restante fu utilizzata per coprire le spese militari (con il placet di grandi potenze come la Germania, che otteneva vantaggi per le proprie industrie) e i continui deficit di bilancio. A questa situazione si aggiungeva il passivo cronico della bilancia commerciale, il frequente ricorso al regime di corso forzoso e le conseguenti, frequentissime, svalutazioni della dracma.
Altri segnali di debolezza si potevano individuare nell’economia reale. Dopo la riforma agraria, tesa alla specializzazione verso prodotti esportabili, nel 1870 l’export di uva sultanina copriva la metà del totale ellenico. Il boom si rivelò, però, del tutto casuale, imputabile al contemporaneo crollo della produzione francese, infestata dalla filossera, piuttosto che all’audacia delle scelte politiche del Governo. Quando, infatti, nel 1891 la Francia riprese regolarmente la produzione,imponendo una tassa doganale sull’uva importata, la Grecia vide il valore dell’export cadere da 60 a 22 milioni.

Nel 1893 la situazione precipitò. L’aggio sull’oro raggiunse livelli altissimi e il panico sulla stabilità della dracma imperversava nei mercati finanziari, che speculavano sul mancato pagamento delle cedole di giugno 1893. Questa eventualità fu evitata grazie a un prestito ponte della casa bancaria londinese Hambro&Son, che però esaurì i suoi effetti nel breve termine. Per influire sul lungo termine sarebbe stato necessario anche un drastico taglio alle spese della corte reale, dei benefici di cui godevano i militari e soprattutto dei costi di un’ipertrofica pubblica amministrazione.Il 10 dicembre del 1893 il presidente Trikoupis fu costretto a presentarsi in Parlamento pronunciando la celebre frase:<<dystychòs, kyrioi, eptochèfsamen>>(purtroppo, signori, siamo falliti): era l’annuncio del default.
Negli anni successivi seguirono altre situazioni simili, che portarono anche all’istituzione di una commissione internazionale di controllo sulle finanze del tutto simile alla nostra Troika. Come è facile capire, le vicende degli ultimi anni sono tutto tranne che nuove e le analogie evidenti. La domanda sorge spontanea: conoscere la storia avrebbe aiutato ad evitare gli attuali drammi?
Articles written by the various members of our team.