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MONETA IN CRISI E FELICITA’

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Money Falling on Happy Businessman

di Marta Moiraghi

La soddisfazione umana è garantita da un denaro in crisi, come adattarlo alle esigenze economiche senza rinunciare alla realizzazione personale?

Una ricerca di studiosi olandesi e russi dimostra che al crescere del guadagno, fino alla soglia di 75 mila dollari l’anno, corrisponde un incremento di emozioni positive; oltre a questa soglia la felicità smette di aumentare, come se l’innata avidità e la tendenza all’accumulazione destinassero l’essere umano all’insoddisfazione. Fin dai tempi di Smith l’economia lega la soddisfazione alla ricchezza: attraverso il denaro l’uomo può illudersi di sottrarsi al rischio dell’esistenza ed al tempo, raggiungendo l’agognata ma utopica condizione di certezza. Non sorprende quindi che recenti studi dimostrino come il denaro permetta di difendersi psicologicamente da situazioni di dolore, diminuendo la sensazione di esclusione, la pressione ad integrarsi ed a farsi sentire apprezzati. L’uomo ha sempre storicamente attribuito un valore quasi religioso ad oggetti totalmente privi di utilità, come l’oro e i diamanti, per sottrarsi alla deperibilità di ciò che è reale e soddisfare l’avarizia; il denaro gioca un ruolo talmente significativo sulla nostra psiche da essere divenuto parte integrante della cultura. Per quanto alcuni studiosi ritengano addirittura che l’istinto a commerciare che porta al denaro sia insito nel nostro programma evolutivo, appare giunto il momento di chiederci se ciò renda davvero necessario sopportare l’inefficienza e le problematiche causate dalla banconota odierna.

La crisi greca, quella Islandese così come la situazione italiana hanno infatti sensibilizzato le popolazioni sul fatto che l’Euro, moneta che si poneva come promessa di una pacifica cooperazione economica nell’Unione europea, si sia rivelato un affrettato e non equilibrato esperimento, mentre il problema della moneta è aggravato nel mondo dalla crescente mancanza di fiducia dei cittadini nelle valute nazionali. La fiducia collettiva nelle istituzioni governative che erogano la cartamoneta e nella loro promessa di poter corrispondere ad essa un’eventuale somma in denaro è strettamente necessaria per dare valore ad un contante che, senza questa fiducia, ne sarebbe assolutamente privo. Tuttavia, non è solo il denaro ad essere interamente speculativo fin da quando è stato slegato dall’oro, è l’economia stessa ad essere basata su prestiti speculativi ed appare ormai bisognosa di rinnovamenti. Proprio il fatto che l’economia risponda a bisogni intrinsechi nell’essere umano ne rende però difficile il cambiamento.

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Tra le possibili evoluzioni economiche, la proposta keynesiana, che prevede un’economia mondiale dove non solo i debiti ma anche i crediti siano sottoposti ad interesse incentivando la mobilità del circolante, appare irrealizzabile. Un’altra possibilità, esplorata nel suo libro “The end of money” da David Wolman, giornalista americano, consiste nell’utilizzo di valute alternative, tra cui ricordiamo l’elettronica Bitcoin che, nel rispetto dei limiti, riscuote grande fortuna. Wolman esplora i molti svantaggi dell’odierno denaro, tra cui gli incredibili costi di produzione che, oltre al grave impatto ambientale, toccano gli 11,8 centesimi a fronte di un valore nominale da un centesimo nel caso dei penny e 34 centesimi per le nuove monete da un dollaro. Nonostante lo stesso direttore della U.S. Mint arrivi a lamentare come mai prima d’ora il governo abbia speso tanto denaro per emettere monete rispetto al valore delle stesse, non si procede nemmeno all’eliminazione delle taglie più piccole, come invece è avvenuto, fra gli altri, in Israele, Australia, Finlandia, Norvegia, Danimarca e Svezia. Le principali cause risultano due: l’eliminazione del penny, che pur permetterebbe un risparmio, metterebbe alla luce il problema dell’inflazione, minando l’essenziale fiducia della popolazione nella moneta; inoltre il fatto che produrre una moneta o banconota abbia un costo inferiore al valore nominale della stessa permette di appropriarsi della differenza a chi eroga il denaro, consentendo il signoraggio, che ha permesso nel 2010 alla Fed di guadagnare circa 70 miliardi di dollari. Tra le varie mancanze di efficienza generate dal denaro cartaceo che apparirebbero risolvibili in un sistema digitale occupa inoltre un posto di rilievo la gestione dei numerosi passaggi del ciclo di vita del contante, che costò nel 2007 all’Europa 50 miliardi di Euro. Inoltre la digitalizzazione dei dati e delle transazioni permetterebbe di incentivare la battaglia ad evasione fiscale, falsificazione delle banconote, rapine, traffico di armi e droga: il contante consente ai criminali di rimanere nell’anonimato , effettuare pagamenti ed immagazzinare valore.

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Eppure, a mio avviso, invece di ricercare la soluzione, come fa Wolman, in valute alternative- come l’energia o altre forme di moneta che abbiano valore autonomo rendendo impossibile l’inflazione- bisognerebbe chiedersi fino a che punto sia possibile eliminare la speculazione e cosa comporti. Se infatti ciò che l’uomo ricerca nella moneta è l’illusione di sottrarsi alla sua condizione di incertezza, come sarebbe possibile soddisfare questo bisogno ancorando l’economia alla realtà.

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