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Perché l’economia finlandese è peggio di quella greca?

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Bandiera Finlandia

Di Luigi Falasconi

A conclusione di un 2015 difficile se pur all’insegna di una lieve ripresa, ci aspetteremmo di trovare la Grecia in cima alla classifica delle peggiori economie a livello europeo. E invece no: le nostre aspettative vengono corrette dalla Finlandia.

Sarà necessario, in primo luogo, passare brevemente in rassegna i principali driver della persistente stagnazione che attanaglia il paese scandinavo da ormai quattro anni. In seguito, ci soffermeremo su alcuni dati generalmente tenuti in poca considerazione dai canali di informazione convenzionali e infine citeremo una interessante misura di politica economica che sarà probabilmente introdotta dalla Finlandia.

L’ennesima diminuzione del PIL dello 0,6% nell’ultimo trimestre del 2015 sembra essere essenzialmente causata da un export ancora troppo legato alle materie prime e ai beni di investimento, il cui mercato langue senza riuscire a trascinare l’economia di un intero paese.  Passando attraverso un costo del lavoro poco competitivo (settimo più alto rispetto ai paesi dell’Eurogruppo) – causa di un tasso di disoccupazione che tocca ancora le soglie del 9% – si giunge poi al lento ma inesorabile declino del colosso della telefonia globale, Nokia.
Ad una più attenta analisi notiamo che un ruolo fondamentale è giocato anche dal progressivo invecchiamento della popolazione, nonché dal peso eccessivamente elevato della spesa pubblica. Ad aggiungersi a tutto ciò troviamo la piccola parentesi delle elezioni politiche che hanno paralizzato la nazione portando al potere la coalizione di centro-destra, guidata dall’attuale premier Juha Sipilä. Considerato un avvocato dell’austerity fiscale, il governo ha attuato un considerevole taglio della spesa pubblica attraverso riforme strutturali per rimettere in piedi il paese e assicurare una stabilità finanziaria di lungo termine.

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Detto ciò, le cose potrebbero essere viste sotto una luce diversa se portassimo l’attenzione su indicatori raramente considerati dall’opinione pubblica per valutare le condizioni di un’economia: tra questi, il “2015 Index of Economic Freedom” pubblicato annualmente dalla Heritage Foundation (un think tank di ricerca economica con sede a Washington). FinlandCon un punteggio del 73,4, la Finlandia si assicura il diciannovesimo posto al mondo quale paese più libero economicamente.  Se ci addentriamo più a fondo fra i numeri notiamo, però, come il ribasso degli indici di business freedom e control of government spending abbia compensato il miglioramento dell’indice di labour freedom. Probabilmente ciò è spiegato da regolamentazioni sul mercato del lavoro ancora troppo rigide e da costi operativi diretti (diversi dai costi salariali) eccessivamente elevati nei bilanci delle imprese. La stabilità monetaria è ben monitorata e, allo stesso tempo, il governo sussidia numerosi progetti votati all’utilizzo di energie rinnovabili quali quelle eoliche, solari e legate ai biogas.

Un interessante provvedimento che verrà probabilmente introdotto durante quest’anno è lo Universal Basic Income (UBI), non di rado attribuito all’economista Milton Friedman: in breve, ad ogni cittadino verrebbe garantito un reddito minimo di 800 euro, senza tener conto di alcun fattore sociale discriminante (salario, nucleo familiare, etc.). E’ affascinante pensare che, ricco o povero che sia, ogni individuo potrebbe essere libero di utilizzare questa somma di denaro come meglio crede. Questo intervento sul reddito minimo avrebbe conseguenze: indipendentemente dall’età, il lavoratore qualificato sarebbe meno disposto ad accettare impieghi “mal” pagati, sapendo che continuerebbe a ricevere il suo UBI. Allo stesso modo, l’UBI agirebbe da ammortizzatore sociale facendo in modo che i datori di lavoro siano più disposti ad assumere e licenziare.

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Una volta approvato il provvedimento, la Finlandia potrà quindi godere dei suoi potenziali benefici sull’occupazione e sulla crescita. Se l’esperimento funzionasse, tutta l’Europa potrebbe seguirne l’esempio e magari in futuro si potrà fare riferimento a un “modello finlandese” che potrebbe rendere la politica comune più interessante con dei governi meno pervasivi ma allo stesso tempo più assistenzialisti.

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