di Margherita Zanni
Ortoressia, termine coniato nel 1997 dal Dr. Steven Bratman, è una parola nuova e misteriosa, tanto che dopo averla digitata il computer non la riconosce e la segnala come errata. Effettivamente, nonostante sia stata identificata più di vent’anni fa, l’ortoressia non è ancora ufficialmente riconosciuta dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), il manuale di cui si servono gli psichiatri per diagnosticare ai pazienti un disturbo mentale. Ad oggi non esiste una definizione clinica del termine, anche a causa della carenza di ricerca scientifica a riguardo. Si tratta quindi di un fenomeno che non è possibile delimitare con certezza; detto questo, è possible qualificarlo come un’ossessione per un’alimentazione sana. Si distingue dall’anoressia e dalla bulimia poiché l’obiettivo di chi ne è affetto non è il dimagrimento, bensì il raggiungimento di una vita e un corpo “puri”.
Nel suo libro Health Food Junkies, il Dr. Bratman spiega come la natura ossessiva della malattia la differenzi da uno stile di vita salutare ed equilibrato. La linea sottile tra questi due comportamenti la rende una patologia “travestita da virtù”, conseguentemente più tollerata socialmente. Basta pensare ai 26 milioni di post attualmente presenti su Instagram con l’hashtag #eatclean, con l’implicazione che altre tipologie di cibo sono, al contrario, necessariamente “sporche”. È innegabile che alcune diete restrittive siano benefiche, talvolta necessarie, per persone con determinate caratteristiche mediche, motivazioni etiche, credenze religiose. Il Dr. Bratman, che non solo ha coniato il termine ma è stato anche il primo paziente dichiarato affetto da ortoressia, avverte sul pericolo del carattere ossessivo della malattia: “Eventualmente l’ortoressia raggiunge un punto tale per cui l’ortoressico dedica gran parte della propria vita a pianificare, comprare, preparare e consumare determinati pasti”, scrive nel suo libro.
Carrie Armstrong, presentatrice televisiva britannica, descrive l’invasione graduale del disturbo all’interno della sua quotidianità. Inizialmente ha eliminato la carne, dopo i latticini, per poi diventare vegana. Non ottenendo i risultati “miracolosi” desiderati, si è convertita a una dieta limitata ai cibi crudi, per finire col mangiare soltanto frutta fresca, non soltanto manifestando una grave perdita di peso, ma anche l’indebolimento della dentatura e la caduta dei capelli. Armstrong sottolinea come in realtà l’ortoressia non fosse per lei fonte di controllo, bensì di protezione dal cibo, da lei definito “terrificante”.
Un altro esempio di individuo affetto da ortoressia è Jordan Younger, blogger di 25 anni proveniente dalla California. Il suo blog The Blonde Vegan è diventato sempre più popolare, tanto da portarla a spingersi oltre il limite, aumentando la frequenza di diete detox, talvolta della durata di 10 giorni. Quando il livello di ansia raggiunto si è rivelato insostenibile, la ragazza ha ammesso di avere un problema e ha cercato aiuto, condividendo il suo disturbo online e ottenendo una reazione inaspettata. Jordan ha iniziato a ricevere decine di migliaia di messaggi da persone che si identificavano nei sintomi descritti, seppur in misure diverse. Questo l’ha portata a modificare il titolo del blog in The Balanced Blonde e a rivalutarne i contenuti.
Il caso Younger ha permesso al disturbo di acquisire un’immensa copertura mediatica. Nonostante ciò, la comunità scientifica non ha reagito con altrettanto zelo. Il risultato è che probabilmente saranno necessari almeno altri 10 anni prima che l’ortoressia sia riconosciuta dal DSM, con un conseguente prolungamento della difficoltà a diagnosticare la patologia per poi poterla curare.
Il problema non è soltanto medico e istituzionale, ma soprattutto sociale. Risiede prevalentemente nel carattere morale che è stato attribuito al cibo, al peso, all’esercizio fisico. Un fenomeno che comporta il sorgere di un grave equivoco. Kaila Prins, health coach di San José che ha sofferto di ortoressia per 10 anni, racconta come invece di ottenere aiuto ha ricevuto prevalentemente complimenti: “Ho iniziato a dimagrire progressivamente, ricavando non soltanto elogi, ma anche il mio primo ragazzo. Membri della mia famiglia che non mi avevano mai approvata prima mi dicevano come apparissi in forma”.
È proprio questo l’aspetto dell’ortoressia che richiede una maggiore attenzione: se la società arriva ad “applaudire” e promuovere i disturbi alimentari, è chiaramente necessaria una revisione della nostra concezione del cibo e di uno stile di vita sano. Troppo facile utilizzare come scudo l’inerzia delle istituzioni; non è più possibile continuare a ignorare un disturbo come questo soltanto per via delle difficoltà manifestate nel cercare di comprenderlo e interpretarlo. Non si tratta di demonizzare cibi salutari e attività fisica, ma piuttosto di ricercare equilibrio in ciò che dovrebbe essere fonte di serenità piuttosto che di ansia e ossessione.
Articles written by the various members of our team.