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I partiti all’alba delle europee: il Movimento 5 Stelle

Reading time: 5 minutes

di Marco Visentin


Continua il viaggio tra i partiti italiani in vista delle elezioni europee. Ieri è stato il turno della Lega, domani toccherà al Partito Democratico.


Vincitore annunciato delle politiche del 4 marzo 2018, il Movimento ha superato tutte le aspettative: approfittando di un Partito Democratico più debole del previsto, ha fatto cappotto nel Meridione, vincendo pressoché tutti i collegi uninominali e trionfando con percentuali che in alcune zone hanno sfiorato la maggioranza assoluta.

Al picco nei consensi raggiunto poco dopo è corrisposto, però, un graduale declino sin dall’inizio delle trattative per la formazione di un governo con la Lega. Calo che pareva inarrestabile e si è (forse) fermato solo negli ultimi mesi, portando i pentastellati intorno al 22% secondo i principali istituti sondaggistici – meno un terzo di elettori in un anno. È interessante notare che due piccoli picchi si sono riscontrati con l’approvazione in luglio del “decreto dignità” e in settembre del Def, che conteneva il via libera al Reddito di cittadinanza.

Elaborazione Money.it da dati SWG

Ai cinquestelle si rimprovera di essere stati proni ai diktat del segretario della Lega Salvini – questione di cui abbiamo parlato in un precedente articolo. Il grillino titolare dei Trasporti Toninelli, ad esempio, si è lasciato sopraffare dai proclami del leader del Carroccio sui “porti chiusi” – per quanto, in effetti, i porti fossero ben aperti: per dirla in breve, a luglio 2018 dichiarò di aver disposto il divieto di attracco per la nave Open Arms della ONG Proactiva, “in ragione della nota formale che giunge dal Ministero dell’Interno” e per motivi di ordine pubblico. Il decreto, però, non esisteva.

E non è l’unica battaglia “data vinta” all’alleato, né l’unica torsione rispetto ai proclami elettorali: il Movimento promise che una volta al governo avrebbe chiuso l’ILVA di Taranto, ma così non è stato. Ilva, Tap, Tav: le giravolte sull’acciaieria tarantina e sul gasdotto pugliese, unite al prendere tempo sull’alta velocità Torino-Lione – dopo il capitolo dell’analisi costi-benefici –, indicano un allontanamento dei pentastellati dai movimenti locali “ambientalisti” a cui sono sempre stati vicini, in favore della ragion di Stato (e di Lega). Per non parlare della posizione tiepidamente favorevole del M5S alla legalizzazione della cannabis, che proprio di recente il vicepremier del Carroccio ha invece additato a emergenza nazionale.

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Il Movimento ha vissuto tensioni sulla questione migranti (con la cosiddetta “sinistra interna”, legata al Presidente della Camera Fico, contraria alla politica del Viminale), in particolare sul “caso Diciotti”. I lettori sicuramente lo ricordano: era il 20 agosto 2018 quando la nave della Guardia costiera italiana Diciotti giunse al porto di Catania, dove però fu rifiutato lo sbarco ai 177 migranti a bordo, tratti in salvo quattro giorni prima al largo di Lampedusa. Il rifiuto fu motivato con la necessità di trattare con altri Paesi per ottenere una redistribuzione delle persone a livello europeo. Solo nella notte tra il 25 e il 26 agosto tutti i profughi ottennero il permesso di sbarcare (27 minori erano già stati fatti scendere qualche giorno prima).

Salvini è quindi inquisito per sequestro di persona e il Tribunale dei Ministri richiede (gennaio 2019) l’autorizzazione a procedere. La palla passa così all’aula del Senato e il segretario leghista, inizialmente dettosi disponibile ad andare a processo, “cambia idea”, chiedendo agli alleati di governo di votare per garantirgli l’immunità.

A questo punto, il Movimento si spacca, con il già pasionario di Battista che sostiene l’autorizzazione a procedere e i vertici, pressati dalla Lega, che invece rivendicano una responsabilità collegiale negli atti incriminati. Alla fine, si risolverà tutto con un voto su Rousseau, la piattaforma di democrazia diretta del partito di Luigi Di Maio.

Il ritardo nello sbarco della nave Diciotti, per redistribuire i migranti nei vari paesi europei, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato?

– Sì, quindi si nega l’autorizzazione a procedere.

– No, quindi si concede l’autorizzazione a procedere.

Il quesito su Rousseau

Il 59% degli iscritti vota per salvare il Ministro, e così faranno la giunta per le immunità e l’aula del Senato.

Come l’alleato leghista, anche il Movimento porta avanti, in linea con il “contratto di governo”, i propri provvedimenti bandiera: in particolare, decreto dignità e reddito di cittadinanza.

Il primo (“la Waterloo del precariato”, secondo Di Maio) riduce la durata massima dei contratti a tempo determinato da 36 a 24 mesi e reinserisce l’obbligo di fornire la causale se il contratto a tempo supera i 12 mesi – la prima misura più o meno apprezzata, a seconda delle parti coinvolte; la seconda, controversa. Il decreto alza anche il costo del licenziamento, aumentando l’indennizzo riconosciuto al lavoratore. Non sono invece previsti incentivi per i contratti a tempo indeterminato.

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A effetti in un primo tempo negativi, i dati di febbraio 2019 hanno opposto un aumento di 200mila contratti di lavoro a tempo indeterminato nel 2018 sul 2017, con una crescita molto più contenuta di quelli a tempo determinato: la lotta al precariato sembra dare i suoi frutti. Da notare, tuttavia, che il saldo in termini di posti di lavoro dall’insediamento del governo Conte è ancora negativo – e quanto ai dati positivi del 2018, il Partito Democratico rivendica i meriti dell’esecutivo Gentiloni.

Veniamo ora al reddito di cittadinanza: un reddito temporaneo e vincolato alla partecipazione a un percorso di reinserimento lavorativo. Per come è implementato, è un po’ diverso dalle promesse elettorali – i vincoli di bilancio, si sa, sono quelli che sono. Possono accedervi gli individui che rispettano certe condizioni patrimoniali, di reddito familiare e di possesso di beni. L’importo dipende essenzialmente dalla composizione del nucleo familiare.

Oltre un milione le domande presentate, tre quarti delle quali accettate. E 100mila persone pronte – alcuni hanno già iniziato – a rinunciare, per via di importi inferiori alle aspettative e controlli stringenti: insomma, scrive Il Sole 24 Ore, i furbetti hanno paura.

Sempre il quotidiano di Confindustria scrive che il numero delle domande “può considerarsi un mezzo flop se si prende in considerazione la platea sbandierata dai Cinque Stelle a cui sarebbe destinato il loro cavallo di battaglia”, un mezzo successo se si prende invece in considerazione la platea prevista dallo stesso decreto. Si sottolinea, inoltre, l’esiguità degli importi, di gran lunga inferiori nella maggior parte dei casi alla promessa elettorale di 780 € (a seconda del reddito familiare).

Altro provvedimento rilevante è la “legge Spazzacorrotti”, che introduce misure contro la corruzione nella pubblica amministrazione, tra le altre cose ampliando lo spettro dei reati punibili e introducendo nell’ambito la figura degli agenti sotto copertura. È attesa una sentenza sulla sua possibile incostituzionalità.

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Concludiamo con una valutazione politica. L’impressione di chi scrive è che il Movimento fatichi a compiere la necessaria metamorfosi da forza di opposizione – ruolo interpretato in modo brillante – a forza di governo. Ciò non esclude che i pentastellati possano essere, in un futuro più o meno prossimo, completamente assorbiti tra le forze più “istituzionali”, come già accaduto con la Lega nei decenni passati.

Non avremo più, allora, scene in cui un vicepremier si affaccia trionfante dal balcone di Palazzo Chigi festeggiando lo sforamento dei vincoli sul deficit: tra l’altro, certe scene (diciamo) peroniste rischiano di ritorcersi contro chi le ha ideate, ad esempio quando in risposta lo spread schizza in alto. E a proposito di illustri argentini, anche il Che Guevara del Movimento, il già deputato Di Battista, sembra essersi eclissato. Pronto per tornare, carico di una nuova verginità politica, in caso al compagno Di Maio la situazione dovesse sfuggire di mano? Chi lo sa…

La situazione è in costante, e talora imprevedibile, evoluzione: due mesi fa il M5S era dato per elettoralmente “spacciato”, superato forse anche dal PD; poi, è risalito nei sondaggi. Anche le elezioni europee potrebbero non riuscire a dissipare i nostri dubbi sul futuro del Movimento, prigioniero di un limbo: da una parte i gilets jaunes (sostenuti a un certo punto dallo stesso Di Maio), dall’altra le responsabilità istituzionali. A un certo punto, bisognerà fare una scelta.

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Editorial Director from January 2020 to January 2021, now Deputy Director. Interested in European integration and public policy.

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