di Marco Visentin
A urne ancora aperte – sì, esatto, parlo proprio del nostro questionario – i risultati sono già ben delineati, e qualcuno attende una ormai ineluttabile palma della vittoria. Siccome siamo giornalisti un po’ sadici, dovrete tenervi la sorpresa ancora per un po’: e a proposito di ineluttabile, non vorremmo, con un eventuale spoiler, subire la sorte di chi andava in giro a raccontare il finale di Avengers: Endgame.
Faremo così: in questo articolo, vi racconteremo alcune tendenze che abbiamo riscontrato nella politica nazionale degli ultimi mesi: così, quando arriverà il fatidico giorno in cui scioglieremo il mistero, non vi farete cogliere impreparati. E potrete apprezzare pienamente identità e differenze del microcosmo bocconiano, rapportato con il Paese intero.
Al terremoto del 4 marzo 2018 (peraltro, annunciato) sono seguite varie scosse di assestamento, che hanno mutato la situazione politica. Questa Terza Repubblica non sembra avere dinanzi un futuro luminoso: dopo 46 anni di Prima e 24 di Seconda, non sappiamo bene pronosticare la speranza di vita alla nascita di questa nuova creatura storico-politica. Un po’ per i continui litigi tra le forze che si candidavano a egemonizzarla – e che così, invece, si stanno logorando –; un po’ per vincoli di bilancio incompatibili con le promesse elettorali; un po’, infine, per gli interessi personali dei leader dei vari partiti, che si incrociano e scontrano a geometrie variabili.
La Lega
Fuoriclasse dell’anno, il segretario leghista Matteo Salvini è riuscito a portare il proprio partito dalle paludi del 4% nel 2013 al 17% delle ultime politiche, strappando a Silvio Berlusconi lo scettro del centrodestra e lanciando un’OPA sulle ampie praterie dei moderati, un tempo appannaggio dell’anziano leader di Forza Italia.
Nato il governo Conte, ne è vicepresidente e Ministro dell’Interno: carica che gli consente di portare a casa misure bandiera come il cosiddetto “decreto Sicurezza” e la nuova normativa sulla legittima difesa, o di proclamare ripetutamente che “i porti sono chiusi” alle navi che trasportano migranti provenienti dal continente africano.
Gli si deve riconoscere, nella scelta del proprio ruolo di governo, un’abilità mediatica maggiore del collega vicepresidente, nonché capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio: Salvini ha saputo portare alla luce e sfruttare il rancore di una fetta importante di nostri concittadini, incanalandolo nella diffidenza nei confronti del diverso. Diverso come i migranti, su cui dal Viminale ha potuto agire soddisfacendo proprio questa diffidenza.
Essere inquilino del Viminale non gli impedisce, tuttavia, di occuparsi anche di questioni di competenza di altri ministri – alcuni, come la titolare della Difesa Elisabetta Trenta, non la prendono bene. E di far approvare “Quota 100”, la norma sulle pensioni già nel programma elettorale di centrodestra, sottraendo questo tema all’alleato di governo.
Diviene così il “Capitano”, soprannome coniato dallo spin doctor Luca Morisi. Per intenderci, Morisi è il creatore de “La Bestia”, la macchina del consenso social del leader leghista.
Ci sono luci e ombre: tra queste ultime, l’inchiesta sui 49 milioni di euro, frutto della truffa allo Stato dell’allora segretario leghista Bossi e del tesoriere Belsito. Paiono scomparsi nel nulla. L’Espresso sostiene di aver ricostruito movimenti di denaro che, da Malta a Panama al Lussemburgo alla Südtiroler Sparkasse, incriminerebbero Salvini e il predecessore Maroni. Il settimanale ha chiesto chiarimenti al Carroccio, senza ottenere risposta.
Sempre L’Espresso – molto solerte quando si parla di Lega – muove altre due accuse, sostenendo di avere prove al riguardo: la prima, che il partito del Capitano sia stato in trattative con oligarchi russi vicini a Vladimir Putin per ricevere finanziamenti illeciti milionari.
La seconda – e qui non c’è nulla di illecito – è che dirigenti leghisti si siano adoperati per costruire ponti con forze neofasciste come CasaPound. Ci si chiede perché il Ministro dell’Interno, che accusa i centri sociali di prendere abusivamente possesso di immobili pubblici, lasci che il partito di Iannone e Di Stefano occupi uno stabile contro la legge; perché esibisca abbigliamento prodotto da marchi dichiaratamente vicini allo stesso partito; perché il libro-intervista che lo riguarda sia pubblicato da un editore dichiaratosi fascista.
In parte, sono polemiche sterili di avversari privi di argomenti efficaci. Sfruttate ad arte dallo stesso Salvini per tenere alta l’attenzione su di sé: in un periodo di volatilità politica estrema, è una strategia che pare funzionare. Dopotutto, il 17% del 2018 ha raggiunto nei sondaggi il 35%, qualche mese fa, e la Lega si sta progressivamente affermando anche nel Meridione d’Italia – ricordate la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania? –, ottenendo risultati notevoli in Abruzzo (primo partito con distacco alle ultime regionali), comunque interessanti in Sardegna (secondo partito alle regionali) e ancora ottimi nella già roccaforte rossa Basilicata (19%). Vincendo, con il suo nuovo centrodestra, tutte le menzionate elezioni, e assimilando gradualmente i resti dell’area berlusconiana.
Le dinamiche di governo hanno visto Salvini tenere la barra di comando – o almeno, l’impressione trasmessa era questa; e infatti, alla sorprendente crescita leghista è corrisposto un calo del partner di governo, per quanto i due bacini elettorali non siano che in parte sovrapponibili. Se ne è avuta la dimostrazione plastica con il voto sul “caso Diciotti”: temendo che un’incriminazione del leader leghista avrebbe compromesso il governo, e temendo ancor più il risultato sfavorevole di nuove elezioni, lo stato maggiore pentastellato ha rivendicato una responsabilità collettiva dinanzi all’accusa di sequestro di persona. Votando in Parlamento contro il rinvio a giudizio del Ministro dell’Interno.
Marzo 2019 è il mese della svolta: i sondaggi segnano crescita zero per la Lega, che mostra i primi segni di saturazione. I risultati dell’azione di governo in ambito economico sono giudicati insoddisfacenti dagli stessi elettori leghisti, che auspicano un ritorno alle urne che garantisca al centrodestra una maggioranza parlamentare.
Si notano le avvisaglie di un malessere del ceto produttivo settentrionale, nel cuore delle regioni verdi. L’alleato di governo, poi, giunto ai minimi (20-21% dal 32% delle politiche), passa al contrattacco: partono regolari bordate alla Lega sulle simpatie neofasciste; dopo gli scandali di corruzione in Lombardia, che coinvolgono Lega e Forza Italia, anche su una riesumata questione morale (per non parlare del caso Siri); sulle posizioni in ambito europeo.
Il leader leghista pare in affanno. Rispolvera così alcuni temi di impatto immediato: la lotta alle droghe, assurta improvvisamente a priorità nazionale; un “decreto Sicurezza bis” che multerebbe le ONG per ogni migrante salvato in mare; la chiusura dei campi rom; lo sforamento dei vincoli di bilancio europei. I pentastellati fanno la voce grossa? Si risponde loro ancora più forte. Tenendo anche un comizio dallo stesso balcone di Mussolini, a Forlì, e invocando a Milano il “Cuore Immacolato di Maria”.
Gli ultimi sondaggi davano la Lega stabilmente primo partito, intorno al 30% dei consensi: si vedrà se il calo dei mesi scorsi la porterà al di sotto. I dirigenti leghisti si dice la considerino una soglia psicologica, da cui dipende, tra l’altro, il futuro dell’attuale governo. Quanto forte sarà l’impatto delle recenti vicende giudiziarie lombarde e della controffensiva pentastellata, non è ancora dato saperlo.
Nel frattempo, è piovuta una nuova tegola: la rivelazione di Repubblica secondo cui il Ministro sarebbe stato in ufficio solo 17 giorni da gennaio ad aprile, approfittando dei mezzi della Polizia per recarsi ai propri comizi. Un nuovo appiglio per la polemica dell’alleato pentastellato?
Abbiamo stuzzicato il vostro interesse? Allora, non perdetevi la prossima analisi: è il turno del Movimento 5 Stelle.
Editorial Director from January 2020 to January 2021, now Deputy Director. Interested in European integration and public policy.