Intervista all’AD di Eni, ospite in Bocconi al dinner speech a lui intitolato
Di Riccardo Russo.
1- Dott. Descalzi, lei è entrato in Eni da neolaureato. Come si diventa AD della più grande azienda italiana, partendo dal basso?
“Non esiste una ricetta sicura per affermarsi in una grande azienda, i percorsi di crescita sono spesso differenti a seconda delle caratteristiche personali e delle esperienze che ci si trova a vivere.
Nel mio caso l’unica cosa che posso dire è che non ho mai lavorato con l’obiettivo di diventare Amministratore Delegato, anzi mi sono sempre concentrato su quello che stavo facendo, cercando di farlo al meglio per l’azienda.
Ho avuto la fortuna di fare esperienze stimolanti – lavorando a lungo in Africa – e raggiungere risultati importanti per Eni, ma non sono mai stato concentrato sulla mia carriera personale.
I consigli che potrei darvi quindi sono due: primo, impegnarsi a fondo nel proprio lavoro, mantenendo sempre un approccio umile e ricordandosi chi siamo, da dove siamo partiti ed il percorso che abbiamo seguito. Secondo, accrescere il più possibile le proprie competenze e non identificarsi troppo con il ruolo che si ricopre: si rischierebbe di perdere il contatto con colleghi e collaboratori che invece rappresentano la risorsa fondamentale per il raggiungimento di qualsiasi risultato.”
2- In che misura la partecipazione statale in Eni rappresenta un vantaggio rispetto i competitors? In che misura uno svantaggio?
“Eni è una società per azioni quotata in borsa ed è gestita da un Consiglio di Amministrazione, nel quale sono rappresentati tutti gli azionisti, sia quello pubblico che quelli privati. Non esiste un azionista che abbia il privilegio di gestire la Società. Non esiste – quindi – alcun vantaggio o svantaggio nell’avere una parte di azionariato detenuto dallo Stato Italiano, semmai la peculiarità di Eni sta nelle sue origini.
Eni – infatti – è nata quando le altre major petrolifere erano già insediate nei più importanti paesi produttori: questo l’ha spinta a sviluppare un proprio peculiare modello di business basato sulla cooperazione con gli stati.
Quando si è piccoli occorre essere umili e, proprio grazie all’umiltà, Eni è riuscita a crescere in contesti dove le altre compagnie hanno trovato difficoltà, soprattutto in Africa, dove oggi siamo la prima major per produzione.”
3- Come ha reagito l’azienda alla recente instabilità nel prezzo del petrolio?
“L’attuale scenario petrolifero segna una marcata discontinuità rispetto al passato. L’assenza di un regolatore – ruolo prima svolto dall’OPEC – che bilanci i prezzi del petrolio e dia stabilità in un’ottica di lungo termine, ha portato il mercato ad essere influenzato principalmente dalle posizioni di breve termine, che accentuano l’effetto dello squilibrio fisico esistente.
Queste dinamiche hanno contribuito al crollo del prezzo del petrolio fino al 70%, ed i prezzi del gas, che in molti casi sono ancora legati ad olio, hanno seguito un andamento simile.
I fondamentali di mercato non sono però allineati con questo livello di prezzo del petrolio. Infatti la spare capacity mondiale, ossia la capacità produttiva inutilizzata, è al suo valore più basso degli ultimi decenni, pari a circa il 2%, rispetto al 7-8% di un decennio fa e gli investimenti in esplorazione e produzione sono stati ridotti a livelli pericolosi, con un taglio del 20% nel 2015 e con un’aspettativa di riduzione di un ulteriore 15% quest’anno.
I primi segnali di debolezza produttiva cominciano a vedersi: gli Stati Uniti – infatti – hanno registrato una riduzione nella produzione di tight oil di 0,6 Mb/g dal picco dello scorso Aprile.
Di contro, la domanda continua a crescere e, nel 2015, ha registrato il suo livello massimo dal 2010, con un incremento pari a 1,8 Mb/g, mentre per il 2016 si stima un ulteriore aumento di 1,3 Mb/g.
I prezzi cominciano a risentire del ribilanciamento di domanda e offerta in corso e sono tornati ad un livello di 50 $/bl con previsioni di rialzo.
Per continuare a sviluppare nuova produzione nel nuovo scenario di prezzi è fondamentale accelerare la riduzione dei costi. Infatti, non possiamo controllare i prezzi del petrolio né limitarne la volatilità, ma possiamo lavorare su una delle principali distorsioni del mercato dell’energia di oggi – la mancanza di allineamento tra i prezzi del petrolio e del gas e la struttura dei costi. Infatti, mentre i prezzi sono scesi fino a circa il 70%, i costi sono diminuiti solo del 24% e si può supporre che essi si basino ancora su un livello di prezzo a circa 80 $/bl.
Eni, già dal 2014, prima del crollo dei prezzi del petrolio, ha definito una strategia basata su tre pilastri fondamentali: primo, trasformazione della struttura organizzativa: da una struttura divisionale ed una società O&G integrata, attraverso una revisione della macro organizzazione ed ulteriori ottimizzazioni a seguito di deconsolidamenti dei business non core in portafoglio. Secondo, ristrutturazione del mid-downstream, con un progressivo equilibrio economico-finanziario che miri al break-even strutturale nel 2016 per il g&p, al 2016 per la chimica ed al 2017 per la raffinazione. Terzo, crescita nel core business O&G, con un focus sul business upstream.
Parallelamente, un intenso processo di razionalizzazione dei nostri processi e riduzione costi trasversale a tutti i business e le aree staff ci ha portato a consolidare un risparmio di 630 mln € nel 2015.
Eni dunque si trova già sulla giusta strada per adattarsi al nuovo scenario dei prezzi e, grazie alle enormi risorse esplorative scoperte negli ultimi anni, può beneficiare di un ampio e variegato portafoglio che ci consente di ottimizzare le nostre strategie di investimento, dando priorità ai progetti con costi più bassi e a minore time-to market, concentrando l’attività nei Paesi che sapranno offrire una contrattualistica più remunerativa.
Infatti, siamo riusciti a ridurre il break-even dei nostri nuovi investimenti, già tra i più competitivi dell’industria, da 45 a 27 $/b e, contrariamente alla maggior parte dei nostri competitors, riusciamo ad avviare nuovi progetti che ci consentono di alimentare la nostra crescita futura.”
4- Quali sono state le implicazioni della crisi libica sulle operazioni di Eni nel Mediterraneo?
“Eni è l’unica major che è restata ad operare in Libia durante l’attuale crisi. Le operazioni si svolgono regolarmente su tutti i siti off-shore, mentre per l’on-shore solo il campo di Wafa, in Libia occidentale, è in produzione.
Eni gode di ottimi rapporti con NOC, la società petrolifera di Stato libica. Le due società sono legate da un partenariato storico che rende Eni il più grande produttore straniero di idrocarburi in Libia, dove produciamo anche gran parte del gas necessario ad alimentare le centrali elettriche libiche.
Proprio la destinazione al mercato locale di grandi quantitativi di gas, indispensabile per fornire energia elettrica al paese, è uno degli elementi distintivi della nostra presenza e ci consente di mantenere un rapporto di stretta cooperazione con le autorità locali.
Oggi la situazione politica sta migliorando, l’istituzione del Governo di Accordo Nazionale (GNA) potrebbe essere un vero e proprio punto di svolta. È sicuramente l’opzione migliore che abbiamo per risolvere la crisi del paese.”
5- Eni è associata, per il suo stesso nome, agli idrocarburi. Esiste un piano aziendale per la valorizzazione delle fonti d’energia rinnovabili?
“Il cambiamento climatico mette l’industria energetica di fronte ad una duplice sfida. Da un lato, assicurare all’ intera popolazione mondiale, in crescita da 7 a 10 miliardi di persone al 2050, l’accesso ad energia a basso costo e, dall’altro, garantire che questo avvenga in modo sostenibile per l’ambiente, limitando l’innalzamento della temperatura entro i 2°C.
Tuttavia, la domanda continuerà a crescere nei prossimi decenni e le fonti rinnovabili, pur avendo un ruolo sempre più importante nella fornitura di energia, non potranno – nel medio termine – sostituire integralmente gli idrocarburi, mentre il gas naturale continuerà a soddisfare una parte fondamentale del fabbisogno mondiale di energia, anche negli scenari a minore intensità di carbonio.
Per questo Eni ha impostato una strategia integrata per fornire il proprio contributo nella transizione energetica verso un futuro low carbon che si basa su 3 direttive principali: primo, vogliamo produrre idrocarburi a basso impatto carbonico, assicurando che tutte le nostre operazioni siano improntate alla massima efficienza e al minor contenuto di CO2. Dal 2010 al 2015, abbiamo ridotto le emissioni dirette di CO2 del 28%, equivalente a circa 15 MtCO2. Secondo, vogliamo massimizzare l’uso del gas come fuel di elezione in uno scenario di decarbonizzazione, in particolare nella generazione elettrica, ma anche progressivamente nel trasporto. Il gas naturale si presenta come la fonte fossile con il minore contenuto di carbonio e possiede una flessibilità nella produzione elettrica che gli consente di essere complementare alla produzione intermittente tipica delle fonti rinnovabili. Oggi il portafoglio Eni è costituito per il 58% da gas naturale e i piani di sviluppo in Mozambico, Egitto ed Indonesia confermano l’impegno di Eni su questo fronte. Terzo, vogliamo promuovere lo sviluppo di energie rinnovabili, supportandone la diffusione nei paesi di nostra presenza, stimolando la ricerca tecnologica. A tale scopo, porteremo avanti progetti di generazione di energia da risorse rinnovabili nei nostri impianti siti in paesi a grande potenziale, in Africa ed Asia, con l’obiettivo di migliorare la nostra efficienza energetica e contribuire all’accesso all’energia in queste aree con un energy mix sostenibile.
Nel settore delle rinnovabili Eni non farà investimenti in grandi impianti green field ma sfrutterà le proprie competenze e la propria posizione geografica per elaborare progetti brown field oppure iniziative off-grid, che offrano soluzioni energetiche mirate ai paesi nei quali operiamo.
Abbiamo già individuato i primi progetti, sia in Italia che all’estero in Pakistan ed in Egitto, che sfrutteranno le sinergie con i nostri impianti industriali e contiamo di prendere le prime decisioni finali di investimento entro la fine dell’anno.
In Italia, in particolare, traendo beneficio dalla collaborazione con Syndial che opera nel settore delle bonifiche ed è proprietaria di oltre 4000 ettari di superficie nel paese, miriamo a valorizzare le aree industriali bonificate ma non utilizzabili o di scarso interesse economico, rilanciando i siti e investendo nella produzione di energia rinnovabile. Puntiamo infatti ad installare 220 MW di nuova capacità entro il 2022 con un investimento di 230 mln €.
Dal punto di vista tecnologico prevediamo di utilizzare, oltre al fotovoltaico, altre tecnologie quali il solare a concentrazione, l’eolico e le biomasse.”
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