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Intervista a Francesco Perrini

Reading time: 4 minutes

Di Gianluca Basciu, Eleonora Recupero, Camilla Saccanella tana dei leoni

È da almeno dieci anni uno dei nomi (e dei volti) più noti della nostra Università. Sempre presente nelle classi, agli eventi , alle attività extra didattiche e negli zaini degli studenti del primo anno, Francesco Perrini può definirsi una vera e propria “celebrità” della Bocconi. “Nella Tana dei Leoni” si è guadagnata un incontro esclusivo con lui.

Francesco PerriniChi è Francesco Perrini? Quali erano le sue aspirazioni a vent’anni e quali sono, oggi, i suoi hobby?

Francesco Perrini è un professore di Economia e Managemtent presso l’Università Bocconi, ex direttore del CLEAM (nonostante in molti credano che lo sia ancora) ed esperto nell’ambito dell’impresa sociale. Sembrerò sciocco a dirlo, ma da giovane le mie aspirazioni non erano altro che gli hobby di oggi, ossia il calcio, la corsa e il Milan. Sognavo di diventare un calciatore professionista, poi mi sono ritrovato a studiare economia.

Come ci si sente ad essere direttore del CLEAM, il corso di laurea con il maggior numero di iscritti alla Bocconi?

Come ho detto prima e come la vostra domanda mi conferma, non è molto noto il fatto che non sia più direttore del CLEAM da ormai due anni. Lo sono comunque stato per sei anni, e posso dire di averlo interpretato come il coronamento di una carriera che avevo iniziato proprio qui alla Bocconi nell’85, ben vent’anni prima. Fare carriera accademica è sempre una sofferenza, e quando finalmente si raggiungono posizioni ambite la soddisfazione e l’orgoglio si fanno sentire. Non sarò modesto, la responsabilità è stata grande ma penso di esserne stato all’altezza. I feedback che ho ricevuto dagli studenti sono sempre stati molto positivi e io ho sempre cercato di fornire loro la massima disponibilità.

Lei si è molto dedicato allo sviluppo in Italia della “venture philantropy”, un’attività volta a fornire supporto strategico-finanziario alle imprese no profit. Non pensa che questa nuova direzione possa minare lo spirito e l’ideale di fondo che dà vita alle associazioni di volontariato e alle imprese sociali?

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Assolutamente no, anzi, credo che sia un’opportunità. La logica di questo progetto, che seguo da tempo, è quella di trasportare tutti gli elementi positivi della filantropia in un’impresa gestita secondo i parametri di management. Chiamare queste società “venture” indica semplicemente un processo di selezione di buoni  a scapito di cattivi progetti. In Italia troviamo poca trasparenza nel no profit, che viene spesso usato come maschera per compiere atti illegali, primo fra tutti l’evasione fiscale. Sono necessari i parametri tradizionali per ottenere risultati efficienti ed efficaci, in modo da avere un maggiore impatto nel sociale. Con i criteri della “venture philantropy” abbiamo la possibilità di migliorare i processi di cambiamento sociale a parità di risorse. Pensate a quanti sms vengono mandati per votare a programi televisivi come “X Factor” o “Amici” e a quanti per finanziare enti come Telethon: se si riuscisse ad ottenere lo stesso impatto, non solo l’ideologia di fondo non verrebbe tradita, ma la si alimenterebbe meglio e con risultati più soddisfacenti.

Sappiamo che lo scorso anno si è preso una pausa dall’insegnamento. Com’è tornare in cattedra? 

Tornare a insegnare è come tornare a giocare a calcio dopo un infortunio:  non vedi  l’ora di ributtarti, di rivivere tutto assaporandolo come se fosse la prima volta. Ho voglia di parlare con i miei studenti, di raccontare le cose che ho appreso durante l’anno sabbatico che mi sono preso, ma purtroppo il tempo è sempre troppo poco. Sono stato a Londra, dove ho avuto modo di accrescere e approfondire le mie conoscenze e competenze, cosa che mi ha permesso di proporre alcune innovazioni che seguano il format anglossasone, come ad esempio la possibilità di dare un esame prima di Natale, aumentando le parti inerenti la pratica.

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Lei è presente su numerosi social. Cosa pensa dell’importanza di questi network per le possibilità di noi giovani? 

Sicuramente i social sono ormai entrati nella nostra vita e sono fondamentali per tantissime cose. Io stesso ricordo che usai Facebook a suo tempo per organizzare le classi dei Campus Abroad. Per i giovani sono senza dubbio ormnai indispensabili, specie per la velocità e l’istantaneità con cui permettono la comunicazione. Rimangono tuttora al primo posto per la loro efficacia e immediatezza, battendo, mi tocca dirlo, tutti gli strumenti pur eccellenti che la nostra e altre Università offrono. Ritengo però decisivo il fine ultimo per il quale si utilizzano i social, che deve essere prima di tutto informativo. Io personalmente seguo molto Twitter, per avere una sorta di rassegna stampa in tempo reale sui settori che maggiormente influenzano la mia attività. Ovviamente sui social è importante anche essere attivi e “pubblicizzare” una buona immagine di se stessi, ma quello è già più difficile da fare, motivo per cui io preferisco sempre essere più “passivo” su queste piattaforme.

Lei è un personaggio molto conosciuto  e in voga in questa Università. Ci racconta qualche aneddoto divertente?  

Innanzitutto vorrei approfondire la genesi della mia popolarità, che al momento non mi è così scontata come pare a voi. Posso ipotizzare che sia dovuta al fatto che sono stato direttore del CLEAM per tanti anni, che ho (spero) realizzato buone  performance didattiche e sportive (spero più didattiche), e alla grande disponibilità che ho sempre concesso agli studenti, specie tesisti. Per quanto riguarda aneddoti simpatici non mi vengono in mente episodi eclatanti. Posso dire di essermi sempre dedicato con grande passione al mio lavoro, al punto da fare lezione con le stampelle o presentarmi a lezione dopo notti in ospedale, spesso dovute a infortuni sportivi. Ricordo con divertimento una volta che andò via la luce e dovetti disilludere gli studenti che già speravano in una fine anticipata della lezione, improvvisandomi  professore “old style”, armato di gesso e lavagna.

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Potete guardare il video dell’intervista QUI

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