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Economics

RETHINKING ECONOMICS: alcuni eccellenti pareri sui volti dell’economia

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Di Enrico Anedda.

La nostra università offre più di 500 corsi, se si considerano quelli delle triennali, delle specialistiche e quelli della facoltà di giurisprudenza. Tra questi, solo due contengono la parola “pensiero” o il suo corrispettivo in inglese. Abbondano le lezioni di metodi quantitativi, e tuttavia non esiste alcun corso di metodi qualitativi nella nostra formazione accademica.

L’economia, come interazione tra persone per soddisfare dei bisogni, esiste da sempre. Ovviamente, il mondo cambia mentre va avanti, e la divisione del lavoro odierna è molto più articolata di quella preistorica, che riservava agli uomini il ruolo di cacciatori perché fisicamente più forti. La concezione moderna di economia è quella di una scienza onnipotente, il cui compito è comprendere e prevedere tutti gli aspetti e i fatti che coinvolgeranno o sconvolgeranno, direttamente o indirettamente, la nostra vita, sia nel breve, che nel medio-lungo termine. Come l’ultima recente crisi ci ha insegnato, questa visione è assai distorta: l’economia non è affatto onnipotente, e ciò per definizione. Essendo una scienza sociale, non può essere una scienza esatta come la matematica. Tuttavia, per dare alla materia una base più solida e credibile, si è assistito dall’Ottocento ad una sistematica matematizzazione dell’economia, amplificata dalla dottrina neoclassica negli ultimi decenni. Nel tempo si sono costruiti modelli matematici basati l’uno sull’altro, con il pericolo di aver fatto diventare l’economia una scienza a tratti autoreferenziale. I problemi sollevati da molti sull’affidabilità dell’economia sono relativi anche alle variabili utilizzate. Le principali variabili economiche infatti, utilizzate in maniera univoca ed oggettiva – come per esempio il tempo, misura d’incertezza disomogenea, o le preferenze individuali – sono nella realtà empirica molto difficili da misurare, o anche solo da individuare.

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Può funzionare nella pratica ciò che vale in teoria? Quando parliamo di equilibrio di lungo periodo, di quale orizzonte temporale stiamo davvero parlando? Questi sono gli argomenti affrontati nella sua prima conferenza, tenutasi lo scorso 8 marzo nel nostro Ateneo, dall’associazione studentesca Rethinking Economics. Il tema, “Modelli e Realtà, buoni economisti o buoni matematici?”, è stato discusso dal professor Fantacci, docente di Storia Economica nella nostra università, e il professor Roncaglia, del dipartimento di Scienze Statistiche de La Sapienza di Roma. Rethinking Economics fa parte di un network internazionale di oltre 80 associazioni studentesche in tutto il mondo, che condividono e promuovono l’idea di un pluralismo economico teorico (come bisogno di allargare il raggio di scuole di pensiero rappresentate nei corsi universitari) e metodologico (come impiego di un ampio ed eterogeneo insieme di strumenti nell’analisi delle questioni economiche). Secondo loro per capire l’economia non bastano le equazioni matematiche, bisogna sempre porsi delle domande senza dare mai nulla per scontato.

Marx diceva che le crisi sono importanti perché ci permettono di sperimentare il panico pratico e lo sconcerto teorico, punti di partenza per creare una nuova ricerca scientifica. Le teorie infatti, non sono delle scoperte, ma delle vere e proprie invenzioni concepite per orientarci nel mondo. Purtroppo l’impressione è che oggi nella nostra e in tante altre università, si studi una sola teoria: quella “definitiva”. In quasi tutti i corsi che seguiamo, la trattazione delle teorie precedenti e la loro evoluzione è affidata a poche pagine, quando presenti.

Secondo il professor Roncaglia l’economia odierna attinge poco dai grandi classici e dai maestri di questa disciplina, creando poca pluralità di visione. I modelli utilizzati sono estremamente semplificati e quindi lontani dalla realtà, inapplicabili per valutare un vettore di problemi – e le derivanti soluzioni – posti quotidianamente dalla finanza e dall’economia. Concordano con questa visione anche due eccellenti personalità del nostro Ateneo. Secondo il professor Castagnoli, una buona parte dei guasti della finanza, ma non solo di quell’area, sono stati determinati dal pessimo uso che si è fatto dei modelli matematici, avendoli utilizzati in maniera acritica, insensata e ben al di fuori delle ipotesi che li sorreggono. Anche il professor Peccati non sembra pensarla molto diversamente. Secondo lui, i modelli economici applicati, sono tali perché applicati ad una certa realtà, e non bisogna mai dimenticarsi di questo prerequisito fondamentale. In generale quando si applica la matematica all’economia, dobbiamo sempre leggere bene il libretto d’istruzioni prima e ricordarci che bisogna trovare il giusto equilibrio tra semplificazione matematica teorica e la realtà empirica.

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Secondo Keynes, le idee degli economisti, sia quando sono giuste che quando si rivelano fallaci, sono molto più potenti di quanto si creda. Gli uomini, per quanto possano ritenersi pragmatici, sono spesso schiavi di qualche economista defunto, diceva il celebre studioso inglese. A questo punto viene spontaneo domandarsi cosa faccia di un economista un buon economista. Ci viene in aiuto ancora Keynes, che, rispondendo a questa domanda, diceva: “Un buon economista è qualcuno che usa il dono di un’attenta osservazione per scegliere dei buoni modelli”.

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