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Riapertura dei Navigli: da storia a futuro di Milano

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Riapertura Naviglio (Gioia)-2NextPA e Bocconi Students Historical Society portano il dibattito in Bocconi

Di Andrea Tealdi

Milano è sempre stata attraversata da vie d’acqua. Già intorno al 200 a.C., in epoca romana, vengono realizzate opere idrauliche. Cadute in disuso con le invasioni barbariche, sono recuperate solo dopo il XII secolo, quando si compiono lavori di sistemazione di nuovi canali destinati principalmente all’irrigazione dei campi e al rifornimento d’acqua, oltre che a scopi difensivi. Presto, però, si pensa ad essi come vie di navigazione: vengono realizzate nuove opere ed espansioni dei canali esistenti, che assieme all’acqua portano vita alla città, riforniscono il cantiere del Duomo e portano anche la firma di Leonardo Da Vinci, che li dota di un sistema di chiuse. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento il sistema di trasporto fluviale cede il passo a ferrovie e tram, e i canali vengono interrati o coperti tra il periodo fascista e gli anni ’60. Dell’antico sistema dei Navigli oggi resta visibile solo una parte: i Navigli Grande e Pavese, collegati dalla Darsena, e il Naviglio Martesana. In realtà, in molti punti sotto le strade giacciono ancora le loro fondamenta, e a volte scorrono in segreto, come sotto via Melchiorre Gioia, tanto che da tempo si parla di riaprirli.

Sono ospiti dell’Associazione NextPA e di Bocconi Students Historical Society all’Università Bocconi per discutere del ruolo dei navigli nella città, e delle ragioni e modalità dell’opera di riapertura: Roberto Biscardini, presidente dell’Associazione “Riaprire i Navigli”, Fabio Marelli, delegato dall’assessore Maran, responsabile della Rete delle Acque Reflue e direttore della Divisione Acquedotto e Servizio Idrico Integrato della città di Milano, Marco Percoco, professore associato Bocconi, e Piergiacomo Mion, assistente e delegato del professor Turrini.

L’associazione Riaprire i Navigli è nata per mostrare che questo progetto di riapertura è un investimento per Milano e per la Lombardia, e non soltanto un costo o un sogno nostalgico. Roberto Biscardini ci guida in una suggestione, parlandoci delle ragioni per riaprire i Navigli e mostrandoci immagini di un futuro possibile. Non ha molto senso se si tratta soltanto di un abbellimento formale della città, e nemmeno è un discorso di memoria o di nostalgia del passato. Il significato di quest’opera è un altro: ricongiungere le reti idriche lombarde, per cui i Navigli di Milano sono un punto cruciale di collegamento, e assieme all’acqua portare ancora più vita alla città e all’intera regione. Biscardini mostra immagini di città come Londra, Parigi, Amsterdam, Copenaghen, Amburgo e tante altre, oggi attraversate da vie d’acqua che sono opere di bellezza in grado di creare valore. Ma questo progetto non convince tantissimi milanesi, per ragioni precise e presenti, come i costi per la collettività, o l’impatto sulla circolazione. Per questo è importante valutare accuratamente rischi e benefici.

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Il progetto in valutazione e l’analisi costi-benefici

Fabio Marelli, tra gli ingegneri responsabili del servizio idrico per Metropolitana Milanese e delegato dall’amministrazione cittadina, ci descrive le iniziative attuate dal Comune di Milano in merito al progetto generale di riapertura dei Navigli. È stato costituito un comitato tecnico-scientifico per effettuare analisi di fattibilità, ed è stato commissionato uno studio nel 2015 al Politecnico di Milano, allo scopo di trovare le migliori soluzioni per proporre alla cittadinanza un progetto ambizioso che tenga conto di tutte le esigenze. Al momento vengono considerate due possibili versioni: un piano di riconnessione idraulica del Naviglio della Martesana con la Darsena, che comporta la riapertura di cinque tratti di Navigli, per una lunghezza totale di 2’020 metri e una portata di 3 m3/s, e un piano che prevede la riapertura totale, per oltre 3’530 metri, e una portata maggiore (4 m3/s).

Il progetto ha ora raggiunto un buon livello di dettaglio, ed è quasi pronto per essere presentato alla cittadinanza nei modi e tempi opportuni. Questo è un passo fondamentale, a causa dell’importanza storica e urbanistica che avrebbe per Milano e dello sforzo richiesto alla popolazione per realizzare un’opera simile. È importante valutare attentamente il rapporto costi- benefici, anche dal punto di vista sociale.

Per Biscardini si tratta di un’opera di interesse regionale, anche se la sua realizzazione avverrebbe nei confini di Milano. Innanzitutto, perché l’acqua dovrebbe essere competenza regionale, e poi perché sarebbe un’opera di collegamento dell’intera Lombardia anche dal punto di vista culturale. Permetterebbe, infatti, di migliorare l’integrazione del turismo promuovendolo su tutti i territori lombardi, generando sinergie e opportunità di dialogo. Inoltre, la possibilità di ottenere, ad esempio, un appalto di gestione integrata delle vie d’acqua a livello regionale motiverebbe un interesse diverso da parte degli investitori rispetto a quella di aggiudicarsi soltanto la gestione di alcune vie nella città, se rimane la volontà di coinvolgere privati nel finanziamento dell’opera.

Secondo il professor Percoco il turismo è importante, ma non è una delle questioni principali. Milano non può puntare ad incrementare il turismo solo attraverso la creazione di aree di socializzazione, e nemmeno può basare la sua crescita sul turismo. Oggi le città che crescono molto lo fanno nei settori più produttivi, che sono altri, ad esempio il terziario avanzato. Le città oggi competono nell’acquisizione di capitale umano, che si sposta nei luoghi dove la qualità della vita è alta. Nel dossier di candidatura per l’EMA, ad esempio, si è puntato molto su questo aspetto. È da questo punto di vista che un’opera come la riapertura dei Navigli potrebbe avere maggiore impatto per la città. Il successo di un progetto di tale portata, dunque, potrà venire se il Comune avrà una strategia precisa di sviluppo e un piano di lungo termine, che definisca uno scopo, una visione, delle priorità.

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Il beneficio in termini di creazione di bellezza e incremento della qualità della vita è fondamentale. Esso non riguarda solo i futuri cittadini, ma anche e soprattutto chi oggi vive Milano tutti i giorni. Quest’opera potrebbe spostare alcuni equilibri urbani, innalzando il valore di alcuni immobili già presenti nelle aree interessate, e valorizzando certe aree della città per gli abitanti e gli esercizi commerciali. A questo punto si potrebbe obiettare parlando di gentrification, così come si è fatto per tanti altri interventi di riqualificazione, come a Porta Nuova. È una questione presente e complessa, ma Milano ha mostrato negli scorsi anni di saper affrontare questo rischio con interventi di sostegno, come il social housing. Un altro pericolo importante è la congestione, durante e dopo i lavori. Un problema riguardo a cui le giunte susseguitesi negli anni sono state timide. Milano è una città molto trafficata, e secondo il professore si potrebbe fare molto di più, anche se non dipende solo da questo progetto.

In generale, però, Percoco è convinto che i benefici siano superiori ai costi e l’impatto sociale sarà positivo. Oggi le questioni senza una risposta definitiva sono chi sosterrà la spesa e chi deciderà se concretizzare ciò che fino ad oggi è rimasto su carta.

 

Le questioni aperte

Il progetto ha un costo stimato intorno ai 150-200 milioni di euro. L’importo probabilmente potrebbe lievitare a 250-300 milioni, ma comunque non si tratta di cifre enormi in rapporto al bilancio del Comune. La questione è come finanziare queste spese, che necessariamente devono essere un investimento inserito in un progetto strategico di sviluppo urbano nel lungo termine, una strategia che guardi al 2040 e non al 2020. Sicuramente si guarda anche ai privati, ad esempio con la creazione di un fondo di sviluppo urbano, oppure studiando modalità di pagamento che includano il trasferimento di immobili.

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Per quanto riguarda la questione del “chi decide”, è giusto che siano direttamente i milanesi, per l’impatto che l’opera avrebbe sulla città. Finora l’iter è stato abbastanza lungo: una decisione di giunta, tentativi di coinvolgimento dei cittadini (ad esempio nell’ambito del bilancio partecipativo). Non sempre, però, le opportunità di coinvolgimento dei cittadini vengono sfruttate. Bisognerà, pertanto, studiare un modo per ricevere un’opinione chiara, democratica e finale dalla cittadinanza.

Un intervento dal pubblico, di un docente del Politecnico che ha partecipato allo studio di fattibilità, ci permette di sottolineare un ultimo aspetto, che potrebbe essere veramente la chiave di interpretazione di questo sogno di sviluppo urbano per Milano. Qual è l’approccio alla realizzazione di quest’opera? Il rischio che stiamo correndo è di creare una discrasia tra l’introduzione di qualcosa che appartiene al passato e un contesto urbano che oggi è cambiato. A questo proposito non si dovrebbe allora parlare di “riapertura” dei Navigli ma di “nuovi Navigli”. Bisogna fare molta attenzione nella valutazione di tutti i dettagli perché si tratta di un’opera nuova, che va inserita in un ambiente urbano completamente mutato: centimetro per centimetro, si dovrà adattare il vecchio al nuovo, perché i nuovi Navigli siano una rete vitale che spinga Milano nel futuro.

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