DALLARA E LE NUOVE SFIDE DELL’AUTO DA COMPETIZIONE ITALIANA
Entra in IBM nel 1980 come tecnico di manutenzione e nel 2004 diventa Presidente e Amministratore Delegato di IBM Italia, per poi affiancarsi nel 2007 all’Ingegner Gian Paolo Dallara alla guida di Dallara Automobili, azienda storica costruttrice di auto da competizione di Varano de’ Melegari, in provincia di Parma. Andrea Pontremoli, oggi Amministratore Delegato e Direttore Generale di Dallara, ci svela, nell’ultimo Dinner Speech organizzato da Bocconi Alumni Association, i segreti del successo di Dallara e dell’auto da competizione targata Made In Italy.
All’apice della carriera in IBM, ha lasciato la multinazionale americana per una realtà italiana caratterizzata da un forte legame con il territorio. Alla luce della sua esperienza, quali pensa che siano al giorno d’oggi i punti di forza dell’impresa italiana e i tratti che valorizzano il Made In Italy all’estero?
Noi, come Italia, abbiamo la capacità di innovazione nel nostro DNA, siamo continuamente proattivi e geniali. Dobbiamo invece lavorare sulla capacità di mettere a sistema e di usare metodo per far diventare questa creatività un prodotto o un servizio da portare al cliente in maniera scalabile a livello mondiale. Nel momento in cui riusciamo a fare ciò, non ci batte nessuno. Un’altra cosa interessante è che il mondo globale in cui ci troviamo presenta due fondamentali caratteristiche: una è la velocità con cui succedono le cose, l’altra è l’incertezza, cioè l’incapacità di sapere cosa succederà e quando. Queste due cose messe insieme in matematica si chiamano caos. Noi italiani siamo fantastici a gestire il caos perché ci viviamo, quindi per noi è normale.
La quota di Dallara nel mercato dei produttori di auto per il GP3 supera il 90 per cento. Ritiene che un tale livello di leadership ed un mercato poco competitivo possano in un certo senso allentare lo stimolo all’innovazione e al miglioramento dati dalla competizione?
Sì. Noi infatti quest’anno abbiamo scelto di andare in un campionato in cui non siamo nessuno e in cui non abbiamo neanche una macchina, proprio per cercare la competizione. La chiave dell’innovazione risiede infatti nella competizione e nel confronto con gli altri. Per questo abbiamo scelto di passare da un mondo in cui le macchine sono tutte nostre, o quasi, ad un mondo come la 24 ore di Daytona, dove avevamo tre macchine su 56 e nonostante ciò abbiamo ottenuto primo e secondo posto. Questi risultati confermano il fatto che stiamo andando forte e che siamo pronti per la sfida di quest’anno, la 24 ore di Le Mans. È la prima volta che andiamo a cimentarci a Le Mans, speriamo in bene.
Al giorno d’oggi il mercato delle auto da competizione offre ancora ampio spazio di crescita? Quali obiettivi si prefigge Dallara per i prossimi 10 anni?
Il mercato delle auto da competizione è un mercato molto chiuso e molto piccolo. Non ha senso pensare di crescere con l’azienda rimanendo in quel mondo. Bisogna utilizzare le tecniche, le tecnologie, le innovazioni di quel mondo per portarlo nei mondi di tutti i giorni. Ecco perché stiamo lavorando ai missili per il turismo spaziale, ai treni e alle macchine non da corsa, sfruttando quel tipo di innovazione. È questa la chiave che ci permetterà di crescere.
Quali pensa che siano state le motivazioni che hanno spinto Dallara a preferire il controllo famigliare alla quotazione in borsa? Ritiene che tale scelta abbia giocato un ruolo chiave nel successo aziendale?
Sicuramente sì, perché l’azienda famigliare ha la capacità di decidere il tempo, mentre invece con la quotazione in borsa il tempo lo decidono gli azionisti. Questo ti permette di ragionare in un’ottica di tempo molto più lungo rispetto alla borsa, e ti permette di costruire un futuro che ha una solidità superiore. Ha senso andare in borsa quando hai bisogno di risorse finanziarie per permetterti di fare il salto di scala. Noi fino ad oggi il salto di scala lo abbiamo sempre ottenuto usando il nostro EBITDA, quindi non abbiamo avuto bisogno di risorse finanziarie provenienti dall’esterno perché usiamo le nostre. Tuttavia, se un giorno dovessimo averne bisogno, perché no?
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