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Andrea Venzon, un Bocconiano per cambiare l’Europa

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di Paolo Barone

Laureatosi in Economia nel nostro ateneo, Andrea Venzon è tra i fondatori del movimento Volt Europa ed è stato inserito dalla rivista Forbes tra i 100 italiani under 30 destinati a guidare il futuro.

Volt si contraddistingue per essere il primo partito attivo contemporaneamente in più paesi europei e ad oggi si candida per le elezioni europee in otto paesi diversi: Germania, Olanda, Belgio, Bulgaria, Lussemburgo, Spagna, Svezia e Regno Unito. Insieme con Andrea, abbiamo deciso di parlare ampiamente della visione politica di Volt contenuta nella Dichiarazione di Amsterdam. Ci siamo poi addentrati in svariati temi politici ed economici, tra cui anche Greta Thunberg e la campagna in UK che Venzon sta conducendo in prima persona. Scoprendo infine se la Bocconi possa averlo ispirato in questo percorso.

Sono con Andrea Venzon, fondatore e presidente di Volt Europa nonché Bocconiano. Iniziamo proprio da qui, pensi sia ancora possibile affermare con orgoglio di essere Bocconiani in tempi in cui si è tacciati con facilità di appartenere alla cosiddetta élite?

Certo. Personalmente sono assolutamente orgoglioso del mio percorso di studi e della mia Alma Mater. Da milanese, per me entrare a far parte della Bocconi è stata una scelta naturale. Non solo, la Bocconi mi ha anche dato un’istruzione di qualità che mi ha aiutato nel proseguo della mia carriera professionale e politica.

Riguardo la tua carriera politica, partiamo da una domanda che ti avranno già posto centinaia di volte. Cos’è Volt?

Volt è il primo partito transnazionale nella storia di questo continente. È nato come movimento europeo un paio di anni fa come reazione alla Brexit. All’epoca io, una ragazza francese e un ragazzo tedesco abbiamo deciso di attivarci per creare un’alternativa. Non avevamo fondi, ma solo l’idea di creare un partito che fosse lo stesso in ogni paese europeo. Ciò significa stesse politiche, stessa visione, stesso logo in ogni nazione. Abbiamo lanciato la pagina Facebook di Volt il 29 Marzo del 2017. Oggi siamo circa 25mila iscritti in trenta diversi paesi europei, inclusi Svizzera e Norvegia. Ci presenteremo alle elezioni europee in otto diversi paesi.

Riguardo le elezioni europee, il vostro programma è racchiuso nella Dichiarazione di Amsterdam. Quali sono gli obiettivi principali che vi proponete in questo documento?

Come hai ben detto tu, la Dichiarazione di Amsterdam racchiude il nostro programma elettorale per queste elezioni. A renderla unica nel suo genere è il fatto che sia stata votata da persone provenienti da tutta Europa attraverso la stessa piattaforma. Il primo punto del nostro programma è migliorare l’Unione Europea per renderla più democratica e partecipativa, in quanto noi siamo europeisti, ma lo siamo anche in modo critico. Un esempio su tutti è il Parlamento Europeo, un organo votato da 500 milioni di persone che non ha però iniziativa legislativa. A differenza dei partiti sovranisti, ci proponiamo di aggiustare l’Unione invece di distruggerla.

Dunque voi riconoscete esplicitamente i limiti dell’UE.

Esatto. Noi difendiamo fortemente l’idea dell’Unione Europea, la pace e i benefici che ci ha portato. Allo stesso tempo, siamo consapevoli che sia necessario riformarla radicalmente. La verità è che i partiti nazionali hanno difficoltà a portare avanti riforme europee poiché c’è da mettere d’accordo 27 o 28 paesi diversi, a seconda di Brexit. Noi da primo partito europeo ci auguriamo che in futuro ne nascano altri come noi. Magari di orientamento politico diverso, ma che come noi portino avanti un’unica agenda a livello continentale.

Nella prima parte della Dichiarazione vi proponete obiettivi molto ambiziosi come la costituzione di uno Stato federale europeo e di un esercito unico europeo. Quanto tempo pensi ci vorrà prima che ciò si realizzi?

È certamente difficile prevedere quando si realizzerà uno Stato europeo, per ora è necessario lavorare sui singoli obiettivi nell’ottica di uno scenario complessivo. Uno di questi obiettivi è la cooperazione militare tra Stati europei, che inizia a vedersi nella PESCO. È vero, alcune idee che proponiamo sono ambiziose. L’idea alla base è che per fare politica in modo serio si debba avere una visione di fondo. Uno dei grandi problemi che la politica si trova ad affrontare è quello dei cambi di direzione di tre mesi in tre mesi senza un progetto. Noi ci proponiamo invece di combinare proposte da realizzare nel breve periodo, ad esempio sfruttando i fondi europei in modo efficiente, con una direzione chiara che vada al di là delle prossime elezioni.

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Nel vostro programma auspicate un’Unione che sia economica e non solo monetaria, ciò significherebbe avere un debito pubblico aggregato tra i paesi europei. Come si convincono i paesi “virtuosi” dell’UE a farsi carico di debiti monstre come quello italiano?

L’idea è che sia per tutti i paesi membri un “do ut des” all’interno di un disegno comune. Nell’ottica di un paese virtuoso ciò significa farsi carico in parte del debito dei paesi in difficoltà, ma con la consapevolezza che ciò è necessario per far funzionare l’intero sistema. Ad esempio, il mercato unico dell’UE ha permesso alla Germania di avere un avanzo commerciale significativo, se non esagerato. Bisogna però anche sacrificare qualcosa. Paesi come l’Italia e la Grecia soffrono terribilmente il fatto che vi sia una moneta unica ma allo stesso tempo non un unico debito pubblico.

Proponete anche alcune nuove tasse: una Corporate Tax al 15% in tutta Europa, una Carbon Tax e una Plastic Tax. Non temi che un aumento della pressione fiscale possa danneggiare la produzione?

Da italiano, assolutamente no. Una Corporate Tax al 15% minimo in tutta Europa avrebbe l’obiettivo di livellare in parte la disciplina fiscale tra i paesi europei, evitando che le multinazionali fuggano verso paesi come Bulgaria o Irlanda per pagare tributi più bassi. Riguardo le altre due che hai citato, la sostenibilità è troppo importante per essere lasciata al caso. È anche vero che bisogna fare in modo che nuove tasse non danneggino il settore privato. In altre parti del nostro programma cerchiamo infatti di dare ossigeno alle piccole e medie imprese, provando a dare la spinta maggiore possibile agli innovatori.

A proposito di innovazione, voi date un certo rilievo all’Intelligenza Artificiale.

Assolutamente, e siamo forse l’unico partito europeo che prende in considerazione il tema. L’idea è che oggi con l’intelligenza artificiale si sia all’alba di una nuova rivoluzione industriale, e attualmente questo è un treno che l’Europa sta perdendo. La storia ci insegna che i paesi che escono sconfitti dalle rivoluzioni industriali non finiscono bene.

Il presente della tecnologia sono però i social, accusati di aver influito sulle ultime tornate elettorali. Pensi che i social siano ancora una risorsa o rappresentino già una minaccia per le democrazie occidentali?

Secondo me sono ancora una risorsa. I social, come tutte le grandi invenzioni, vanno gestiti, capiti e in alcuni casi regolati. La politica fatta in modo tradizionale è rimasta trent’anni indietro, mentre è fondamentale che
le istituzioni si aggiornino. Regolamentazioni eccessive possono essere controproducenti. Ad esempio, Facebook Europa al momento impedisce di lanciare campagne di advertising transnazionali in vista delle elezioni europee. Questo però fa anche sì che la campagna del Parlamento Europeo per portare le persone ai seggi rimanga bloccata.

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Un altro tema su cui puntate e che ci interessa da vicino è quello dell’istruzione. Il vostro primo obiettivo è quello di espandere fortemente il progetto ERASMUS+. Quale sarebbe l’effetto?

Erasmus è secondo me il perfetto esempio di un progetto europeo fantastico ma implementato male. È vero che il progetto Erasmus ha creato gli europei, ma lo ha fatto solo nella parte ricca della popolazione. È importante invece estendere le opportunità di scambio anche ai licei, agli istituti tecnici, ai liberi professionisti. Gli scambi culturali aiutano a creare una coscienza comune, a capire che chi vive oltre le Alpi è come noi anche
se parla una lingua diversa. Ti dirò di più, andando avanti il mio sogno sarebbe vedere un anno di liceo obbligatorio per tutti all’estero in Europa. Certo, magari è vero che da noi si mangia meglio. (ride, ndr)

Parliamo di green. Cosa ne pensi del fenomeno Greta Thunberg?

Greta e l’intero movimento di FridaysForFuture sono espressioni fantastiche, magari sarebbe bello anche vedere tutta questa energia tradotta in proposte pratiche per migliorare la società. In generale però l’idea è fantastica, e per la prima volta le generazioni dei nostri genitori e dei nostri nonni si sono risvegliate iniziando a capire l’importanza di questo tema. Noi abbiamo peraltro partecipato a questa bellissima iniziativa nelle manifestazioni di Roma e di Udine.

Voi invece come movimento politico cosa proponete per un’economia e una società europea più sostenibili?

Alcune cose come la Carbon Tax e la Plastic Tax le abbiamo già citate; inoltre, la nostra proposta è legare tutti gli investimenti pubblici a dei criteri di sostenibilità. A dirla tutta, è qualcosa che in parte già si fa nel settore privato, ad esempio tramite i bond sostenibili. Questa concezione deve però essere proposta anche nel settore degli investimenti pubblici. È fondamentale ad esempio che i fondi europei una volta sbloccati siano destinati ad imprese sostenibili.

Siete riusciti a candidarvi in ben otto paesi, ma non in due dei tre paesi dei fondatori. In Italia e in Francia non sarete presenti sulle schede elettorali, pensi che questo sia significativo?

Penso sia molto significativo delle enormi barriere diplomatiche che ancora esistono in Europa. L’Italia è tutt’ora il paese in cui siamo maggiormente attivi con oltre 5mila iscritti e presenza in 70 città. Nonostante
ciò, per presentarsi erano necessarie 150mila firme con notaio al banchetto, di cui almeno 3mila in alcune regioni come il Molise. Abbiamo fatto comunque degli sforzi enormi riuscendo a superare le 30mila firme, ma sono rimasti numeri proibitivi. In Francia invece sapevamo dall’inizio di non farcela in quanto per presentarsi è necessario il versamento di 800mila Euro per poter stampare i “ballot paper” obbligatori. Tutto ciò mentre ad esempio in Germania bastano 4mila firme senza notaio.

Anche in Austria non siete riusciti nell’impresa. Come mai?

In Austria occorrono poche migliaia di firme, ma che devono essere raccolte tra persone che si rechino in orario lavorativo nell’ufficio ministeriale, firmino e poi spediscano la ricevuta della firma al partito tramite posta. Un sistema Ottocentesco. Voglio sottolineare che le differenze elettorali tra i paesi europei sono un problema grave, implicando che ad esempio un partito tedesco che siede al parlamento europeo possa essere meno rappresentativo di un partito francese che invece non ha superato la soglia del 5%, mentre in Germania non c’è soglia.

Tu invece sei candidato da indipendente per Londra. In primis, come mai da indipendente? Inoltre, come farai a convincere i londinesi a farsi rappresentare da un milanese?

Come indipendente perché non c’erano i tempi tecnici per registrare Volt come partito. Riguardo Londra, ci ho vissuto per quasi due anni ed ho un po’ esperienza della città. Qui ci sono moltissimi britannici, specialmente
giovani, che vorrebbero rimanere nell’UE e che sono rimasti delusi dall’immobilità della politica in UK. Ci sono anche tanti europei che vivono qui e che vorrebbero rimanere il più connessi possibile al continente. Noi
vogliamo rappresentare queste persone.

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Tra l’altro tu a Londra hai conseguito un master e lavorato nel settore della consulenza, come mai poi questo cambio repentino in politica?

All’epoca sognavo di vivere nel Regno Unito con la mia ragazza, avevo dei progetti e tutt’a un tratto la Brexit ha scombussolato un po’ i miei piani. Per la prima volta la politica aveva davvero influenzato la mia vita, e cosa ancora peggiore non c’era nessuno che rappresentasse il mio disagio. In quel momento qualcosa è scattato dentro di me. Il passaggio tra lavoro e politica è stato graduale, con la vita politica che ha lentamente sottratto ogni secondo del mio tempo.

Volgendo al termine, pensi che l’esperienza in Bocconi ed il suo ambiente internazionale ti abbiano ispirato in qualche modo nel tuo progetto?

È possibile! Di sicuro grazie alla Bocconi ho avuto molti amici all’estero e la possibilità di vivere l’esperienza dell’Exchange a Warwick, dove per la prima volta sono entrato nella mentalità inglese e ho avuto la possibilità di esplorare. Quindi direi proprio di sì.

Infine, quali sono i tre aggettivi che daresti all’Europa che ti auguri di costruire?

Un’Europa democratica, un’Europa delle opportunità ed un’Europa dei diritti. Sono le tre frasi che meglio rappresentano le nostre intenzioni nella Dichiarazione di Amsterdam e l’Europa che sogno.

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As a European citizen born in Portici, I'm interested in whatever deals with the economics and politics of our Continent. Sometimes I also pretend to understand philosophy.

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