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Welcome to Tra i Leoni, Marina Di Cagno!

La finanza non fa per loro

A CLEF student with an insatiable hunger for knowledge. Very passionate about finance, political economy, social sciences and classical music.

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Si direbbe che il mondo della finanza sia un “old boys club”, dove le donne sono rare e hanno meno possibilità. Ma negli ultimi anni si sono fatti passi avanti.

A pochi giorni dall’8 marzo, giornata internazionale dei diritti della donna, riemerge uno dei temi più discussi e cari al genere femminile: quello della gender equality. Che la donna sia sottorappresentata in molti contesti non è certamente una novità, ma analizzare i motivi alla base di tale fenomeno può essere un modo per giungere ad una soluzione auspicabilmente in un futuro non troppo lontano.

In particolare è interessante esaminare tale questione con uno speciale riguardo al mondo della finanza, così vicino a noi studenti di economia.

Qualche tempo fa il Sole 24 Ore scriveva: “Le donne al comando di gruppi finanziari sono più rare delle donne che hanno vinto un Nobel per la chimica”. Un’affermazione che potrebbe suscitare stupore in alcune, rabbia in altre. Questo dato tristemente reale ha risuonato nella mia mente come una vaga provocazione, risvegliando un sentimento di rivincita, lo stesso che mi ha indotta lo scorso anno alla decisione di cambiare corso di laurea, passando dal CLEAM al CLEF.

Si sa, il CLEF è un “old boys club”, dove le ragazze si possono contare sulle dita di una mano. Forse è per questo che in molti mi sconsigliavano vivamente di compiere questo “insano gesto” di cui mi sarei prima o poi pentita amaramente. “Il corso di Economia e Finanza – dicevano – non è per donne”.

Ciononostante ho preso coraggio e ho inviato la domanda. Poi, però, mi sono chiesta quante altre ragazze non abbiano avuto la forza di farlo. E quante altre, invece, non abbiano neanche mai considerato tra le opportunità plausibili quella di una carriera in finanza. Temo, purtroppo, molte. Per questo motivo ho cercato di risalire alle motivazioni profonde di questo comportamento.

Tra le spiegazioni più gettonate ci sono sicuramente quelle di carattere storico-culturale. È innegabile, infatti, che la figura femminile sia stata sempre identificata con la triade donna-moglie-madre che, specialmente in passato, la società ha relegato al ruolo della “donna di casa”, considerata condizione di massima realizzazione femminile e attribuendo all’attività lavorativa un carattere meramente accessorio.

Quello descritto risponde al profilo di una donna da spot pubblicitario degli anni Sessanta, ma, purtroppo, residui di una tale fisionomia sociale permangono.

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Una conferma ci viene da un report di McKinsey, intitolato “Closing the gap”, che esamina analiticamente il tema dell’inclusione femminile in ambito finanziario, da cui emerge che le donne hanno il 24% di probabilità in meno di ottenere una promozione.

Questo dato potrebbe essere ricondotto a più fattori, tra i quali rileva la triste tendenza delle donne ad avere meno aspirazioni: dallo stesso report emerge che solo il 29% delle giovani aspira ad entrare nel top executive team. E non dovrebbe meravigliare che per il 40% di esse la motivazione è individuabile nella sfida di conciliare lavoro e famiglia. Infatti, quando le donne hanno acquisito un’esperienza tale da consentire loro di aspirare ai ruoli più senior, mettono su famiglia.

Fortunatamente, di recente tale situazione ha conosciuto dei miglioramenti significativi.

A evidenziarlo è il Citywire’s Alpha Female Report 2020, che sottolinea come la percentuale di donne portfolio manager nel 2020 si attesti intorno all’11%, contro il 3.5% del 2016.

Anche la società di consulenza Oliver Wyman, nel rapporto “Women in financial services 2020” comunica che nell’industria finanziaria si è raggiunto il 20% di donne in comitati esecutivi e il 23% nei board.

È necessario, a questo punto, domandarsi come questo modesto passo in avanti sia potuto avvenire. Inopinabile è il contributo fornito dalla Legge Golfo-Mosca, così come quello derivante da iniziative finalizzate a incoraggiare ed elogiare le presenze femminili in finanza, come il Women in Finance Awards.

A noi Bocconiani ancor di più interessa il ruolo giocato dalla nostra Università in tema di inclusione della “quota rosa” del corpo studentesco. A tal proposito, si pensi al particolare tipo di Graduate Merit Award, denominato “Women Awards”, istituito proprio a partire dall’anno accademico 2020- 2021 e volto a favorire la presenza degli studenti di sesso femminile nel MSc Finance. Le più meritevoli e brillanti in termini di cv ed esperienze di studio/lavoro all’estero sono esonerate totalmente dal pagamento di tasse e contributi accademici.

In linea con tale tendenza è l’Executive Master in Finance, che assegna borse di studio alle studentesse più meritevoli.

Ancora, la SDA Bocconi, nell’ambito dell’Executive MBA, ha lanciato un’iniziativa denominata “MBAwomen”, che persegue l’obiettivo di dar voce a tutte quelle donne che ambiscono ad avere accesso alla classe dirigente.

Ma la compresenza di uomini e donne, entrambi in posizioni di rilievo, è veramente possibile? Numerosi studi hanno dimostrato che la diversità di genere giova a tutti e che i team misti sono quelli che raggiungono i migliori risultati. Lo conferma McKinsey, affermando che “le aziende che si trovano nel primo quartile in termini di diversità di genere presentano una redditività superiore del 25% rispetto alle aziende dell’ultimo”. Un risultato probabilmente connesso anche alla maggiore avversione al rischio che ha da sempre caratterizzato il genere femminile. D’altronde, come disse una volta Christine Lagarde, “se Lehman Brothers fosse stata Lehman Sisters avremmo avuto meno problemi”.

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Riporto, ora, la risposta di alcune studentesse del corso CLEF della nostra Università ad una mia specifica domanda: “Pensi che il fatto di essere donna possa costituire un ostacolo ad una carriera in ambito economico-finanziario? Temi che un giorno dovrai scegliere tra la sfera affettiva e quella lavorativa?”

“Penso che un domani dovrò inevitabilmente scegliere tra le due cose e non so se sarei disposta a rinunciare a parte della mia sfera affettiva per quella lavorativa. Per ora non percepisco il mio essere donna come un limite, ma anzi, quasi come una caratteristica che “mi distingue” all’interno di questo settore. Tuttavia, sono ben consapevole che le dinamiche cambieranno una volta entrati nel mondo del lavoro.”Elena

“I miei timori sono per lo più relativi al mondo del lavoro. In molti continuano a ripetermi che oggi è una fortuna essere donna perché è più facile ottenere un’internship, date le diverse leggi che impongono la presenza di percentuali minime di lavoratrici nel settore. Tuttavia, avrei il timore di essere assunta perché donna e non per le mie effettive capacità.

Quanto alla difficoltà di conciliare la carriera con la sfera affettiva, non crescerei mai dei figli con un uomo che non pensi che il suo ruolo in famiglia debba essere tanto importante quanto il mio.” – Emma

“So che sarà un ostacolo ma sono fiduciosa e credo di poterlo superare. Ritengo ingiusto che le donne debbano affrontare maggiori difficoltà rispetto agli uomini. Quanto alla sfera della maternità e della gestione dei figli, per me è un tasto dolente: temo che potrei essere costretta alla scelta di non averne.”Sofia

“Sono convinta di poter arrivare ai vertici ugualmente, se non di più, dei miei colleghi maschi. È un settore lavorativo che sicuramente assorbirà molto tempo, ma non penso possa impedirmi di realizzarmi dal punto di vista affettivo.”Angela

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Io ritengo che nel mondo finanziario ci sia ancora una preclusione nei confronti del genere femminile. Credo che la strada da percorrere sia ancora in salita. Soprattutto, finché noi donne continueremo a stupirci di fronte ad altre tra noi che raggiungono i vertici del proprio iter professionale, alimenteremo questo pregiudizio malato dell’altro sesso.

Quanto alla realizzazione familiare, la considero irrinunciabile e imprescindibile tanto per la donna quanto per l’uomo. Una genitorialità condivisa, unita al supporto di efficienti servizi di assistenza per l’infanzia, rappresenterebbero l’auspicabile soluzione per qualsiasi donna in ogni ambito lavorativo.

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