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Cenni sulla legge di Hume

Reading time: 5 minutes

‹‹ C’è un famoso e densissimo verso di Christian Morgenstern, bizzarro poeta bavarese (non ebreo, nonostante il cognome), che cade qui in acconcio, anche se è stato scritto nel 1910, nella Germania pulita, proba e legalitaria descritta da J.K. Jerome in Tre uomini a zonzo. Un verso talmente tedesco e talmente pregnante che è passato in proverbio, e che non può essere tradotto in italiano se non attraverso una goffa perifrasi:

Nicht sein kann, was nicht sein darf

È il sigillo di una poesiola emblematica: Palmström, un cittadino tedesco ligio ad oltranza viene investito da un’auto in una strada dove la circolazione è vietata. Si rialza malconcio, e ci pensa su: se la circolazione è vietata, i veicoli non possono circolare, cioè non circolano. Ergo, l’investimento non può essere avvenuto: è una “realtà impossibile”, una Unmögliche Tatsache (è questo il titolo della poesia). Lui deve averlo soltanto sognato, perché, appunto, “non possono esistere le cose di cui non è moralmente lecita l’esistenza” ››.

Così si esprime Primo Levi in un passo del suo “I sommersi e i salvati” (1986), uno dei saggi più illuminanti del XX secolo.

È un buono spunto per parlare di una legge logico-argomentativa troppo spesso violata. Nota come “legge di Hume”, essa trova i suoi germi primigeni in uno stralcio del “Trattato sulla Natura Umana”, opera del filosofo scozzese succitato, che qui si riporta: ‹‹ In ogni sistema di morale con cui ho avuto finora a che fare…all’ improvviso mi sorprendo a scoprire che, invece di trovare delle proposizioni rette come di consueto dai verbi è e non è, non incontro che proposizioni connesse con dovrebbe e non dovrebbe.

Questo mutamento è impercettibile, ma è della massima importanza. Poiché questi dovrebbe e non dovrebbe esprimono una relazione o affermazione nuova, è necessario che…si adduca una ragione di ciò che sembra del tutto inconcepibile, cioè del modo in cui questa nuova relazione può essere dedotta dalle altre, che sono totalmente diverse da essa ››. Da cui la formulazione della “legge”: Non si possono trarre logicamente prescrizioni (norme) da sole descrizioni (fatti).

Ove con descrizioni, o enunciati descrittivi, si intendono enunciati che dicono come le cose sono, mentre con prescrizioni, o enunciati prescrittivi, si intendono enunciati che dicono come le cose devono essere. Sebbene la formulazione sopra enunciata sia la più comune, così come lo è la sua violazione, è da tener da conto che vale anche il simmetrico: non si possono neppure dedurre (trarre logicamente) fatti da norme. Ed è questa seconda formulazione della legge di Hume che viene palesemente violata dal protagonista della poesiola “Unmögliche Tatsache” citata da Levi e riportata sopra: Palmström, difatti, deduce da una norma del codice della strada (divieto di transito/circolazione) un fatto (nessun veicolo circola ove vige tale norma).

Da rilevare è però il fatto che si possono dedurre sia fatti che norme da un insieme di enunciati prescrittivi e descrittivi. Così, il cittadino tedesco particolarmente ligio al dovere non potrà dedurre dal solo enunciato prescrittivo “qui la circolazione è vietata” di essersi sognato l’investimento; potrà però dedurlo dall’insieme di un enunciato prescrittivo (“qui la circolazione è vietata”) e di uno descrittivo (il divieto è effettivamente rispettato). Di qui si ricavano massimamente le implicazioni che la legge di Hume riversa sulle materie filosofico – giuridiche.

La formulazione della legge di Hume più comune, come già accennato, è anche quella più a rischio di violazioni. Ciò è dovuto alla ragione che se è vero che con i fatti l’uomo ha sempre avuto una relazione particolarmente carnale, per le norme non vale lo stesso. Con questo si vuol dire che se da una parte è abbastanza usuale che il processo di deduzione fatti→norme sia soggetto a conclusioni fallaci, in quanto le norme sono qualcosa che non ricade direttamente sotto le nostre percezioni sensoriali, è più raro, anche per l’uomo di strada, commettere fallacie nell’ambito di un processo di deduzione norme→fatti, in quanto tale procedimento è sempre soggetto a una sorta di popperiana falsificazione della conclusione ottenuta dovuta al fatto che, di solito, i fatti sono immediatamente percepibili ed analizzabili (si ricordi la poesiola tedesca: che c’è di più carnale e immediatamente percepibile delle ferite causate da un incidente automobilistico?).

La politica, in particolare, offre innumerevoli esempi di “fallacie naturalistiche”, ossia di violazioni della legge di Hume nella sua formulazione comune: si trae da come le cose sono come devono essere. Quante volte è capitato, in dibattiti sulla liceità o meno del legittimo impedimento, di sentire accampare dai berluscones di turno che “è lecito che tale provvedimento normativo sia introdotto in Italia in quanto è presente in tutti i (o buona parte dei, poco cambia) paesi europei”? Ora, a parte la falsità dell’enunciato descrittivo affermato (“il legittimo impedimento è presente in tutti i paesi europei”), si palesa qui un’evidente deduzione di una norma da un fatto. Nello specifico, il fatto che in molti paesi europei non sia concessa la procedibilità penale nei confronti del presidente del Consiglio (tralasciamo a malincuore che questo non è vero) non è in alcun modo una buona ragione perché anche l’Italia vi si debba adeguare. Ora, si potrebbe replicare che una buona ragione lo è, perché comunque si presume che, in un ambito europeo comune, debba esserci un minimo di armonizzazione delle legislazioni, o ancora perché si presume che non tutti i Parlamenti europei siano composti da congerie di pazzi ignoranti in materie giuridiche e così via. Si potrebbe cioè obiettare che, pur non essendo un fatto risolutivo, la presenza del legittimo impedimento nella maggior parte degli Stati dell’UE è sintomo della praticabilità di tale intervento legislativo e della non-assoluta-assurdità della sua formulazione. Ora, su questo non c’è dubbio. È bene però innanzitutto calcare la mano sulla caratteristica di fatto non risolutivo e, in secondo luogo, tenere bene a mente, come enunciato all’inizio, che la legge di Hume è una legge di carattere logico-argomentativo. Ciò vuol dire formale, non sostanziale. È una legge che guarda alla correttezza dei procedimenti di ragionamento messi in campo e non alla correttezza degli argomenti concreti tirati in ballo. Sono le regole del gioco che rilevano qui, non i nomi dei ventidue scesi in campo. Per questo, dal punto di vista logico-argomentativo, un modo di ragionare tipico della politica come quello appena descritto è profondamente scorretto.

Ma un modo per tirare in ballo il (falso) fatto della compresenza in più paesi del legittimo impedimento e, al contempo, sostenere la legittimità di questo, senza però commettere fallacie naturalistiche c’è. Esso consiste, come già accennato in precedenza, nell’esplicitare le premesse prescrittive tenute implicite nel proprio ragionamento. Si ragionerà allora in questo modo, se si vorrà evitare di stuprare le regole più basilari della logica-argomentativa, come viene fatto in pressoché qualunque talk show televisivo, quando sono due politici a parlare:

  • Enunciato descrittivo: Nella maggior parte dei paesi europei è previsto il legittimo impedimento per il capo del Governo;
  • Enunciato prescrittivo tipo: Ciò che è previsto dalle normative di più paesi non distanti culturalmente e politicamente dall’Italia ha buone probabilità di essere corretto ed applicabile ugualmente al nostro Paese;
  • Conclusione: È (con buone probabilità) giusto che il legittimo impedimento sia introdotto in Italia.

Un sillogismo di questo genere è in linea generale corretto. È bene però tenere presente tutti i problemi che possono sorgere dall’enunciato prescrittivo: si è provato a formularne uno tipo, cui si potrebbero obiettare varie opposizioni. In una parte degli Stati Uniti, che sono Paesi non distanti culturalmente e politicamente dall’Italia, è ancora prevista la pena di morte, per esempio: seguendo lo schema di ragionamento sopra riportato si giungerebbe alla conclusione che è giusto che la pena di morte venga introdotta anche in Italia, oggi. Ma chi sarebbe pronto a sostenere una cosa del genere? Potrebbe esser d’aiuto limitare all’UE, come fatto nell’enunciato descrittivo, la sfera di paesi di cui tener conto per un’armonizzazione legislativa? Forse, ma con l’ingresso di realtà come la Turchia, non credo che sarebbero sanate le falle enunciate … E d’altro canto, se si sostenesse la compresenza delle due premesse (sia la vicinanza politico-culturale sia l’appartenenza all’UE) e conseguentemente si estromettessero tanto gli USA (perché non appartenenti all’UE) quanto la Turchia (perché non vicina a noi dal punto di vista culturale), i problemi persisterebbero: basti pensare alla legislazione spagnola in merito alle coppie di fatto e alla tenace opposizione conservatrice presente in Italia con riguardo a questo tema. In ogni caso, questi sono problemi legati alla correttezza dei contenuti, non dei ragionamenti, e per questo motivo, come già affermato, non interessano nel presente scritto. Interessa piuttosto ribadire uno dei plurimi insegnamenti elargiti dalla “legge di Hume”: esplicitare sempre le premesse prescrittive lasciate implicite o date per scontate. Hume, e con lui tutto il vasto mondo della logica-argomentativa, ve ne saranno immensamente grati.

Lorenzo Azzi

7 comments
  1. Bettino Pokersh

    “Interessa piuttosto ribadire uno dei plurimi insegnamenti elargiti dalla “legge di Hume”: esplicitare sempre le premesse prescrittive lasciate implicite o date per scontate.”
    esatto e ve ne saranno grati proprio tutti, non solo hume e il mondo della logica-argomentativa!

    Complimenti per l’articolo, ben scritto e chiarissimo.

  2. Ollie Pop

    Le “Realtà Impossibili” sono forse il paradosso che rende l’umanità così affascinante e fragile, mutevole e libera… Certo, la condotta politica che possiamo osservare tutti i giorni rivela poi un’infinità di contraddizioni, penso che sarebbe appunto una “realtà impossibile” cercare di focalizzarle tutte!

  3. Marta Forex

    I politici italiani si puliscono le scarpe sulla legge di Hume e il popolo italiano glielo permette. Gli enunciati descrittivi di cui si servono sono palesemente falsi, ma nessuno si prende la briga di farglielo notare.
    La correttezza dei contenuti è il nemico numero uno di questi signori: anziché esplicitare le premesse prescrittive, non fanno altro che nasconderle per bene!!

  4. Lorenzo Azzi

    Breve postilla.
    La legge di Hume è argomento più scivoloso di quanto possa sembrare a prima vista. Se è vero che spesso essa viene violata in malafede (è così, presumibilmente, per i politici, ed è proprio per il fatto che vi “si puliscono le scarpe” che ne abbiamo parlato, cara Marta Forex!), talvolta se ne fraintende, in buona fede, il significato.
    Nella seconda categoria rientrano, a mio parere, due preclari esempi. Il primo è quello di Roberta De Monticelli, professoressa di Filosofia della persona all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e recentemente autrice del breve saggio “La questione morale”, che è stato in vetta alla classifica dei libri (divulgativi) di filosofia maggiormente venduti in Italia (è stata anche ospite da Fazio a presentare il libro).
    Secondo esempio, ben meno autorevole, è quello che ci presenta Google, strumento da usare sempre con attenta accuratezza, alla pari di Wikipedia e compagnia. Digitando “la legge di Hume” come chiave di ricerca, infatti, apparirà come nono risultato (perlomeno nel momento in cui scrivo) un simpatico articoletto di un “blog libertarian” (Ventinove Settembre, Splinder). Ebbene, in tale scritto si trova la seguente frase, che ben esemplifica come la legge di Hume sia stata interpretata (erroneamente) tanto da parte del blogger quanto da parte della prof. De Monticelli:
    “La Legge di Hume ci dice che una motivazione etica dei propri giudizi morali non può mai essere puramente razionale, ma deve necessariamente rifarsi a qualcos’altro”.
    Niente di più falso, la legge di Hume non dice questo, e spero che ciò emerga dal mio pezzo.
    Sostenere l’impossibilità di una diretta deducibilità di enunciati prescrittivi da soli enunciati descrittivi (legge di Hume) non vuol assolutamente dire che le regole d’agire che guidano le nostre condotte non possano avere un fondamento razionale (blogger e prof. De Monticelli)!

  5. mati

    corollario di falsificazione della legge di hume: dire che nella scienza non ci sono enunciati prescrittivi, ma solo descrittivi, è esso stesso enunciato prescrittivo, e quindi anche nella scienza ( mondo dominato dalla descrizione, vi è pur sempre una prescrizione). che ne pensate?

    1. Lorenzo Azzi

      Innanzitutto, dire “Nella scienza non ci sono enunciati prescrittivi” a me sembra sommamente un enunciato descrittivo, un enunciato di constatazione!
      Piuttosto, se dicessimo “La scienza è una parte del sapere che, per sua natura, non deve contenere enunciati prescrittivi”, questo potrebbe essere considerato un enunciato prescrittivo. Attenzione, però: questo enunciato prescrittivo non avrebbe la conseguenza di introdurre una prescrizione in ambito scientifico, in quanto è enunciato sulla scienza, non della scienza!

  6. matteo tomassoli

    Buongiorno Lorenzo Azzi
    Mi fa piacere che tu hai ben compreso che la legge di Hume è un problema molto serio .
    Giacchè molti filosofi , anche importanti , nella smania di trovare a tutti i costi una soluzione scrivono cose
    strampalate .
    Hume anche in questo caso ha dimostrato la sua profondità . Ma io sono assolutamente certo di aver
    trovato una soluzione tanto inconfutabile quanto semplice . Grazie

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