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Quando i disperati eravamo noi

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USAEjourneydi Domenico Genovese

È passato quasi un mese da quando un barcone si è rovesciato a largo di Lampedusa, provocando centinaia di morti. Trecentottantacinque (385) in tutto, calcolando anche l’analogo episodio dell’11 ottobre.

Il dibattito sull’immigrazione si è acceso per qualche giorno, alimentato dal dramma, per poi ripiombare nell’oblio. Molti, indignati, hanno protestato contro i nostri politici ma, come era prevedibile, il tutto è servito a poco e gli animi si sono placati in poco tempo. Del resto, qualcuno ha detto che agli italiani l’indignazione duri meno dell’orgasmo. Ed aveva ragione.

Nel Mediterraneo, negli ultimi vent’anni, sono morti oltre 25.000 migranti. Un’ecatombe. E mentre ciò accade a pochi km di distanza dalle nostre sicurezze, noi viviamo trincerati dietro il muro della disinformazione. Come quella governativa operata nel periodo dei respingimenti (2009), che hanno portato alla condanna dell’Italia, da parte della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo, per aver violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani.

In quel periodo, e tutt’oggi, era abusato il termine “immigrazione clandestina”. Dai media e dalla gente. Ignoranti dei dati che nell’anno precedente quello dei già menzionati, inutili, respingimenti, vedevano il 75% circa dei 36.000 migranti sbarcati sulle coste italiane presentare domanda d’asilo chiedendo lo status di rifugiato. Il 50% delle domande veniva accettato (dati Ministero dell’Interno). Rifugiati politici quindi o gente che scappa dalla guerra. Individui lontani dal profilo dell’immigrato delinquente delineato da alcune testate colpevoli, quelle sì, di vero e proprio terrorismo mediatico.

Rimbambiti da tv e giornali abbiamo centrato la nostra attenzione sull’emergenza immigrazione, mentre il nostro Paese crollava sotto i violenti colpi della crisi economica, cullandoci erroneamente sul nostro status di potenza economica mondiale, ormai ex.

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Qualche giorno fa, però, siamo stati risvegliati di colpo da un fatto di cronaca avvenuto in UK: un ragazzo italiano, emigrato in cerca di fortuna, è morto in seguito ad un’aggressione da parte di un gruppo di giovani che lo accusavano di “rubare loro il lavoro”. Qualcuno, finalmente, ha indossato i panni che per decenni abbiamo già vestito: quelli di un popolo che lascia la propria terra alla ricerca di condizioni migliori.

La storia degli italiani che partono con le valigie di cartone per gli USA (o l’Argentina, il Canada, l’Australia) è vecchia, come quella che racconta di come abbiamo esportato, tra le altre cose, la mafia. Ma non sono qui per scrivere banalità. Tutti abbiamo sentito questi racconti, il problema è che molti li hanno dimenticati.

Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente” diceva Indro Montanelli. Quanta verità in una sola frase. Quanto cambierebbe la nostra vita quotidiana se sapessimo con esattezza da dove veniamo. E non serve chiudersi in biblioteca a spulciare volumi polverosi, basta chiedere ai propri nonni, testimoni diretti o indiretti di un tempo che sembra lontanissimo ma in realtà non lo è, per essere un po’ più consapevoli di ciò che sta accadendo.

Il tempo in cui i disperati eravamo noi.

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