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Pasticcio Americano

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LAdi Irene Schirripa

Il 2013 è l’Anno della Cultura Italiana in America e quale potrebbe essere il modo migliore di enfatizzare quest’avvenimento se non ricambiare il favore? Ecco che il Comune di Milano organizza una rassegna della cultura americana che abbraccia il lasso di tempo che va dagli anni ’30 fino all’avanguardia artistica contemporanea (quella, per capirci, che è troppo complicata anche per i critici d’arte più illustri e saccenti).

La prima cosa che salta all’occhio quando si prende il mano il palinsesto dell’avvenimento è il disordine generale che lo caratterizza. Si salta dalle mostre di Pollock (accompagnato da tutti gli Irascibili) e Warhol, ad un open day culinario grazie al quale tutti gli sugar-addict potranno imparare i segreti nascosti dei veri brownies americani, passando per vari eventi cinematografici e musicali tra i quali preme ricordare lo ‘Swin’n’Milan’, ovvero una rassegna della musica americana degli anni trenta e quaranta con tanto di fedeli riproduzioni di trucco e parrucco. Milano vuole restare vicina ai cugini americani in tutto e offre anche una ‘Thanksgiving Special Night’ a Palazzo Reale per tutti i visitatori delle mostre del Museo.

Insomma sembrerebbe che il Comune di Milano stia tentando di offrire tutto quello che può essere offerto, in una tipica dimostrazione di quello che l’italiano medio vuole (tutto) rispetto a quello che sa (niente). Se per esempio si entra a Palazzo Reale, dopo aver pagato l’irrisoria somma di 9.50euro sotto i ventisei anni e 11.50euro per gli over26, per vedere la mostra di Pollock, si viene bombardati da una fragorosa granata di informazioni e si rischia di restare gravemente feriti senza aver capito niente di quello che è stato appena visto.

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Le pareti di ogni sala sono costellate di frasi effetto dette da alcuni tra gli Irascibili, probabilmente durante delle interviste, che estrapolate dal loro contesto vengono snaturate e possono essere facilmente fraintese. Delle installazioni video poste a inizio, metà e fine percorso cercano di iniziare gli spettatori alle tecniche del dripping e di inserirli nel contesto storico-culturale in cui questi artisti sono nati e cresciuti. Ci si può sdraiare esattamente sotto la tela, rappresentata da uno schermo posto sul soffitto di una delle sale, su cui Pollock lavorò durate la composizione del suo ‘Number 15’.

A fine percorso si può assistere alla spiegazione del curatore della mostra, Luca Beatrice, riguardo tutto quello che è stato appena visto, con eventuali riferimenti a geni dell’arte, quali Jack Kerouac e J.D. Salinger,  usati per contestualizzare più che per spiegare. Si tende forse a riassumere troppo brevemente quei movimenti artistici che hanno completamente stravolto non solo la cultura americana, ma anche quella mondiale. Si parla poco e superficialmente di ciò che ha spinto tutti gli questi artisti ad uscire fuori dagli schemi imposti per secoli dal vecchio continente; ci si sofferma invece troppo sul fatto che ‘stelle e strisce fa cool’ e si finisce per trasmettere il messaggio sbagliato.

Il più grande terrore per un artista è non essere compreso dai posteri. Ho la sensazione che ad oggi più d’uno si stia rivoltando nella tomba.

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