Di Tommaso Santambrogio.
La normalità e l’umanità dell’essere geniali, mentre è tutto perfettamente e banalmente uno scherzo infinito.
Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio, a fellow of infinite jest, of most excellent fancy. (- Hamlet)
Quest’anno si festeggia in tutto il mondo il 400esimo anniversario della morte di Shakespeare. È suggestivo pensare che il bardo che ancora oggi si studia a scuola, illumina le sale cinematografiche e la fantasia di tanti lettori in tutto il mondo sia esistito così tanto tempo fa.
A leggere i suoi testi, intrisi di amore, potere, sogni, magia e realtà verrebbe da pensare che cambi tutto ma che alla fine ben poco cambia. L’uomo rimane l’uomo, con le stesse pulsioni e sogni oggi di 400 anni fa, nonostante viva in un contesto dove tutto si trasforma a una rapidità estrema. Riprendendo un’idea cara ad Eraclito, si potrebbe dire che il fiume in cui ci si immerge non sarà mai lo stesso, ma l’idea di acqua, terra e corrente rimarranno sempre uguali.
Un curioso personaggio che univa allo stesso modo la capacità di leggere il futuro e dipingere l’immanenza dell’animo umano è uno scrittore di nome David Foster Wallace, che questa citazione amletiana l’ha adottata nel 1996 per l’opera più importante della sua vita: Infinite Jest.
Infinite Jest nel libro è l’epiteto utilizzato per indicare un film, denominato anche “L’intrattenimento” per eccellenza, perché ha il potere di tenere i suoi spettatori incollati a sé rendendoli apatici e disinteressati a tutto ciò che non sia vedere e rivedere all’infinito il film. Infinite Jest parla poi di tennis (grandissima passione dello scrittore), di droghe, pubblicità e vita. Presenta attraverso questi temi acute osservazioni sul capitalismo, sulla competizione sempre più estrema della nostra società e sulla brandizzazione del mondo (ogni anno ha il nome di uno sponsor al suo interno); il tutto è mischiato con personaggi tanto diversi quanto mossi da sentimenti affini.
Il libro di David Foster Wallace compie quest’anno vent’anni. È vero, in confronto a 400 si sta parlando di noccioline, e le reazioni possibili a un anniversario simile sono due. O si ridimensiona la cosa e si grida all’anatema solo per l’accostamento inappropriato, oppure si adotta la prospettiva di un talent scout quando scova qualcuno di puro talento. Seguendo questa seconda prospettiva, quello a cui si guarda è la potenzialità di combinare qualcosa di inimmaginabile e geniale per chiunque altro, la pepita che illumina gli occhi del cercatore d’oro. E questa è la reazione che in letteratura e nell’arte in generale regalano due elementi mischiandosi tra di loro: il primo è la capacità di narrare la propria contemporaneità sviluppando un senso della storia che permetta di comprendere profondamente i rischi e le possibili future direzioni di una società. Il secondo è appunto la capacità di parlare dell’animo umano all’animo umano, nella maniera più diretta possibile e valicando i limiti di tempo e spazio.
Shakespeare e Wallace li presentano entrambi, e rivelano anche un’altra caratteristica comune. Se infatti si pensa all’idea di scrittore, viene in mente una figura tormentata, complessa ma che ama il successo e il riconoscimento altrui. Insomma, anche per deformazione culturale, lo scrittore è qualcuno che può essere un mix tra Oscar Wilde, Leopardi e Hemingway. I due autori hanno invece tentato di trasmettere qualcosa di diverso: a parlare è quello che hanno da esprimere, è la propria visione del mondo, è trasmettere l’eccezionalità della normalità umana, fulcro di ogni loro scritto.
Per quanto riguarda David Foster Wallace, è possibile intuirlo anche in un film recentemente uscito, “The end of the tour”, in cui traspare tutta la fragilità e la genialità di un uomo che predica la sua normalità, tra hamburger di McDonald’s, balli tipici, il suo amore per i cani e la passione per la televisione. Lo scrittore è un uomo, ed è nella sua umanità che ha qualcosa di eccezionale, nel suo essere vivo, pieno di passione.
Insomma la vita è percorsa da fiumi narrativi vicini e distanti anni luce allo stesso tempo, e lo stupore sta nel realizzare come riescano a incontrarsi in un pigro febbraio dopo centinaia di anni di storia, come realtà frammentarie e così complete nella loro parzialità ci diano la possibilità di affiancare Shakespeare e David Foster Wallace. Il fatto che tutto sia così spettacolare e comune è il capolavoro dell’esistenza umana, in cui la dimensione e la vita di un tennista, di un pubblicista o di un re possono essere uniche e intrecciarsi allo stesso tempo, dando origine a nuovi e incredibili opere di realtà.
Tutto ciò è estremamente confusionario e ironico, meccanicamente intrecciato e perfetto nel suo caos. Oppure, per riassumerlo in due parole, sembrerebbe che la vita, la realtà e tutto ciò che ci circonda, continuino a rivelarsi semplicemente un magnifico “scherzo infinito” (infinite jest).
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