Di Enrico Anedda.
Nell’immaginario comune la Festa della Donna assomiglia molto a San Valentino: una di quelle ricorrenze da calendario la cui unica funzione apparente è ricordarci di dedicare un giorno a qualcuno di importante. Come le altre volte, è anche un’occasione per cadere nel facile equivoco di dire che dovremmo farlo tutto l’anno; e dal farlo sempre al non farlo mai, si sa, il passo è breve.
In realtà esistono infinti motivi per cui questo giorno dovrebbe essere festeggiato come ogni anniversario che si rispetti. Non solo regalando mimose o inviando i classici messaggi di auguri alle donne che fanno parte del nostro quotidiano. Ve ne sono moltissime che nei secoli hanno contribuito, con il loro talento e le loro scoperte, a cambiare il corso della storia. Da Ipazia, matematica e astronoma che nel 400 a.C. era a capo della Scuola di Alessandria, probabilmente unica donna che la storia della filosofia ricorda, a Marie Curie, la cui genialità ha lasciato un’impronta indelebile nel campo della fisica e della chimica, senza dimenticare le battaglie e la determinazione di donne come Maria Montessori, Rosa Parks, Coco Chanel, Isabel Allende, Virginia Woolf, Oprah Winfrey. Ma ricordare soltanto le imprese di queste donne celebri sarebbe come vantarsi dei successi raggiunti senza guardare più in là. Bisognerebbe invece tessere le lodi anche di quelle più comuni, perché sono loro, spesso, a fare la differenza più grande. Oggi dovremmo festeggiarle tutte, soprattutto quelle di cui nessuno si prende cura.
Alcuni dicono che l’8 marzo sia quel giorno dedicato alla meravigliosa seconda metà del cielo, che poi è di fatto la metà che sorregge tutto il cielo. Quell’unico giorno all’anno in cui pare sia concesso parlare di femminilità senza dover necessariamente cadere schiavi del binomio maschilismo-femminismo. Un giorno in cui uomini e donne si uniscono per qualche ora in una ritrovata alleanza a sostegno di queste ultime, per proclamare a gran voce quelle battaglie e quei diritti che vengono poi rimessi nell’armadio una volta passata la mezzanotte. Sarebbe bello, invece, usare questa giornata in una maniera migliore: ricordando tutte le donne che combattono per i loro obbiettivi ogni giorno, ogni istante della loro vita. Spesso da sole, per sé stesse. Senza spettatori.
Delle 500 società che compongono la famosa lista Fortune 500, solo 23 sono guidate da donne: sono solo 4 tra le prime 50 società. Inoltre, da una ricerca fatta dalla Washington University e riguardante le fisonomie facciali dei manager aziendali, è emerso che le donne, per avere un ruolo chiave ed essere rispettate come leader, devono possedere un aspetto più mascolino. La donna al comando deve avere lineamenti non troppo delicati, essere aggressiva, dura e, ahimè, poco femminile. Alcuni di voi penseranno che sono le stesse qualità richieste ad un uomo di potere, ma nei fatti non è così. Le donne devono dimostrarsi spietate. Gli uomini invece, devono dimostrare di poter essere umani per essere dei buoni leaders. Tutto questo mi porta, quindi, ad elogiare quelle donne che si sforzano ogni giorno, contro tutti i pronostici e i pregiudizi, per arrivare in cima, per fare la differenza.
Il divario tra uomini e donne nelle nostre culture non si esaurisce in una lista così breve. Un discorso importante, per il suo messaggio rivoluzionario, è quello fatto da Emma Watson alle Nazioni Unite qualche tempo fa. Nel suo speech la Watson parla di un semplice – ma tuttavia così geniale – cambio di prospettiva. “Dovrebbero essere gli uomini a lottare per le donne, perché i loro diritti sono i diritti di tutti. La loro parità è la parità di tutti. Perché se le donne possono essere forti, allora gli uomini possono, anche se solo per un istante, essere finalmente deboli.” Le sue parole mi hanno colpito. Queste stesse parole, ripetute nella quotidianità, potrebbero consolidarsi e ,col passare del tempo, diventare azioni concrete. Poter cambiare prospettiva, infatti, significa anche poter cambiare le parole e gli aggettivi che usiamo per descrivere noi stessi e gli altri. E con loro, il nostro intero mondo.
In una pubblicità non troppo recente alcuni candidati venivano selezionati per un colloquio di lavoro, durante il quale gli venivano proposte delle condizioni lavorative oltre il limite della normalità. Alla fine, quando ogni candidato aveva rifiutato quella posizione, la pubblicità concludeva dicendo: “Sapete che lavoro vi stavamo offrendo? Quello della mamma.” Ecco. Fare la mamma è forse il lavoro più difficile del mondo, ed essere mamma significa in primis essere donna. E noi uomini avremmo tanto da imparare da questo, e forse altrettanto da farci perdonare.
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