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Antonio Ligabue: un pittore randagio

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Tetro, disordinato e solitario fino alla selvatichezza. Così si dipingeva il pittore Antonio Ligabue nei suoi autoritratti.
Nel 1919 venne espulso da Zurigo, dove era nato, in seguito a ripetute aggressioni verso la madre adottiva; quindi iniziò a vivere, arrangiandosi come Robinson Crusoe, nei boschi e lungo le rive del Po, fino alla sua morte nel 1965.

Questo breve cenno biografico è da considerarsi la chiave di lettura della sua intera produzione artistica.
Autodidatta, Ligabue era però un attento osservatore. Gli animali, domestici o esotici, erano i suoi soggetti preferiti e durante la stesura di un quadro era solito immedesimarsi in loro, imitandone le movenze e i versi. Secondo alcuni si dava persino dei colpi sul naso con un sasso, per renderlo somigliante al becco di un rapace.

Certo, la sua mente non era lucida, ma l’occhio puro, lo spirito ingenuo e la mano sicura gli permisero di sviluppare una tecnica e uno stile liberi dai pregiudizi e dalle costruzioni mentali predefinite tipiche degli ambienti accademici.
È grazie a questa sua disarmante originalità che Ligabue riusciva a rendere così uniche le raffigurazioni degli animali, soggetti di difficilissima rappresentazione, comparsi nella pittura soltanto in un’epoca in cui l’abilità tecnica aveva già raggiunto una certa maturità.

A questo risultato egli giunse non per la semplice considerazione dell’apparenza esterna, ma per uno studio profondo di tutti gli elementi che compongono la vita selvaggia delle bestie. Non si stancò mai di seguire ovunque i suoi soggetti, per sorprenderli nelle più diverse manifestazioni dei loro istinti. Riusciva così ad immortalare sulla tela un momento fuggitivo, arricchendolo con tutto ciò che occorreva a conferirgli un carattere speciale, un’energia nuova, e a renderlo arte.

Nessun pittore come Ligabue rappresentò con tanto trasporto l’istante in cui un animale cattura la sua preda, completando questa immagine cruenta con la rappresentazione di una vegetazione dipinta con gesti rapidi ma ragionati e decisi, esattamente come è rapido ma ragionato e deciso lo slancio del predatore che dà inizio al macabro e selvaggio combattimento tra vita e morte.

Anche negli autoritratti il pittore senza patria usava la medesima schiettezza, dipingendosi come un animale randagio, istintivo, spaventoso per gli uomini e spaventato da essi, senza casa, senza famiglia, senza affetti, ma con una spontaneità commovente e resa immortale dalle sue opere.

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