Nei mesi della pandemia il videogioco ha rappresentato uno degli svaghi principali per moltissime delle persone costrette dal lockdown a rimanere in casa. Siamo sicuri che però il videogioco sia solo un passatempo, e non qualcosa di più?
Oggi risulta quasi impossibile incontrare qualcuno che in vita sua non abbia almeno una volta inserito una cartuccia in un Nintendo DS, un disco in una console di casa Sony o Microsoft, o scaricato un gioco sul proprio computer, smartphone o tablet.
L’evoluzione della tecnologia ha reso possibile a un numero sempre maggiore di persone l’accesso a questo medium, mentre per gli sviluppatori sono man mano venute meno costrizioni hardware parecchio limitanti; Questi fattori , insieme, sono stati in grado di nobilitare il videogioco, permettendo il suo miglioramento sotto ogni punto di vista- dalla narrativa al game design, dal suono alla grafica e il suo riconoscimento per quello che effettivamente è un’espressione della creatività umana al pari della letteratura e del cinema.
Il videogioco non può però essere considerato come una forma d’arte classica.
Diversamente da un dipinto o da una statua, l’artista, inteso come lo sviluppatore, costruisce infatti un’opera in cui udito, tatto e vista sono facilmente chiamate a intervenire in contemporanea e in cui l’azione del giocatore, fruitore, è determinante per l’esperienza di quello che è anche un prodotto, di massa o meno, a seconda dei casi.
E proprio quest’ultimo aspetto è molto interessante: da analizzare. Dal 2015 a oggi il turnover dell’industria videoludica globale è quasi raddoppiato, arrivando a sfiorare la cifra record di 160 miliardi di dollari, superando di un quinto il valore del mercato cinematografico. Anche il numero dei videogiocatori è aumentato a livelli mai visti; di fatto una ogni tre persone lo è.
Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica. Una buona percentuale di questa crescita è infatti dovuta alla diffusione di un particolare modello di business, in cui la componente creativa viene asservita oltre il ragionevole a logiche di mercato che sicuramente risultano efficienti da un punto di vista economico, ma che tuttavia impediscono al settore di progredire.
Si sta ovviamente parlando dei cosiddetti “hypercasual mobile games”, videogiochi costruiti sulla massimizzazione dei ricavi dalla pubblicità e dagli acquisti in-game (le microtransazioni).
Più presente in Oriente che in Occidente, è stata proprio questa struttura di ricavo a spingere le autorità cinesi a sospendere nell’agosto del 2018 il rilascio di nuove licenze per la commercializzazione di questi videogiochi; una decisione che ha avuto un impatto non di poco conto se si pensa che l’anno successivo è stato l’unico dal 2015 in cui il segmento mobile a livello mondiale ha registrato un calo, forse anche fisiologico.
Il mercato cinese d’altronde ha rappresentato circa il 27% dei ricavi globali dell’industria videoludica nel 2018, e leggermente meno del 25% nel 2019.
Curiosamente però la crescita media che lo ha caratterizzato nel quinquennio che si sta per concludere è del tutto paragonabile a quella che ha interessato gli Stati Uniti.
I due paesi risultano infatti intercambiabili anche per quanto riguarda i ricavi (36,50 miliardi di dollari la Cina, 36,90 gli Stati Uniti); lo stesso non si sarebbe potuto tuttavia dire nel 2018.
Per quanto riguarda il Vecchio Continente, le prospettive future sono un chiaroscuro: l’Europa, sede di numerose tra le software house storiche dell’industria, prima fra tutte Ubisoft, nel 2019 aveva una quota dei ricavi complessivi pressappoco pari al 20%, e quest’anno è previsto un calo, a causa della pandemia, al 15%.
Dato lo scuro, si veda il chiaro: con l’atteso miglioramento delle condizioni economiche non è infatti escluso che si riescano a recuperare i ritmi del 2019, quando i ricavi in un solo anno sono aumentati di un 21% circa.
Sorprendente è il dato sull’Italia, mercato che l’anno scorso valeva 2,7 miliardi di dollari, e che a livello dei grandi paesi è cresciuto di più (36%).
Insomma, qualora vi interessi l’ambito videoludico non escludetelo a priori come opportunità lavorativa.
Non si sa mai cosa ci riserverà il futuro.
I’m an Economics and Finance student at Bocconi University.
My main passions are finance (what a surprise!), technology, as well as coding (mainly Python), and politics.