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La pandemia: gli effetti sulla globalizzazione

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Decine di migliaia di veicoli fermi nelle aree di produzione dei principali marchi automobilistici, requisizioni di lotti vaccinali destinati ad altri paesi, e all’inizio della pandemia anche di materiale medico: sono solo alcune delle conseguenze della situazione che tutt’ora viviamo, che ha messo in difficoltà il modello della globalizzazione andando a colpire non solo il consumo, e quindi la domanda, ma anche la produzione, impedendo alle supply chain che nel corso degli ultimi trent’anni si sono andate costruendo un po’ ovunque nel mondo di funzionare correttamente.

Mascherine e vaccini: la necessità di una produzione nazionale

Esempio principe le mascherine: l’anno scorso buona parte dei paesi occidentali si è trovata in difficoltà, se non addirittura impossibilitata, nel rifornire il proprio sistema sanitario e poi la popolazione civile, man mano che l’economia veniva riaperta, di questo importante strumento di protezione personale. Ragioni principali l’assenza di una capacità produttiva nazionale, e l’assoluta saturazione di quelli localizzati in paesi come la Cina, già principale esportatrice di questo bene. Fattori che hanno portato a un aumento incredibile dei prezzi (fino anche a +1200% +1200%), e, come già detto in apertura, all’imposizione di limitazioni sulla loro circolazione internazionale da parte di numerosi stati. Quest’ultimo un aspetto che si sta ripetendo anche oggi con la distribuzione dei vaccini, nel contesto italiano con la requisizione delle dosi prodotte da AstraZeneca e destinate all’Australia e in quello più ampio europeo visto nel braccio di ferro tra l’UE e la già nominata azienda farmaceutica, dove quest’ultima ha confermato di essere in grado di fornire ai paesi del blocco solo meno di un terzo delle dosi inizialmente promesse. Anche in questo caso l’assenza di una produzione nazionale, o al minimo europea sufficiente a coprirne la domanda, si è fatta sentire, costringendo a rallentare i programmi di vaccinazione e introdurre brevi lockdown per contenere la diffusione del virus. Paesi come gli Stati Uniti solo recentemente hanno cominciato ad esportare le dosi prodotte negli stabilimenti americani di Pfizer e J&J.

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Semiconduttori: come la pandemia sta cambiando il settore

Governo quello degli Stati Uniti che ha anche espresso da poco l’intenzione di mettere a disposizione di investimenti legati alla produzione nazionale di semiconduttori (la struttura alla base dell’unità di calcolo di qualsiasi dispositivo elettronico) più di 50 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 37 previsti dal CHIPS for America Act e dall’American Foundries Act. Cifra questa da sommare a ulteriori 130 miliardi di dollari già annunciati da imprese del settore quali Intel, TSMC e Samsung per la costruzione di nuove fonderie in Arizona e Texas. L’offerta anche in questo caso si sta rivelando incapace di soddisfare una domanda aumentata notevolmente nel corso dello scorso anno; costretti in casa i consumatori hanno incrementato la loro spesa in elettronica, fatto che ha spinto aziende come Apple ad acquistare progressivamente sempre più quote di produzione di semiconduttori. Il settore automotive invece, sulla base di proiezioni che vedevano la domanda di veicoli diminuire ha nella maggior parte dei casi cancellato parte degli ordini di processori, determinando la situazione che si è descritta in apertura e una perdita potenziale complessiva stimata intorno ai 60 miliardi di dollari per il settore. Alla base poi della decisione dell’amministrazione Biden vi è ovviamente anche una motivazione di sicurezza nazionale: attualmente buona parte della capacità produttiva si trova se non in Cina, in paesi ad essa vicini, e con la corrente situazione in termini di tensioni commerciali la preoccupazione che ci possano essere interruzioni nell’approvvigionamento di semiconduttori, con azioni analoghe a quelle degli Stati Uniti nel 2019, non è di certo bassa. Non sorprende quindi la recente decisione del Governo Draghi di negare l’acquisizione di Lpe S.p.A. da parte di Shenzen Investment Holdings Co.

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Un’occasione per imparare…

La pandemia che ci troviamo sfortunatamente ancora oggi a dover affrontare ha esposto numerose problematiche alla base della globalizzazione. Ha fatto comprendere come la rete logistica deputata al trasporto dei beni da una parte all’altra del globo non è affatto immune a eventuali rischi di interruzione o di pesanti rallentamenti, ritenuti più teorici che reali prima del 2020; le difficoltà di reperimento da parte delle principali compagnie di trasporti cinesi dei container necessari a soddisfare la domanda proveniente dall’occidente, e ancora più recentemente il blocco del canale di Suez causato dalla porta container Ever Given ne sono esempio. La situazione scatenata dalla pandemia ha reso quindi chiaro come la delocalizzazione non sempre porta a un incremento dei profitti stabile e sufficiente a garantire un rendimento certo per i propri investimenti, ed ha costretto i paesi occidentali a riconoscere la necessità di avere una produzione nazionale, anche se più costosa per quei beni di importanza primaria per il funzionamento di un’economia, quali appunto i semiconduttori, un mercato il cui valore complessivo è stato di circa 440 miliardi di dollari l’anno scorso

 … E migliorare

Sarebbe tuttavia errato ritenere una soluzione consigliabile e fattibile ritornare a un sistema precedente alla globalizzazione; innumerevoli i problemi che ne nascerebbero, a partire dalla ricostruzione del know-how per operare certe attività, e la necessità di individuare nuove fonti di approvvigionamento per le materie prime, oltreché la possibilità di vedere sempre più paesi adottare politiche competitive all’apparenza favorevoli per la propria nazione, ma nel concreto deleterie. A spingere verso una revisione dell’attuale sistema economico globale non sono poi solo le ragioni sopra elencate, ma anche la questione ambientale: è impensabile ridurre le emissioni di anidride carbonica senza agire anche sui trasporti e sulle catene di valore e produzione che sono alla base della globalizzazione. La soluzione non potrà che derivare quindi da una sintesi tra gli aspetti positivi della globalizzazione e delle politiche economiche diffusesi nell’ultimo periodo.

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I’m an Economics and Finance student at Bocconi University.
My main passions are finance (what a surprise!), technology, as well as coding (mainly Python), and politics.

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