Grazie ad un corso opzionale offerto dall’Università, ho avuto modo di conoscere il sensazionale lavoro di Armando Milani, uno tra i più noti graphic designer italiani. Dagli inizi degli anni 2000, Milani si dedica alla realizzazione di manifesti a carattere sociale e politico. Ho voluto intervistarlo, nel suo studio milanese, per raccogliere la sua testimonianza di artista impegnato e per raccogliere le sue riflessioni sul ruolo dell’arte nella società contemporanea.
Lei è stato allievo di Albe Steiner, il quale oltre ad essere stato un graphic designer di successo, è stato protagonista della lotta partigiana contro il nazifascismo. Si può dire che è da lui che ha ereditato l’impegno civile e sociale come artista?
Albe Steiner è stato il mio maestro e ho sempre ammirato il suo coinvolgimento nella lotta partigiana. Era veramente impegnato su questo fronte e sull’impegno civile: diceva sempre che la grafica non deve essere solo per pochi privilegiati, ma per il popolo e la gente comune. Proprio questo suo esempio mi ha spronato a dedicarmi a manifesti di carattere politico e sociale. Uno dei suoi manifesti che più mi ha colpito rappresenta un elmetto con dentro una rosa, affiancato dalla parola Pace. Questo simbolo è così potente che, a mio parere, non ha bisogno della parola. Ritengo, infatti, che in alcuni casi le immagini siano così forti da non richiedere parole per essere spiegate e comprese. Ho realizzato un libro, “No Words Posters”, in cui ho raccolto 100 manifesti eseguiti da grandi grafici del mondo. In ogni manifesto sono assenti le parole. Come già detto, credo nell’immagine che comunica immediatamente, senza bisogno del testo.
Oggi, infatti, siamo bersagliati da migliaia di immagini e non abbiamo tempo di concentrarci su tutte, il mio motto è “dall’occhio al cuore”, ovvero colpire immediatamente l’osservatore per raggiungere le sue emozioni.

Nel corso della sua carriera, si è sempre cimentato sia in progetti commerciali e pubblicitari che in opere di impegno civile, quando ha deciso di destinare sempre più tempo ed energie a queste ultime?
All’inizio della mia carriera, tra gli anni 70 del Novecento ed i primi anni 2000, mi sono dedicato principalmente al settore della corporate identity, ovvero la creazione di un marchio aziendale e alle sue applicazioni. Mi piaceva molto farlo, ne ho realizzati a centinaia. Nonostante questo, già in questo periodo ho iniziato a dedicarmi a manifesti di carattere sociale e politico, anche se in maniera minore.
Agli inizi degli anni 2000, ho realizzato il famoso manifesto per le Nazioni Unite con la colomba che distrugge la parola guerra per costruire la parola pace, oggi diffuso in tutto il mondo. A questo punto della mia carriera, ho quindi deciso di dedicarmi maggiormente ad opere di impegno civile. Il grafico, infatti, ha delle responsabilità e deve comunicare messaggi con un valore ed un senso etico e sociale. Da allora, mi sono occupato sempre più di manifesti a carattere umanitario e legati all’ecologia. A quest’ultimo tema sono particolarmente attento: non ce ne rendiamo conto ma, oggi, da questo punto di vista, siamo vicini ad un punto di non ritorno.
Ha esposto le sue opere nei più disparati paesi del mondo, anche in quelli le cui relazioni diplomatiche con l’Occidente sono storicamente difficili, penso, ad esempio, all’Iran. È possibile affermare che lei, con le sue opere, è riuscito dove la diplomazia e la politica hanno fallito?
Nel corso della mia carriera sono stato in molti paesi, tra cui anche l’Iran. Tale occasione mi si è presentata poiché ho avuto l’onore di conoscere Morteza Momayez, uno dei più importanti graphic designer iraniani. Egli mi aveva invitato a Teheran per un’esposizione delle mie opere, salvo però morire pochi anni dopo. Il figlio e la moglie ci hanno comunque tenuto a mantenere la promessa. Inizialmente, avevo qualche timore, poi ho deciso di andarci e ho scoperto un paese bellissimo e accogliente.

Secondo lei, qual è il ruolo diplomatico che un’artista può svolgere?
L’arte, inclusa quella grafica, è superiore a qualsiasi ostacolo. Come la musica, essa crea ponti e mette a disposizione un linguaggio comune comprensibile a tutti. Io cerco, proprio per questo, di realizzare opere che siano universali, con queste posso andare ovunque nel mondo ed essere capito, con queste cerco di creare ponti tra culture diverse.
In queste settimane, in cui le drammatiche immagini della guerra in Ucraina sono entrate nella nostra quotidianità, lei ha realizzato opere struggenti e che fanno molto riflettere su questo nuovo doloroso conflitto. Durante il processo creativo che porta alla nascita delle sue opere le emozioni ed i sentimenti che prova rappresentano una fonte di stimolo o, talvolta, sono ostacolo alla creatività?
Quando arrivano notizie terribili e le emozioni sono forti, ci sono momenti di sconforto, però io ho sviluppato una forma di resilienza, una voglia di contrastare queste situazioni negative e di convogliare le mie emozioni in creatività, così da poter creare immagini forti per il pubblico, che siano in grado di diffondersi e, in questo modo, trasmettere il messaggio che portano con loro.

Come lei, sono molti gli artisti che, sin dall’inizio della guerra in Ucraina, hanno preso una chiara posizione nel condannare l’aggressione russa. Penso, ad esempio, a Marina Abramovic, la quale riprodurrà una delle sue più famose performance per poi devolvere il ricavato raccolto in beneficenza. A suo parere come ha reagito il mondo dell’arte a questo nuovo conflitto?
Molti artisti sono entrati in campo per sostenere il popolo ucraino. Più in generale, sono molti, oggi, coloro che si occupano di temi sociali e politici. Al contempo, diversi artisti continuano a realizzare opere senza finalità politica. Io non metto in dubbio il valore estetico di queste, però, oggi come oggi, l’arte si deve impegnare nel sociale. Nel 1963, Ken Garland, un grande graphic designer inglese, scrisse il “The First Things First” Manifesto. In esso, egli affermava come fosse finito il tempo di occuparsi di prodotti futili. Garland riteneva giunto il momento, per i grafici, di guardare oltre la pubblicità commerciale e verso il mondo della cultura.
Oggi, il momento è ancora più incisivo, davanti al cambiamento climatico e a questi nuovi conflitti, la grafica deve guardare al sociale ed all’impegno civile. In un certo senso, ritengo sia una questione di sopravvivenza per l’umanità.

Molte delle sue opere, penso, ad esempio, a quelle sul cambiamento climatico, sono indirizzate alle nuove generazioni. Perché ha scelto i giovani come suo pubblico? Pensa che le nuove generazioni possano riuscire a realizzare quel mondo migliore e più giusto dove i valori che lei esprime nelle sue opere si possano finalmente concretizzare?
Io credo e spero in questo. Proprio perciò, mi dedico giorno e notte a questi valori, che sento miei. Ai Weiwei, un grande artista cinese contemporaneo, ha affermato che oggi l’arte non ha senso se non si occupa dell’umanità e dei giovani, concordo al 100% con questa affermazione.
Le sue opere sono sempre lineari e semplici, ma, al contempo, riescono ad avere un grande impatto emotivo sull’osservatore. Ha dichiarato, ad esempio, che durante un’esposizione una visitatrice è scoppiata in lacrime davanti ad una sua opera. Qual è il segreto per raggiungere il cuore delle persone? Come riesce a portare chi guarda i suoi posters oltre il piano estetico?
È una questione di sensibilità, c’è una parola in tedesco che esprime bene questo concetto: Zeitgeist. Significa che l’artista deve essere in grado di interpretare i problemi ed i sentimenti del momento. Tutto ciò che ci circonda, sia esso positivo o negativo, porta a provare sensazioni ed emozioni che poi, nel mio caso, vengono tradotte in immagini.
Il processo creativo che porta all’opera è incorporare, rielaborare ed esprimere con delle immagini le emozioni. Il segreto è riuscire a sintetizzare le sensazioni in simboli forti, in grado di colpire l’osservatore in pochi secondi.

My name is Pierfrancesco Urbano, I am currently studying International Politics and Government in Bocconi. I grew up in Bologna, but now I live in Milan. I’m interested in international relations and politics, but I’m also passionate about art, theatre, and humanities. I see journalism as a way for me to be actively engaged in the society and in its political and cultural dimensions.