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Law

Kant e l’obiezione di coscienza

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Nel 1784 Immanuel Kant scrisse un’opera dal titolo “Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?”. In tale lavoro si designa un’audace distinzione tra “uso pubblico” e “uso privato” della ragione. L’ “uso pubblico” della propria ragione, dice Kant, è quello che taluno ne fa in qualità di “studioso” davanti all’intero pubblico dei lettori. “Uso privato” della ragione è invece quello che taluno svolge in un certo impiego o funzione civile lui affidata.
Uno degli esempi ideati dal nativo di Königsberg riguarda un qualunque cittadino che si trovi di fronte allo sgradito dovere del pagare le tasse. All’esattore che bussa alla porta, dice Kant, il buon cittadino non deve replicare alcunché, né fiatare proprio. Egli deve versare ciò che gli viene chiesto, se possiede un minimo senso civico. Questa cieca obbedienza deve però essere limitata all’ “uso privato” della ragione (l’uso cioè che il buon cittadino fa quando l’esattore bussa a casa sua). In seguito, se vorrà, il buon cittadino potrà fare accorto “uso pubblico” della propria ragione, potrà cioè recarsi in piazza e criticare apertamente, apportando gli elementi che ritenga più persuasivi, quella ch’egli considera un’eccessiva tassazione. Se sarà abile quanto fortunato, potrà sperare che i potentati imperanti gli diano ascolto.

Altro fulgido esempio kantiano è quello del catechista, il quale, quando insegna il catechismo, fa un “uso privato” della propria ragione e deve insegnare la dottrina ufficiale, senza aggiungere alcuna critica od obiezione personale. Se poi le sue opinioni saranno in qualche modo confliggenti con i dogmi caratterizzanti la fede, sarà suo dovere morale fare “uso pubblico” della propria ragione, cioè, da “studioso”, comporre un’opera in cui elencherà, con l’acribìa di cui sarà capace, le proprie sagaci obiezioni.
Passando al cribro gli esempi sopra proposti si può ragionevolmente credere, allora, che il celebre filosofo manifesterebbe più di un dubbio sul ruolo rilevante che l’obiezione di coscienza ha assunto, oggi, nel sistema del diritto positivo italiano. Vediamo perché.
Al primo esempio delle tasse si affianca, a mio parere, quello odierno dell’obiezione di coscienza, riconosciuta in Italia da quasi 40 anni, in merito al servizio militare: nessuno di noi ha deciso di nascere in Italia, così come pressoché nessuno di noi ha deciso di essere cittadino dello Stato “Italia”; sembra quindi giustificabile che chiunque possa opporsi con tutte le proprie forze (sempre però nell’ambito della legalità, e con l’obiettivo di concorrere attivamente a riformare il sistema) alle conseguenze di tale cittadinanza, dalle tasse al servizio militare, se le ritiene configgenti col buon senso (livello di tassazione spropositato) o, peggio, con la propria morale (rifiuto della guerra e della violenza in ogni forma).
Esempio ben diverso è invece, si badi, il secondo, quello del catechista, che potrebbe paragonarsi all’odierno diritto all’obiezione di coscienza riconosciuto ai medici e agli infermieri. Siamo su un altro piano rispetto alla coppia di esempi precedenti, perché qui i soggetti in questione non affrontano temi sorti a prescindere dalla loro volontà (la cittadinanza, le tasse, il servizio militare), ma piuttosto previsti e, in qualche modo, perseguiti dagli agenti medesimi. Se mi faccio catechista, so bene che dovrò insegnare la dottrina ufficiale e mai palesare, nell’”uso privato” che faccio della mia ragione, eventuali dubbi personali. Allo stesso modo, se studio chirurgia, so bene che potrà capitare nel mio studio una paziente che richieda la pratica dell’aborto chirurgico. So bene, dunque, che, se l’aborto è una pratica legale nel Paese ove opero, dovrò concederlo senza se e senza ma, qualora la suprema volontà del paziente, ben informata e cosciente, così voglia.
Introiettare invece nel sistema del diritto positivo una legge sull’obiezione di coscienza in ambito medico può equivalere, perlomeno dal punto di vista filosofico, senza impegnare i tenebrosi meandri del diritto costituzionale, a concedere un vero e proprio arbitrio totalitario al medico di turno, costringendo lo sfortunato paziente a pellegrinaggi in vista di miglior sorte. Detto in parole povere, qualsivoglia tiramento della morale più insulsa del più losco soggetto è riconosciuto sufficiente a produrre conseguenze ben gravi sul soggetto per definizione più indifeso, il paziente. Mi chiedo se Immanuel Kant darebbe il proprio insigne placet.

Lorenzo Azzi

3 comments
  1. Elisa

    Complimenti per l’articolo!
    Quindi… se ho capito bene Kant criticherebbe l’uso privato della ragione che fa Thoreau nel rifiutarsi di pagare le tasse, pur considerando legittimo l’uso pubblico che ne fa quando scrive Disobbedienza Civile?

  2. Lorenzo Azzi

    Proprio così.
    Inoltre è da porre in rilevo (come sempre, e alla faccia di un certo Hegel) il momento storico in cui ciascuno è vissuto e ha coltivato le proprie idee. Come è vero che Kant stimava ed elogiava pubblicamente le politiche dei sovrani illuminati del tempo (Maria Teresa e Giuseppe II in Austria, Federico II in Prussia), altrettanto è vero che tali sovrani erano comunque espressione di una “forma di governo” dispotica. In soldoni, uno come Kant (non proprio un giacobino di primo pelo) non poteva certo approvare per iscritto l’uso della forza per sovvertire un governo monarchico. Thoreau, sia per le diverse condizioni accidentali (tempo, luogo ecc.) sia per l’indole a dir poco priva di fronzoli, potrà permettersi ben altro…

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