La recente crescita globale del marchio “NBA” è un fenomeno evidente agli occhi degli amanti dello sport. Campioni come Michael Jordan, Kobe Bryant e più recentemente LeBron James hanno permesso alla lega di imporsi come sinonimo di spettacolo ed eccellenza sportiva, non solo negli USA ma anche in Europa, e sempre di più in Cina (il volume d’affari nella regione cresce di più del 20% all’anno negli ultimi anni). A oggi, le partite NBA sono trasmesse in 216 paesi. La stagione appena terminata è stata particolarmente interessante dal punto di vista dei risultati. Sportivi ma soprattutto economici.
La NBA è una lega “chiusa”: le franchigie che vi partecipano sono sempre le stesse e non esiste il concetto di retrocessione. Questo fa sì che le squadre siano business stabili, generalmente radicati in una particolare città di Stati Uniti o Canada (benché i trasferimenti non siano del tutto infrequenti). Un complesso sistema di redistribuzione delle risorse e dei giocatori di talento va tendenzialmente a privilegiare le squadre più deboli della lega: il fine è quello di creare il massimo equilibrio possibile.
Dato questo framework, piazze come New York e Los Angeles sono storicamente più ricche, in quanto hanno un maggiore potenziale in termini di ricavi. Il recente interesse globale ha fatto lievitare gli introiti pubblicitari e i valori di mercato di ogni singola squadra nella lega. Per esempio, dal 2003 al 2013 i Celtics di Boston hanno visto il loro valore più che raddoppiare (da $360 a $730 milioni), proprio in virtù dei crescenti cash-flow e profitti generati da pubblicità e diritti tv. Le squadre minori beneficiano della redistribuzione degli introiti, sebbene per la maggior parte operino in perdita.
Quest’anno, per la prima volta dalla fondazione della lega, il valore di due squadre ha sfondato il tetto del miliardo di dollari. I New York Knicks sono ora valutati 1.1 miliardi di dollari e generano ricavi prossimi ai 250 milioni annui, con un operating profit di quasi 85 milioni. I Los Angeles Lakers sono valutati 1 miliardo, e hanno recentemente firmato un contratto televisivo ventennale per il valore di 3.6 miliardi.
Avere una franchigia in città costituisce un concreto beneficio per la comunità, visto e considerato il volume di affari generato da una squadra NBA. Quest’anno si è assistito a una lunga negoziazione per spostare i Kings da Sacramento a Seattle. In seguito a una consistente offerta per la squadra da parte di un pool di investitori di Seattle, la città di Sacramento ha trattenuto il business grazie alla controfferta del magnate del software Vivek Ranadive: 535 milioni di dollari per il 65% della società, a cui si deve sommare la promessa realizzazione di un’arena da $447 milioni nella down town. La consistenza dell’investimento è emblematica delle proiezioni dei guadagni.
La NBA presenta un sistema di governance centralizzato per cui anche questo tipo di decisioni passa per il giudizio finale del commissioner (il CEO della NBA). Il commissioner ha l’ultima parola su spostamenti e cambio di nomi delle squadre, trasferimenti di giocatori, negoziazioni dei contratti di sponsorship, sanzioni, relazioni con la stampa…praticamente tutto.
La lega stabilisce a livello centrale anche i limiti connessi agli stipendi dei singoli giocatori. Il cosiddetto salary cap non permette ai milionari proprietari delle squadre di spendere oltre un certo limite per portare campioni in città. Il fine è sempre quello di garantire l’equilibrio all’interno della lega. Pertanto, in NBA non può accadere quello che si verifica nel calcio: nessun fondo di investimento del Qatar potrebbe trasformare una squadra secondaria in un’armata di fenomeni. Le eventuali perdite di squadre in difficoltà sono appianate grazie a parte dei ricavi delle squadre maggiori. La presenza di quest’intelligenza super partes, che può intervenire negli affari interni delle squadre, protegge la regolarità e la spettacolarità dell’NBA.
30 squadre rappresentano 30 diversi mercati che palesano 30 diversi obiettivi e bisogni: questa complessità è gestita in maniera sostenibile e profittevole tramite un’organizzazione in continuo miglioramento. La lega chiude la stagione 2012-2103 con 5 miliardi di dollari di ricavi, +20% rispetto alla stagione passata.
Visto e considerato questo incredibile successo in termini economici e di visibilità, c’è da chiedersi se il modello di business NBA non potrebbe essere applicato anche ai grandi team di calcio europei, che operano fondamentalmente in perdita da decenni, pur essendo veri e propri marchi globali. Oppure il modello sportivo europeo continuerà a evolversi solo marginalmente? E, se si continuasse in questa direzione, per quanto ancora sarà economicamente sostenibile? Domande senza risposte, purtroppo. Per il momento non ci resta che passare le notti in bianco e goderci l’incredibile spettacolo della pallacanestro più emozionante del mondo.
marcello.boffa@studbocconi.it
Articles written by the various members of our team.
Francesco
bellissimo articolo, molto ben fatto!
roberto
Ottimo sintesi di come funziona questa bellissima lega.
Dovrebbero imparare e prendere esempio quelli del calcio come si fa sport.. sia a livello economico ma soprattutto sul piano dello spettacolo! Da sempre ormai nel nostro calcio la sfida e inter Milan Juve e viceversa forse questo anno c e stata un po di originalita con il Napoli hihihi