di Lorenzo Cinelli, Domenico Genovese, Saverio Marziliano
Un’intervista che si rispetti ha bisogno di un’introduzione sui motivi per cui si è scelto “l’ospite”. Un cappello che avvii il lettore alle parole che seguono. Questa volta no. Non rubiamo spazio alla lunga chiacchierata che abbiamo avuto col Prof. Fausto Panunzi, che più di un mese fa ci ha ospitato nel suo ufficio in cui siamo entrati con lo stesso mood di tre groupies che incontrano la propria rockstar preferita. Scusate solo l’estremo ritardo con cui pubblichiamo il prodotto finale ma, come tutti sanno, le cose migliori.. vanno fatte lentamente.
E poi anche noi abbiamo affrontato la sessione estiva!
Lei è un prof molto attivo sui social. Cosa pensa di Twitter e dove trova la pazienza di rispondere a chi scrive delle fesserie madornali?
In realtà non rispondo spesso. A me piace scrivere tweet paradossali e mi diverte vedere che qualcuno li prende seriamente. Twitter è un divertimento, che mi ha portato via fin troppo tempo.
Crede che questo utilizzo del mezzo abbia un riscontro pratico? Ci riferiamo, ad esempio, ad alcune discussioni portate avanti col prof. Tommaso Monacelli (@monacelt) su teorie economiche, come l’uscita dall’Euro, su cui vediamo lunghi scambi di tweet con cui è possibile argomentare una posizione.
Di certo il mezzo non è fatto per spiegazioni dettagliate, 140 caratteri sono un vincolo notevole. Però consente di linkare articoli e grafici che aiutano lo scambio (di opinioni ndr).
Ad esempio su Twittter, specialmente in Italia, c’è stato un intenso dibattito sull’euro. Alla fine molti sono riamasti sulle loro posizioni, ma dal dibattito si impara, anche su Twitter, specie evitando chi usa toni aggressivi.
C’è un fenomeno che vediamo sempre di più: il dibattito di policy è ormai fatto non solo dagli economisti. Ad esso partecipano, ad esempio giornalisti economici molto bravi. Martin Wolf del FT è il primo che mi viene in mente. Non è un accademico ma è uno che spesso ha argomenti molto interessanti. Il dibattito è, quindi, fatto anche da chi è abituato a comunicare le proprie idee in modo differente, non attraverso paper scientifici. Le regole del gioco tra il modo in cui si comunica e si convince nel mondo accademico e sui social sono molto diverse. Pensare di esportare l’autorità accademica in quel mondo è un grosso errore. Gli accademici devono partecipare, se sono interessati a farlo, con umiltà e modestia. Devono essere disposti ad imparare. Noi accademici abbiamo un vantaggio comparato quando abbiamo dei dati e il tempo di riflettere su alcuni fenomeni. Quando, ad esempio all’inizio della crisi, non hai dati sufficientemente informativi il nostro vantaggio in qualche modo si riduce e quindi non sempre facciamo un buon lavoro. Anzi, possiamo dire che gli economisti non hanno fatto un buon lavoro con questa crisi e ne siamo usciti, agli occhi del pubblico e dei policy maker, con una minore reputazione.
Lei è appena tornato dall’esperienza in USA (Harvard), c’è differenza nella percezione delle informazioni veicolate attraverso i social? Potremmo imputare la disinformazione alla mancanza di approfondimento?
In Italia ci sono tanti economisti scrivono sui giornali. Boeri, Perotti, Tabellini, Alesina, Giavazzi… e mi sto limitando a questo corridoio!
Nel dipartimento di economia di Harvard c’è Rogoff che scrive ogni tanto sui giornali o Feldstein. Paul Krugman ha iniziato a scrivere a fine carriera. Questa anomalia della presenza di economisti come opinionisti sui giornali in Italia c’era già 30 anni fa. Forse allora in Italia mancavano giornalisti economici in grado di fare buone analisi economiche e il vuoto veniva colmato dagli economisti. In America invece c’erano giornalisti economici bravi e quindi non c’era questa necessità.
Ancora oggi la presenza degli economisti accademici nel dibattito di politica economica è molto più forte di quanto non lo sia negli USA.
Non crede che questa attività sia utile a garantire un messaggio corretto, evitando così gli strafalcioni che sono stati diffusi da quando è iniziata la crisi?
Ci sono due aspetti contrastanti.
Da una parte è vero, ci sono delle cose che noi possiamo trasmettere che non sono ovvie, smontando a volte i luoghi comuni. I miei colleghi Landier e Thesmar hanno scritto il libro “Le dieci idee che mandano a picco la Francia”. Ad esempio, l’idea che solo il settore manifatturiero possa generare posti di lavoro.
Molto spesso, però, entriamo nel dibattito ma su alcuni dettagli non abbiamo conoscenze particolarmente approfondite. Quando bisogna analizzare la situazione in 10 minuti senza avere tutte le informazioni rilevanti, spesso prendiamo delle cantonate. Come conseguenza, qualcuno dice: “Gli economisti non hanno niente di oggettivo, tutto è opinabile”. Quanto più interveniamo senza aver dietro studi documentati e dati attendibili, tanto più rischiamo di essere smentiti dai fatti. Questo è il trade-off che gli economisti affrontano. Cercare di esportare la credibilità che uno ha acquisito in un campo accademico a tutto il resto forse è stato il più grande errore che alcuni di noi hanno commesso.
Cosa pensa dell’evoluzione della percezione esterna della Bocconi dagli anni in cui era studente ad oggi?
Alcune settimane fa Antonio Ricci è stato ospite qui in Bocconi. Negli anni ’80 a “Drive In” c’era il personaggio del Bocconiano, identificato come lo yuppie degli anni ’80. Ricci diceva che il bocconiano per quanto yuppie, carrierista, quindi non positivo, tutto sommato destava negli altri invidia. Era uno che sgomitava però c’era invidia verso di lui. Secondo Ricci questo non accade più: nessuno invidia i bocconiani oggi. Forse Ricci esagera, ma credo che sia vero che la percezione esterna della Bocconi ha subito qualche colpo negli ultimi tempi. Secondo me in modo totalmente infondato. La qualità dei corsi che ho ricevuto io era nettamente inferiore a quella che gli studenti di oggi ricevono. I docenti, i materiali didattici, le infrastrutture sono notevolmente migliori. La Bocconi fa di più per gli studenti di quanto facesse tanti anni fa.
Quindi se questo è merito di Professori che ieri erano studenti, pensando agli studenti di oggi che saranno professori domani, ci aspettiamo un trend in crescita della qualità?
La Bocconi ha sempre avuto docenti di grandi qualità. Ma dagli anni in cui ero studente c’è stata l’apertura al mercato internazionale, anche per quanto riguarda la ricerca. Questa è stata una rivoluzione incredibile. Pensate poi agli exchange program con tutto il mondo. Il valore dell’istruzione in Bocconi è aumentato enormemente, e un po’ anche le tasse (ride, ndr).
Si sono fatti grandi progressi rispetto al passato anche nelle altre università, ma noi siamo andati avanti e dobbiamo esserne contenti. Parlando con i miei colleghi vedo quanta attenzione si dà alle esigenze degli studenti. Ci sono più corsi in inglese, si cerca di capire quali figure professionali servono al mercato. Pensate a quanto è stato fatto, come il corso di laurea in Giurisprudenza, per aumentare l’offerta didattica. Il commitment della faculty agli studenti è aumentato negli anni. Ci sono ad esempio premi per l’eccellenza nella didattica. Senza dimenticare la vera ricchezza della Bocconi: gli studenti. Da studente ho avuto accanto persone straordinarie, che hanno poi fatto carriere fantastiche.
Pensate a quanti studenti della Bocconi vengono ammessi ai programmi di PhD delle migliori università mondiali. O a quelli che arrivano ai vertici nel settore finanziario, nella consulenza.
La Bocconi ha la forza di attrarre studenti che vogliono studiare economia da tutta Italia, è l’unica università ad avere un bacino nazionale in economia. Mi dispiace che ciò passi in secondo piano rispetto al fatto che una volta sia stato invitato Briatore.
Ci sono quelli che sono andati ad ascoltare Briatore ma ci sono quelli che hanno fatto la fila per Alan Krueger, l’economista di Princeton da poco ospite in Bocconi
Esattamente. Krueger parlava di un argomento ostico come la disoccupazione di lungo periodo e c’erano tanti studenti a sentirlo, ma per i giornali Krueger è un signor nessuno. Quindi abbiamo avuto un’infinità di articoli su Briatore e qualche trafiletto per Krueger
Noi comunque Krueger siamo riusciti ad intervistarlo…
È una delle cose più interessanti che ho visto. Se uno vede gli effetti devastanti della disoccupazione italiana. Quanto è forte. Quanto è concentrata sulle fasce giovani. Siamo in presenza di un disastro senza precedenti.
Le famiglie italiane che hanno figli a scuola (tra cui la mia) sono veramente preoccupate per il futuro che avranno i loro figli. Pensate a chi deve entrare adesso sul mercato del lavoro. E c’è di più: una delle conseguenze della crisi è la scelta di istruzione a cui sono obbligati i giovani. Molti non potranno permettersi di frequentare l’università. Uno shock negativo alla famiglia come un genitore licenziato o un’attività commerciale che chiude ha l’effetto di DEVASTARE la vita dei figli, che non hanno colpe, se non essere lì nel momento sbagliato. Questo è l’effetto più crudele della crisi. Non tanto ridurre i consumi oggi ma togliere opportunità al talento. Un vero delitto.
Due cose ci hanno colpito dei dati presentati da Krueger: più si prolunga lo stato di disoccupazione e meno c’è la possibilità di trovare una nuova occupazione. E, collegato, il fatto che in Italia, rispetto agli USA, sia molto più facile che la disoccupazione di breve si trasformi in disoccupazione di lungo.
Il destino di un 50-enne in Italia che perde il lavoro è quasi segnato. Conosco persone che lavoravano nel mondo della finanza, nel mondo della consulenza e adesso si trovano a 50 anni licenziati. L’impresa paga qualche annualità, ma dopo? Dovranno adattarsi a fare altre cose. Quelli che hanno il capitale di partenza aprono delle attività, chi ha le competenze diventerà un consulente. Ma sono spesso soluzioni di ripiego.
Anche la formazione per quelli che sono usciti dal mercato del lavoro ha effetti molto ridotti. Che effetti può avere la formazione a 50 anni con totale mancanza di domanda di lavoro? È una situazione veramente spaventosa.
Qual è la differenza fra il momento in cui lei ha terminato gli studi e un ragazzo che oggi decida di non proseguire con una laurea magistrale subito ma fermarsi un paio d’anni e fare delle esperienze
Negli anni ’80 il mercato del lavoro era molto diverso. All’epoca era facile arrivare ad un contratto a tempo indeterminato. Adesso ho l’impressione che sia molto più complicato. Si fanno alcuni stage e poi, quando va bene, si arriva ad un lavoro di lungo termine. D’altra parte c’è una differenza importante: all’epoca il mondo era più chiuso.
Cercare lavoro all’estero era più avventuroso. Adesso andare a Londra, ad esempio, è considerato normale per la maggior parte degli studenti. Il mercato del lavoro oggi è europeo, mentre allora era quasi solo Milano, perché trovare lavori interessanti fuori Milano era difficile.
Anche la concorrenza delle altre università per economia era minore. C’era una differenza enorme tra la preparazione che dava la Bocconi e le altre università. Adesso c’è stata una convergenza, gli altri atenei hanno fatto passi avanti. Pensate al Politecnico che è entrato con Ingegneria gestionale nel mercato dell’economia. Oggi c’è un mondo che cambia molto più in fretta, tutto è diventato più complicato. Forse più stimolante, ma anche più difficile.
La Bocconi ha un grande asset: molte connessioni con il mercato del lavoro. Per quello dico che è ancora un posto che funziona molto bene da ascensore sociale. Mia figlia farà Medicina e non mi sono posto il problema, ma se mi avesse detto “voglio fare la Bocconi”, a parte il disagio di avere un figlio/a all’università, avrei speso volentieri i soldi per le tasse.
Su Twitter la sua descrizione è: Professore di Economia, Università Bocconi. Su Twitter più calcio che economia. Allora: Ministero dell’economia o presidente del Toro?
Presidente del Toro mai perché non ho i soldi purtroppo. Non ho e non ho mai avuto lo spirito imprenditoriale e quindi farei fallire il Toro. Meglio al Ministero dove alla peggio mi caccerebbero dopo qualche mese senza che io abbia potuto fare troppi danni.
Allora riconoscimento accademico o scudetto del Toro?
Lo scudetto del Toro l’ho vissuto una volta, avevo 11 anni e ricordo vagamente qualcosa. Oramai alla mia età il riconoscimento accademico ha un’utilità marginale relativamente bassa. Certo, mi darebbe più adrenalina lo scudetto del Toro rispetto a pubblicare un paper su una rivista importante.
Parlando di persone che si occupano di mondiale, se n’è occupato anche il fisico Hawking…
Beh, non ci voleva un fisico per capire che il fattore “giocare in casa” è un vantaggio!
Ma c’è un punto importante. Lo studio della statistica, dei numeri, nel calcio è una cosa ancora poco esplorata. Nel baseball le statistiche hanno una ben maggiore diffusione. Moneyball è un libro (e anche un film) che racconta la storia di un dirigente di Oakland, dove la squadra di baseball era storicamente tra le peggiori della Lega. Questo dirigente ha avuto l’idea di non guardare le statistiche tradizionali (punti, battute, ecc.) che secondo lui erano sbagliate. Ha iniziato a usare indicatori diversi per valutare i giocatori, comprando quelli che, secondo lui, erano sottovalutati. Ed ha avuto un notevole successo! Poi anche le altre squadre hanno usato i suoi indicatori e il vantaggio competitivo di Oakland è sparito.
Nel calcio l’uso delle statistiche e dei numeri non è ancora abbastanza sviluppato. Non perché sia difficile raccoglierle, ma perché non si capisce ancora quali siano le variabili rilevanti. Il possesso palla sembra non essere collegato alla vittoria, ad esempio. Stanno nascendo società che raccolgono e forniscono dati alle squadre ma quali siano le statistiche più importanti e quali no, ancora non è chiaro.
Noi siamo davanti ad un trade-off per i mondiali in piena sessione estiva. Come ci dobbiamo comportare?
Io ho vissuto da studente il Mondiale dell’86. È uno dei Mondiali di cui ho ricordi meno nitidi perché con gli esami riuscire a seguire tutte le partite era difficile.
Bisogna trovare un equilibrio tra studio e partite. I mondiali sono ogni 4 anni quindi perderseli è un delitto. Però ovviamente studiate. Honduras – Ecuador a mezzanotte si può anche saltare. Però Italia-Inghilterra a mezzanotte si guarda, ovviamente.
Come dice Federico Buffa, nella sua serie di puntate che ricordano le varie edizioni, i Mondiali “scandiscono il nostro tempo”. Vale per tutti noi. Anche voi ricorderete questi Mondiali vissuti alla Bocconi come studenti.
Qual è il suo ricordo più importante che riguarda i Mondiali?
Per la mia generazione nulla può essere paragonato alla vittoria di Spagna 1982. Le contestazioni a Bearzot prima della partenza. Il girone giocato male. Il passaggio del turno in modo fortunoso. Il silenzio stampa. Poi il girone con Argentina e Brasile. Tutti pensavamo che l’Italia non avesse speranze. E invece la vittoria con l’Argentina prima di Italia – Brasile.
Per quelli più vecchi di me la partita della vita è Italia – Germania 4 – 3, per i più giovani è Italia Germania 2 – 0 nel 2006. Per me la partita è stata giocata il 5 luglio ’82, Italia – Brasile 3 a 2. Ricordo tutto di quella partita. Non solo i gol, ma anche Antognoni che sul 3-2 segna un gol regolarissimo che viene annullato. A quel punto immaginavo già che il Brasile avrebbe avuto un’altra occasione. Poi il colpo di testa di Paulo Isidoro o Oscar, non ricordo bene, a tre metri dalla porta. Un momento di terrore puro. Poi la parata di Zoff e la vita che ricomincia.
Quella partita si giocò al Sarriá di Barcellona, uno stadio vecchio , molto piccolino, scalcinato. Quando anni dopo andai a Barcellona fu per me una delusione enorme sapere che era stato abbattuto. Mi hanno detto che ci hanno fatto un centro commerciale. Non so se sia vero, ma so che il Sarriá, il tempio del calcio, non c’è più.
Come vivrà questi Mondiali?
Con grande sofferenza, come al solito. Per i Mondiali divento un concentrato di scaramanzia. Vi racconto solo un episodio. Nel 2006, visto che l’Italia giocava di pomeriggio, in Bocconi c’era lo schermo in Aula Notari per il girone. Poi per Italia-Australia è stato aggiunto un altro schermo in aula Maggiore, dove c’era anche l’aria condizionata. Mi faccio convincere a salire in aula Maggiore e proprio quando arrivo Materazzi viene espulso e l’Australia inizia a dominare. Allora torno subito in aula Notari, dove l’aria condizionata non funzionava. Ci saranno stati 50 gradi. C’erano solo due o tre studenti stranieri insieme a me. Al momento del rigore di Totti mi sono girato per non guardare. Troppa sofferenza. Gli studenti stranieri mi guardavano come se avessero visto un marziano. La scaramanzia che diventa cruciale durante i mondiali. Queste piccole manie non spariscono con l’età, anzi crescono nel tempo.
Grazie mille!
Grazie a voi.
Noi abbiamo un’ultima richiesta, dato che siamo venuti come suoi fan e lei è il prof. più social della Bocconi… selfie?
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