Il Corriere della Sera torna a parlare della ricostruzione del ponte di Genova, tra lezioni e dubbi. Edificato in un solo anno, assurge nelle parole dell’articolista al ruolo di “cartolina da spedire a chi dubita delle potenzialità di questo Paese”, caso esemplare di efficienza grazie alla libertà concessa al commissario straordinario rispetto all’apparato burocratico.
La burocrazia e i commissari straordinari
Della vicenda della ricostruzione emerge a ben vedere un ritratto in chiaroscuro: da un lato, la necessità, allo stato attuale delle cose, di affidarsi a deroghe ai regolamenti per evitare le pastoie e i ritardi della burocrazia; dall’altro, il costo elevato conseguente alla fretta (più di seimila euro per metro quadro, il doppio della media per opere del genere). Questa vicenda emblematica offre inoltre la possibilità di operare una riflessione più ampia sul sistema dei lavori pubblici, caratterizzato, secondo la vulgata, da numerose inefficienze e da una burocrazia asfissiante.
In particolare, la questione delle deroghe ai regolamenti risulta di grande interesse, anche alla luce delle misure di semplificazione recentemente introdotte e di quelle annunciate. Dario Immordino ha scritto in giugno su lavoce.info che più della metà della durata dei lavori pubblici (il 54,3%) è legata ai “tempi di attraversamento”: tempi morti dati dalla selva di regolamenti, adempimenti e controlli, oltre a una serie di disfunzioni strutturali dell’apparato amministrativo. Di qui l’intenzione del governo di nominare dei commissari (facendo seguito al dl semplificazioni) a dirigere i lavori di alcune opere considerate strategiche, sul modello di quanto avvenuto a Genova.
Come attuare la semplificazione
Desta qualche inevitabile interrogativo la decisione di porre queste figure al di sopra delle normali procedure, invece di snellire queste ultime: pare una triste ammissione di non saper governare il caos normativo. Come chiarisce sempre Immordino in un successivo articolo, le regole per semplificare in realtà ci sono già: basterebbe applicarle, invece di aggiungere stratificazioni legislative a quelle già esistenti. Le nuove norme, infatti, inevitabilmente richiederebbero del tempo per essere approvate e altro ancora per l’attuazione (sono noti i ritardi biblici nell’adozione dei provvedimenti attuativi); fasi seguite da inevitabili contenziosi durante le prime applicazioni, fino alla piena “metabolizzazione”.
Per rendere più efficiente il sistema dei lavori pubblici, dunque, la via maestra è data dalla trasformazione digitale combinata con l’applicazione delle già esistenti norme semplificatorie.
Il problema delle gare d’appalto
Tuttavia, c’è di più. Come prima si accennava, la lentezza e l’inefficienza nell’ambito dei lavori pubblici non sono che una manifestazione di problemi più profondi, legati all’inadeguatezza delle procedure e al personale amministrativo. Si pensi in particolare al problema delle gare d’appalto, della cui analisi si è occupato il think-tank Tortuga in un recente pezzo, evidenziando come meccanismi bizantini trasformino la gara in una sorta di lotteria. Una perversità da affrontare, insieme ad altri nodi come la digitalizzazione. Un ulteriore capitolo significativo è dato dalle carenze del personale, insufficiente e mediamente anziano, che portano spesso le amministrazioni a rivolgersi in pianta stabile a esterni.
Sono tutte questioni che è vitale affrontare al più presto, per liberare risorse disponibili ma congelate – i famosi 200 miliardi già stanziati per le infrastrutture strategiche – e per trarre vantaggio, quanto alla digitalizzazione, dai finanziamenti in arrivo con Next Generation EU. Una sana semplificazione può aiutare a ridurre gli oneri di transizione sulle imprese, oggi spesso pagate con ritardi esagerati e per cui il confronto esasperante con la pubblica amministrazione può tradursi in una diminuzione della produttività.
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Editorial Director from January 2020 to January 2021, now Deputy Director. Interested in European integration and public policy.