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L'angolo del penalista

Le Donne e la Guerra: Gli stupri come crimine di guerra e crimine contro l’umanità

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Annamaddalena Amanda Cascone

Quando parliamo di guerra pensiamo ai soldati, alle distruzioni, alle morti degli innocenti e alla sete di conquista, ma tendiamo sempre a dimenticarci delle donne. Le donne, infatti, subiscono anche altre forme di violenza, ad esempio le violenze sessuali, nel cui ambito rientrano anche gli stupri di guerra.

Violenza sessuale come crimine di guerra.

La violenza sessuale è una pratica che da sempre ha caratterizzato i conflitti armati.  La violenza sessuale in guerra costituisce una prassi ormai normalizzata, definita esclusivamente come un “danno collaterale”, la cui rilevanza è limitata all’offesa arrecata alla persona che l’ha subita.  Essa è oggi annoverata nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, firmato nel 1998 ed entrato in vigore nel 2002, tra i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità.

La Corte Penale Internazionale (CPI) è la Corte competente per i c.d. core crimes e il crimine di aggressione. I core crimes, in cui sono inclusi il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra,hanno come fine ultimo quello di proteggere i diritti fondamentali delle persone che restano coinvolte nei conflitti bellici. Per crimini di guerra si intendono gravi violazioni del diritto internazionale bellico, così come delineato dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, e vi rientrano l’uccisione o il maltrattamento di prigionieri di guerra, la deportazione di civili, il bombardamento di edifici, stupri di massa, etc. Per crimini contro l’umanità ci si riferisce ad atti commessi nell’ambito di un esteso e sistematico attacco contro popolazioni civili e vi rientrano, ad esempio, omicidi, stermini, riduzione in schiavitù, stupri, tortura, etc.

Lo Statuto di Roma annovera gli stupri tra i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, rispettivamente agli articoli 7 e 8, mentre considera lo stupro, la gravidanza forzata, la prostituzione forzata, la sterilizzazione forzata e molte altre forme di violenza sessuale come una violazione estremamente grave dell’articolo 3 delle quattro Convenzioni di Ginevra, le quali sono il corpo giuridico alla base del diritto internazionale umanitario.

Anche le Nazioni Unite sono intervenute nel 2007 promuovendo la c.d. UN Agency Sexual Violence Conflict, creando una rete con venti Entità delle Nazioni Unite al fine di eliminare completamente la violenza sessuale in caso di guerre e conflitti.

L’utilizzo dello stupro come arma bellica è stato riconosciuto anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che con la Risoluzione n. 1820/2008 ha messo in luce la dimensione di genere connessa a tale pratica, richiedendo una protezione specifica per le donne e le ragazze coinvolte in contesti di guerra in quanto maggiormente esposte al rischio di subire abusi.

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Focus sullo stupro.

Gli stupri di guerra sono quegli abusi sessuali commessi da soldati, combattenti e civili durante un’occupazione militare che vanno distinti da violenze sessuali commesse tra soldati in servizio attivo. All’interno di questa categoria rientrano anche quelle situazioni in cui le donne sono costrette a prostituirsi o a diventare schiave sessuali dalle forze occupanti, come, ad esempio, nel caso delle comfort women durante la seconda guerra mondiale oppure nel caso dei c.d. rape-camps in cui donne e bambine erano costrette a subire violenze dalle milizie serbo-bosniache e a dispensare favori sessuali.

Lo stupro rientra sia nei crimini contro l’umanità sia nei crimini di guerra, poiché non si limita esclusivamente ad offendere la dignità di un individuo, ma rappresenta una coartazione psico-fisica in grado di soggiogare e annichilire, insieme alla vittima, l’intero gruppo a cui essa appartiene per ragioni di razza, di etnia, di religione. Proprio per questo assume la connotazione di una vera e propria arma di guerra: ha la capacità di incidere sulla comunità avversaria, penetrando nella sua cultura e nella sua coscienza, trasformandosi in una vera e propria guerra psicologica, allo scopo di ottenere obiettivi militari o politici. La donna, oggetto del desiderio maschile, diventa “bottino di guerra”, una sorta di ricompensa per aver combattuto con valore.

L’evoluzione storica.

Sebbene lo stupro di guerra sia sempre stato considerato un grave reato dai Codici penali militari, l’efficacia di tali disposizioni è risultata inadeguata.

Nell’ambito del diritto internazionale umanitario le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i due Protocolli Aggiuntivi del 1977 contengono delle disposizioni con specifico riferimento alla tutela delle donne, ma lo stupro e la prostituzione forzata vengono condannati esclusivamente come oltraggio all’“onore della donna” e non come delle vere violazioni delle Convenzioni. La violenza sessuale non compare come fattispecie criminosa neanche negli Statuti dei Tribunali Internazionali Militari di Norimberga e di Tokyo, che introducono due nuove categorie di crimini: i crimini contro l’umanità e contro la pace.

Solamente alla fine del XX secolo lo stupro viene percepito non più solo un’offesa all’onore, ma anche una violazione dei diritti umani delle donne.

La tematica  ha assunto una nuova visibilità a partire dagli anni ‘90 grazie al lavoro svolto dalla Commissione di Esperti, istituita dalle Nazioni Unite con Risoluzione n. 780/1992 per indagare sui crimini commessi durante il conflitto nella ex-Jugoslavia (il Consiglio di Sicurezza ha richiesto al Segretario Generale “to establish […] an impartial Commission of Experts to examine and analyse […] further information as the Commission of Experts may obtain through its own investigations or efforts […] with a view to providing the Secretary-General with its conclusions on the evidence of grave breaches of the Geneva Conventions and other violations of international humanitarian law committed in the territory of the former Yugoslavia”).

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È con l’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, degli Statuti che istituivano i Tribunali Penali Internazionali per la ex-Jugoslavia nel 1993 con sede all’Aja e per il Ruanda nel 1994 con sede ad Arusha, che il diritto penale internazionale si è evoluto in materia di tutela dei diritti delle donne.

Prove in caso di violenza sessuale.

I giudici del Tribunale Penale Internazionale dell’ex-Jugoslavia hanno redatto nel 1994 le Rules of Procedure and Evidence, in cui sono state previste le regole che disciplinano la procedura davanti al Tribunale. Una menzione specifica merita la Rule 96 che prevede una disciplina probatoria specifica per i casi di violenza sessuale.

La prima stesura stabiliva che in caso di violenza sessuale:

  • non fosse richiesta altra prova a supporto della testimonianza della vittima;
  • il consenso non poteva essere utilizzato a difesa dell’imputato;
  • la precedente condotta sessuale della vittima non poteva essere ammessa come prova.

Da questa previsione si evince la presunzione secondo cui il contesto di guerra ove viene perpetrato il reato vizia il consenso della vittima: così il Tribunale voleva sancire una linea di demarcazione tra i crimini di natura sessuale commessi in tempi di pace e quelli commessi in tempi di guerra.

La norma rappresenta anche un tentativo di eliminare le possibili conseguenze pregiudizievoli per le vittime di violenza sessuale derivanti dallo svolgimento del processo davanti ad una corte giudicante. Tuttavia, una tale impostazione di assoluto diniego del consenso come strumento di difesa comporterebbe una violazione delle norme del due process: in questo modo, qualsiasi rapporto sessuale verificatosi in contesti di conflitti armati avrebbe potuto essere considerato un crimine, per cui nello stesso anno viene elaborata una seconda versione in cui al punto (ii) viene aggiunto che il consenso non è ammesso come difesa se la vittima:

  1. è stata minacciata o ha temuto di essere sottoposta a violenza, arresto, carcere od oppressione psicologica, oppure
  2. la vittima ragionevolmente credeva che, se non si fosse sottomessa, un’altra persona sarebbe stata sottoposta a violenza.

Con questa versione della Rule 96 si cerca di bilanciare tutti gli interessi in gioco: da un lato viene mantenuto l’intento di tutelare la vittima da interrogatori umilianti e dall’altro si prevede per l’imputato la possibilità di dimostrare la sussistenza del consenso.

Si giunge, infine, alla versione del 1995: il precedente punto (iii) si trasforma in (iv) e viene aggiunto un nuovo punto (iii), ove è previsto che prima che la prova del consenso della vittima venga ammessa, l’accusato deve dimostrare al Collegio, in camera di consiglio, la rilevanza e credibilità della prova stessa: così si riesce a proteggere la vittima da accuse offensive in sede di processo grazie all’elemento della segretezza e alla sussistenza dei caratteri della rilevanza e credibilità della prova.

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Nonostante tutti i passi avanti fatti a livello internazionale per condannare le violenze sessuali e gli stupri in periodi di conflitto armato e per tutelare le donne, non si è riusciti completamente nell’intento e, purtroppo, lo stupro di guerra ancora oggi è una triste realtà, come la guerra in corso in Ucraina sta dimostrando.

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