Quando si unisce la ragion poetica alla ragion civile nasce una nuova forma di arte politica: l’Artivismo.
Gli artivisti si interrogano sulle più importanti emergenze del nostro tempo e si impegnano in atti concreti, coraggiosi, visionari. Per immaginare un altro presente, migliore.
Per loro l’Arte è la lingua scritta della realtà, mentre la Politica è l’agorà della democrazia. Così nel XXI secolo l’arte impegnata è diventata l’unica arte possibile.
ARTE, POLITICA, IMPEGNO
Ogni grande svolta epocale richiede una nuova grande arte che le dia forma.
Negli scenari disomogenei dell’arte del nostro tempo, si è affermata con impellenza un’idea di arte politica, chiamata Artivismo, fatta di atti concreti, coraggiosi e visionari per immaginare un altro presente.
A questo fenomeno Vincenzo Trione dedica un dettagliato e stimolante libro intitolato Artivismo. Arte, Politica, Impegno in cui pagina dopo pagina viene eretto un “piccolo museo dedicato all’arte politica contemporanea”, abitato dalle opere di artisti come Ai Weiwei, Banksy, Anselm Kiefer, Maurizio Cattelan, ma anche dalla musica non etichettabile di Björk, dal cinema del reale di Gianfranco Rosi, dai fumetti di Zerocalcare e da tanti altri artivisti.
Loro sono i protagonisti dell’Artivismo: artisti-intellettuali che prediligono l’impegno politico al semplice fare arte, operando in contesti socioculturali non contigui, agendo all’interno della società, per promuovere il dibattito e la riflessione su questioni di carattere politico e sociale. Raccontano i mali del mondo: guerre, catastrofi, migrazioni, disastri, povertà, pandemie. Documentano il drammatico destino di nomadi, profughi, apolidi e rifugiati. Per reagire al disincanto tipico della nostra epoca denunciano le tragedie dell’età contemporanea.
Si lasciano coinvolgere nel destino del loro tempo e si fanno interpreti della svolta civile dell’arte, in cui vengono fuse ragion poetica e ragion civile: l’unica vera arte è quella «impegnata».
Citando la filosofa francese Carole Talon-Hugon: “L’artista si trasforma in attivista, l’opera in documento e l’esperienza estetica in esperienza politica.”
IL CORAGGIO DI AI WEIWEI
Incarnazione dell’artista totale, Ai Weiwei che è ecletticamente artista, designer, attivista, architetto e regista, dal 2006 al 2009 ha anche gestito un blog fatto di pagine autobiografiche, discorsi di poetica e di politica.
Le sue installazioni parlano in maniera esplicita e diretta di drammi, di problemi sociali, di oppressioni, di sofferenze, di dittature, di conflitti, di libertà negate.
Nel 2009 espone a Monaco “Remembering” un’installazione di migliaia di zainetti disposti in maniera tale da formare la frase «è vissuta felicemente per sette anni in questo mondo», parole che aveva pronunciato una donna parlando della figlia morta nel forte terremoto che aveva colpito l’anno precedente la regione del Sichuan (nord della Cina). Ai Weiwei era rimasto colpito dall’immagine di tanti zainetti sommersi dalle rovine e voleva ridare loro dignità, poiché le autorità cinesi cercavano di nascondere e minimizzare la tragedia, che aveva provocato più di 70000 morti.
Nel 2016 sulla facciata di Palazzo Strozzi a Firenze è raffigurata, su idea dell’artista cinese, una sequenza di gommoni arancioni incastonati nelle finestre a bifora, per alludere alle diaspore dei migranti.
Nel 2020 l’artista cinese espone History of Bombs, una collezione di riproduzioni di bombe e di missili, che occupa il pavimento della sala centrale del’Imperial War Museum di Londra, con l’obiettivo di indagare sui nessi tra individui e politica, tra paura e sicurezza sociale.
Tutte queste opere dell’artivista cinese rappresentano una irrequieta testimonianza artistica e politica caratterizzata dal coraggio di dire la verità contro le menzogne dei tiranni che governano il mondo contemporaneo.
LE FAVOLE AL CONTRARIO DI BANKSY
I protagonisti più conosciuti di questa rivoluzione artistica-politica sono i tanti street artists, che pensano le loro opere come cronache visive, nelle quali l’attualità politica diventa pungente ironia: i momenti drammatici sono guardati con uno sguardo sarcastico, insinuando in noi domande, dubbi. Delle vere e proprie favole al contrario.
Sin dagli anni Novanta, Banksy, forse il più celebre tra tutti gli street artist, si è fatto inviato speciale tra i drammi dell’era contemporanea e, con il suo slancio testimoniale, parla di emarginazioni, di alienazioni, di apocalissi imminenti, di autodistruzioni, di povertà, di solidarietà sociale.
Famosissimi sono i suoi stencil spiazzanti d’impronta realista carichi di significato provocatorio e libertario: la Gioconda con un lanciarazzi; i bambini che indossano maschere antigas; i topi-vandali; i due poliziotti dello stesso sesso intenti a baciarsi; l’uomo con il viso coperto, colto mentre lancia una molotov trasformata in un mazzo di fiori; la bambina cui sfugge un palloncino a forma di cuore, accompagnata da una scritta che recita «There is Always Hope».
Nel 2019 su un muro di Venezia, Banksy dipinge un bambino naufrago, avvolto in un giubbotto salvagente, che impugna una pianta sradicata dalla quale si sprigiona un fumo rosa. Il bambino naufrago è affondato con le gambe nel canale e sta chiedendo aiuto. L’artista inglese riflette sullo sradicamento dalla propria patria che diventa richiesta di aiuto, sulla estrema povertà che porta i migranti a rischiare la vita attraversando il mare. Rappresenta la condizione umana ed esistenziale dei migranti.
Nel medesimo orizzonte testimoniale di Migrant Child di Banksy si potrebbero citare, tra gli altri, anche film come Fuocammare di Gianfranco Rosi e Nomadland di Chloé Zhao; spettacoli teatrali come L’abisso di Davide Enia; e romanzi come Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda ed Exit West di Mohsin Hamid. Tutte queste opere ci aiutano a ricordare che, anche se restiamo nello stesso luogo per tutta la vita, siamo tutti migranti attraverso il tempo.
UNA QUESTIONE DI POLITICA
Pur con caratteri diversi, gli artivisti condividono il bisogno di ripensare il ruolo e lo spazio della politica, che concepiscono non come attività pragmatica e funzionale al sistema capitalistico globalizzato né come mestiere esercitato da chi persegue e gestisce il potere e neanche come ambito subalterno alla religione, all’economia o al diritto.
Ai Weiwei e Banksy sembrano invitare a considerare la Politica come campo dell’agire e del pensiero umano e come condizione irriducibile degli uomini; come territorio dove si mette insieme liberamente ciò che è comune. Luogo della cittadinanza, della democrazia, della rappresentanza, della giustizia, dell’equità, dei diritti civili, della dignità; agorà dove si articola il discorso tra cittadini e si fa indistinto il rapporto tra privato e pubblico, tra esistenza e vita biologica, tra ciò che è incomunicabile e ciò che è dicibile.
Suscettibile di essere la più esecrabile creazione umana e anche la più alta, la politica, scriveva Giorgio Manganelli, è territorio dove il male e il bene si proiettano;
Dunque, politica non come sofisticazione intellettualistica e ideologica, astrattamente lontana dalla vita, ma come tutela della vita stessa e come strumento per delineare il perimetro in cui città e comunità si influenzano a vicenda: libertà o schiavitù, guerra o pace.
ARTE O ATTIVISMO? LA RIBELLIONE
Arte e attivismo si rivelano due proposte, che, pur diverse, condividono alcune intenzioni poetiche e indicano un radicale cambio di paradigma.
Gli artivisti si impegnano in occupazioni ordinarie, senza adeguarsi alle liturgie quotidiane. Si affidano alla strategia del dissenso: recuperare ciò che è stato dimenticato e screditato, così da eccedere la logica delle istituzioni, quindi prediligono gli spazi marginali, l’anarchia alla sovranità dello Stato.
Sperimentano così la disubbidienza, il dissenso, la ribellione. Atti che non sono esplosione di rabbia, pratiche d’irruzione, eventi che destituiscono l’autorità, sfide per restituire importanza agli esclusi e per tutelare i diritti degli indesiderabili, avventure che richiamano un tempo diverso. La ribellione è sintomo, quindi richiamo.
PER UNA POETICA DELLA REALTÁ
Gli artivisti delineano i contorni di una sorta di scrittura del disastro. Fotogrammi di una fine che non finisce mai. Iconografie epiche e brucianti. Atti di guerriglia visiva, che non mirano a portarci altrove, ma vogliono renderci consapevoli di ciò che sta accadendo a poca distanza da noi, anche se tendiamo ad allontanare quelle turbolenze dalle nostre sicurezze quotidiane.
Intenti a liberare l’arte dalia sua cornice contemplativa per riportarla nelle dinamiche della Storia contemporanea, gli artivisti della nostra epoca si propongono di pronunciare frammenti di questa costellazione temporale dai confini mobili proprio attraverso l’Arte, che ha il potere arditamente poetico di svelare sfaccettature del presente che noi, da soli, non avremmo né il coraggio né la capacità di cogliere. In questo modo si prende posizione, si decide da che parte stare.
È questa la filosofia sottesa alle scritture critiche e militanti di Ai Weiwei, di Banksy e di molti altri artisti del nuovo secolo. Artisti-intellettuali che riescono a essere insieme integrati e apocalittici: entrano protagonisti nell’art system e cercano, con severa critica, di cambiarlo.
L’arte va alla conquista di ciò che è esterno a essa. Dialoga con quel che la circoscrive e la attraversa, si fa lingua scritta della dura realtà che ci circonda.
Law student. Easily fascinated by faces & places and their own unique stories. A very passionate person who still believes in love, emotions & destiny. Keen on Contemporary Arts and cultural phenomena that shape our everyday life.