L’arduo compito di imparare l’Arte e la Solidarietà per vincere la guerra: la social catena Leopardiana, le ultime pagine di Furore di John Steinbeck, un deserto chiamato pace e la grazia della musica per resistere. Tutto quello che resta.
Nel corso di questi ultimi due anni e mezzo, abbiamo avuto la prova definitiva di quanto noi uomini possiamo essere significanti e, allo stesso tempo, tanto insignificanti davanti alla vita e alla morte.
Siamo stati colpiti da un virus che inizialmente ci ha fatto pensare che non eravamo niente a confronto.
Abbiamo dovuto imparare a convivere, giorno per giorno, bollettino per bollettino, con le mascherine e con il distanziamento sociale, ma, anche e soprattutto con il rispetto per il prossimo e con la solidarietà e l’empatia che caratterizzano l’essere umano.
Quindi, nella stessa frazione di tempo, siamo diventati infinitamente grandi e importanti nelle nostre piccole e ordinarie case, appartamenti, stanze. Abbiamo iniziato a capire che le nostre azioni, le nostre parole, le nostre vite sono essenziali e fondamentali, non solo per noi stessi ma anche per tutti gli altri. Per chi è vicino e per chi è lontano.
La nozione Leopardiana di “social catena” qui è cruciale. Prendere atto della situazione infelice e imperfetta degli uomini, così da costruire un rapporto di solidarietà che può sconfiggere il male più grande. E la ginestra, il fiore del deserto, consapevole di essere mortale, che non si abbandona all’ineluttabilità della morte senza aver prima donato al cosmo tutto il suo profumo, necessario all’armonia e alla bellezza del mondo.
Come la ginestra, noi dobbiamo fare e dare il possibile affinché si avveri la più grande bellezza.
Prima siamo stati costretti a restare chiusi in casa per salvare il mondo.
Ora, la guerra nel cuore dell’Europa, in Ucraina, offre a tutti noi l’opportunità di mettersi in prima linea e di dimostrare la nostra vera rilevanza di fronte alla sofferente e ingiusta disperazione di un popolo.
Ricordo le ultime pagine di Furore, il romanzo-capolavoro di John Steinbeck, che raccontano di come, dopo la lunga, estenuante e sfortunata traversata verso la California in cerca di lavoro, la famiglia protagonista sia costretta infelicemente a rifugiarsi in un fienile per ripararsi dall’ennesima calamità naturale.
Lì la protagonista Rose allatta dal suo seno un pover’uomo trovato fortuitamente che sta rischiando di morire di fame, col latte di suo figlio, morto durante il parto.
Di fronte alla vita spezzata, il coraggio di offrire tutto quel che si ha è l’unica rivoluzione solidale possibile.
La disperazione diventa la superiore forma di critica.
Noi spettatori dobbiamo imparare da Rose perché le grida disperate delle persone di Bucha, di Kiev, di Mariupol, di Odessa, di Leopoli e di tutte le altre città ucraine devono essere le grida di tutti.
La paura e la speranza devono insediarsi nelle anime degli uomini perché solo disperandosi collettivamente, ci si salverà.
L’arduo compito di imparare la solidarietà.
La guerra in Ucraina è tragica e inspiegabile nella portata della sua malvagità. È un chiaro affronto all’Occidente che, pur essendo la terra prediletta della concezione etnocentrica ed eliodromica hegeliana della Storia dello Spirito secondo la quale solo in Occidente si realizza completamente la storia dello spirito, ossia la storia delle più alte manifestazioni della cultura, dell’arte e della filosofia, del pensiero umano dignitoso, del Logos e dei diritti umani, soffre di impotenza che, per il filosofo francese Edgar Morin, non è impotenza militare, ma impotenza politica e della volontà,
La ragione è ricaduta, ancora una volta, nel sonno e non riusciamo, in modo logico, a sconfiggere i mostri, Putin e i suoi tirapiedi, che ci vogliono far cadere nell’abisso di sangue che porta solo ad altro sangue. La propensione al male si espande esponenzialmente e rischia di contagiare tantissime persone, amici e parenti.
Stiamo scoprendo davanti alla guerra chi siamo, i nostri principi e le nostre ragioni: capiamo così anche la resilienza e la resistenza del popolo ucraino e arrivati fin qui capiamo qual è la vera alea della guerra in corso.
Dopo le guerre mondiali del secolo scorso, avremmo dovuto imparare a ripudiare la guerra con ogni nostra forza, ad amare la pace, che è il contrario dell’indifferenza e dell’ignavia, e a fare assolutamente tutto il necessario perché non scoppiassero mai più altre guerre.
Ma già Antonio Gramsci ci ammoniva sentenziando che “la storia insegna, ma non ha scolari”.
Pertanto, è sempre bene ricordare che la Pace, e solo la Pace, è la difesa dei diritti umani, l’elogio al pluralismo, la tutela delle minoranze, la difesa dei confini legittimi e dei governi democraticamente eletti, la protezione dei più deboli, la promozione dell’arte e della cultura.
A riguardo, Publio Cornelio Tacito scriveva “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”.
Fanno il deserto, e lo chiamano pace.
Tra le città ucraine spopolate di palazzi bombardati, strade minate, ponti distrutti e macerie belliche, si intravedono le drammatiche conseguenze di cui scriveva proprio Tacito quasi duemila anni fa.
Prima si dovranno ricostruire muri, case, ponti e stazioni.
Ma anche scuole, teatri, biblioteche e cinema.
Poi bisognerà donare all’uomo la sua primitiva dignità, ricostruire l’umanità:
leggere, scrivere, danzare, suonare, cantare, imparare, ascoltare, immaginare.
In seno all’atrocità della guerra e delle strategie politiche, c’è, miracolosamente, la grazia della bellezza e della resistenza: la piccola Amelia che canta Let it go, la canzone di Frozen, nascosta in un rifugio antiaereo a Kiev; una donna che suona il pianoforte, l’unica cosa rimasta intatta dentro la propria casa bombardata, a Bila Cerkva, sud di Kiev; un ragazzo che suona la chitarra davanti a un palazzo distrutto di Mariupol; un uomo che si esibisce con il violoncello in una strada deserta e piena di macerie di Kharkiv.
Arte e Solidarietà possono – e devono – sfidare e vincere la Guerra, la fine del mondo. Può sembrare un concetto felicemente utopico di facile derisione, ma è impossibile da disconoscere.
L’arte, la musica e la letteratura regalano una moltitudine di modi per vedere la luce oltre la fine: sta a noi esercitare questa bellezza, questo privilegio, che è semplicemente tutto quello che resta.
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